Pagina nera
E A ROMA
IL MAUSOLEO
FA SOLTANTO
MARAMEO
Fabio Isman
La capitale possiede tre mausolei imperiali: quelli di Augusto (63 a.C. - 14 d.C.) e di Adriano (76-138, Castel Sant’Angelo) e quello, sconosciutissimo, probabilmente di Alessandro Severo (208- 235), successo al cugino Eliogabalo, nominato a tredici anni (quindi, alquanto succube di nonna e mamma), autore di uno dei primi restauri del Colosseo dopo un fulmine e un incendio (con i proventi della tassa sul meretricio, in voga, evidentemente, già allora), assassinato dai suoi stessi soldati, che lo trovavano troppo esitante: la fine subita, del resto, da Eliogabalo. Il suo sepolcro è tutto intatto; ha restituito un paio di capolavori assoluti; ma è una storia del nostro tempo: perché dimostra quanto poco il paese è capace di utilizzare e far fruttare i propri tesori. Il mausoleo, infatti, ha il grave torto di essere in periferia, ed è ridotto a un monticello spartitraffico: ci girano intorno le automobili, con a bordo ignari passeggeri, che non sanno minimamente quanto stanno sfiorando.
Eppure, volete ammirare ancora una camera sepolcrale intonsa, tonda, diametro di dieci metri, o un “dromos”, il corridoio di accesso lungo ventuno, e rimasto com’era, con due lucernari? Prego, accomodatevi: basta costituire un gruppo di volonterosi, prenotarsi al Comune, e quindi, recarsi al Quadraro, nel quartiere Tuscolano. Come hanno fatto esattamente duecentocinque anime nel 2015; ma l’anno dopo erano appena novantaquattro; sono risalite a centosettantaquattro nel 2017 e a duecentotre l’anno successivo. Nel 2019, Monte del Grano è stato ricompreso nella “card” dei musei comunali e ha stabilito un primato: quattrocento persone, poco più che un visitatore al giorno. Millesettantasei in cinque anni: in media, circa mezzo frequentatore al dì; ne entrano assai di più a casa mia. Insomma, questo è un omaggio a un capolavoro archeologico sostanzialmente ignoto. E un lamento, o una denuncia, per quanto poco il Comune di Roma s’ingegna a farlo conoscere.
L’area non è ben messa: palazzoni recenti, ma anche depositi e baracche. C’è un mercatino di bancarelle nell’antistante piazza dei Tribuni. Dove nessuno tra nove esercenti - cinque sono però cinesi - sa che, di fronte a loro, esiste un’area antica (per carità: non andiamo per il sottile e non specifichiamo neppure di che si tratti). Un piccolo parco è dedicato alla razzia umana compiuta dai nazisti il 17 aprile 1944: almeno duemila arrestati, di cui seicentottantatre finiti nei “lager”; un monumento li ricorda. E c’è un montarozzo coperto dal verde e recintato, alto dodici metri. In un angolo, una staccionata di pali metallici. E dietro, ma per leggerlo bisogna essersi portati da casa un binocolo, un cartello spiega che cosa sia quel rilievo, e come è possibile visitarlo. Il mausoleo è invisibile a chiunque, tranne che ai piloti d’aereo: in cima, infatti, da quando Centocelle possedeva una scuola d’aviazione trasferita ad Aviano tra le due guerre, un radiofaro serve ancora ai voli civili diretti a Ciampino, che vi passano proprio sopra. C’era pure una torre, crollata nel 1900 per un temporale: la si vede in un disegno di Giovanni Battista Piranesi, con uno spaccato del mausoleo, «uno dei più superbi sepolcri della romana grandezza». Tra parentesi, quello di Centocelle, in disuso dal dopoguerra, è stato il primo aeroporto dell’Urbe: ad aprile 1909, uno dei fratelli Wright, Wilbur, volò con il suo prototipo, e in seguito vi istituì anche una scuola: per i più curiosi, il primo pilota italiano fu l’ufficiale della regia Marina Mario Calderara.

