Gusto dell'arte
Frittelle, pancake
e waffel
Ludovica Sebregondi
Festeggiare il carnevale con dolci cotti sulla piastra o fritti è una consuetudine tramandata nei secoli in contesti molto diversi. Nei paesi nordici, durante gli ultimi tre giorni di festa (“Shrovetide”), è tradizione mangiare pancake e waffel: l’usanza potrebbe essere derivata dalla necessità di utilizzare uova, latte e burro, cioè prodotti di origine animale che non si sarebbero potuti consumare nell’imminente quaresima. Affascinante spiegazione, chissà se leggendaria.
Generalmente viene collegato a quel momento dell’anno il dipinto Il forno dei pancake che Pieter Aertsen (Amsterdam 1508 circa - 1575) ha datato, siglato e firmato col tridente, essendo figlio di un cardatore, sulla trave della pergola. L’opera è stata generalmente associata al carnevale, benché gli alberi, sullo sfondo della tela, non abbiano un aspetto invernale e nulla faccia pensare che si stiano preparando dolci per un momento di festa. Non si percepisce un’atmosfera di elettrizzante attesa, ma è piuttosto un momento di lavoro, come indica il titolo del dipinto, che suggerisce come la produzione non sia riservata alla festività in famiglia, ma destinata alla vendita o alla clientela. La scena è infatti ambientata nella cucina di un edificio di campagna, forse un’osteria, in cui la parete di fondo è occupata da un camino in mattoni nel quale pende una catena per sostenere padelle e pentole, come quella bassa in ceramica con cui la donna anziana cuoce un pancake. Una più giovane, un uomo e un bambino si prodigano per l’avventore, seduto con aria di annoiata superiorità: per lui è apparecchiata la tavola, rivestita di una tovaglia bianca, non consueta in ambiente contadino, su cui sono appoggiati una brocca di peltro, un formaggio, morbidi panini al burro e waffel adagiati su un vassoio metallico, mentre i pancake si sovrappongono su un grande piatto di ceramica offerto dalla donna, e altri sono tenuti in mano dal bambino e dall’uomo in piedi. I veri protagonisti sono proprio i dolci: pancake, ma anche waffel, le cialde dalla superficie a nido d’ape. L’ambiente che Aertsen dipinge, con l’accurata attenzione al reale che contraddistingue la tradizione pittorica olandese e fiamminga, non è povero, come dimostrano sia gli abiti di buona fattura e le camicie ricamate, sia la presenza di mobili e suppellettili come il piatto di ceramica di Delft dal caratteristico decoro blu su cui è posato un grosso panetto di burro. Simili dolci - cialde cotte con appositi ferri dai lunghi manici, padelle o piastre -, pur con differenti ricette, metodi di cottura, spessore e nomi sono diffusissimi in Europa, e i pancake hanno poi valicato l’oceano diventando tradizione della prima colazione nell’America settentrionale, accompagnati da sciroppo d’acero. Ma il carnevale è caratterizzato da un’altra ampia tipologia di dolci, spesso lievitati, ma sempre fritti nel grasso: anche in questo caso nomi e preparazioni sono diversissimi, ma la categoria delle frittelle - in uso già presso gli antichi romani - potrebbe raggrupparli tutti. In epoca rinascimentale è Bartolomeo Scappi a dare nel 1570 la ricetta delle “fritole veneziane” nella sua Opera in sei volumi. E sono Pietro Longhi (al secolo Pietro Falca, Venezia 1701-1785) e Carlo Goldoni, testimoni attenti della società veneziana del loro tempo, a tramandarcene la memoria. Il commediografo ci consegna la figura della “fritolera” Orsola nel Campiello, messo in scena durante il carnevale del 1755, mentre Longhi cinque anni prima aveva immortalato La venditrice di frittole contestualizzandola nell’angolo della città in cui la protagonista propone la sua merce, prossimo alla chiesa di San Basilio, come informa l’iscrizione che ricorda l’elezione del parroco nel 1750. Un giovane nobiluomo indica con un gesto che vuole tre frittelle, una per sé e le altre per le due donne che lo accompagnano. La “fritolera” ne infilza quattro con uno spiedo per non bruciarsi prendendole dal cesto posato su uno sgabello davanti a sé, mentre sta sopraggiungendo un ragazzino che la rifornisce, a indicare che la confezione e la cottura avviene altrove. I “fritoleri” ufficiali veneziani, riuniti in una corporazione, preparavano invece i loro prodotti all’aperto tutto l’anno, le frittelle dolci, in particolare, in occasione del carnevale.

