XXI SECOLO 2
ALIGHIERO BOETTI E SALMAN ALI

IL CAPOLAVORO
VIVENTE

DALL’INCONTRO CASUALE A KABUL TRA ALIGHIERO BOETTI E SALMAN ALI, NEGLI ANNI SETTANTA, NASCE UN SODALIZIO PERSONALE E FAMILIARE PROFONDO, DURATO FINO ALLA MORTE DELL’ARTISTA E OLTRE. UN LIBRO E UNA MOSTRA RACCONTANO LE VICENDE DI UNA “FELICE COINCIDENZA”.

Bruno Corà

La storia di Salman Ali sembra uscita dalla celebre antologia di racconti del mondo orientale Le mille e una notte. Pensando a quelle magiche atmosfere ho affermato, in altra occasione, che Salman Ali potrebbe essere considerato l’ombra vera e propria di Alighiero Boetti (1940-1994); ciò perché in tutti quegli anni - a partire dal 1973, anno dell’incontro tra loro - niente e nessuno li ha più potuti separare, nemmeno, perfino, quando «Capo», come dice Salman, «ha chiuso gli occhi». Era con questo epiteto - “Capo” - che Salman infatti parlava e parla ancora di Boetti significando con un solo sostantivo la centralità esercitata da Alighiero nella sua vita e in tutti gli eventi che da quella lontana data degli anni Settanta e sino a oggi hanno influito sulla vita di tante persone amiche e su quella della grande “famiglia”. Anche di questa parola Salman possiede una sua nozione originale formatasi nel tempo: la famiglia è quella individuata intorno ad Alighiero e di cui Salman sentì di far parte sin dall’incontro con “Capo”. 


«SONO NATO CON ALIGHIERO»


Così, nell’autobiografia edita da Forma, Salman Alighiero Boetti, inusuale catalogo della mostra realizzata dalla Galleria Tornabuoni Arte a Milano con opere della collezione privata di Salman Ali e progettata personalmente da Michele Casamonti (dal 13 aprile al 3 maggio), dai prodigiosi e mitografici racconti di Salman è possibile capire quanto sia estesa quella concezione comunitaria di cui egli, naturalmente, fa inscindibilmente parte. Essere a fianco di Boetti per molti anni e anche dopo la sua scomparsa ha consentito a Salman Ali di condividere moltissime ore della giornata di lavoro, incontri, preoccupazioni, viaggi, stati d’animo di “Capo”, attorno a cui ruotava la sua stessa vita e quella di molti amici, collaboratori, colleghi artisti, mercanti, scrittori, direttori di musei, galleristi, collezionisti con cui Alighiero tesseva relazioni. Nei racconti di Salman vengono alla luce molti aspetti inediti, più di quanto ne compaiano nelle ormai numerose narrazioni aneddotiche che circondano le gesta di Boetti ma che non hanno la stessa intensità e sentimento da “segnato dal destino” che in questo caso ha nome Alighiero. 

Questo fedele amico e collaboratore scelto da Boetti - come un tempo i maestri sceglievano gli apostoli e discepoli - nelle proprie dichiarazioni fa un’affermazione emblematica che - tra le altre - rivela un aspetto eloquente scaturito da una vera e propria iniziazione della sua persona a una diversa vita - una “vita nova” - dovuta all’incontro con il suo maestro e “Capo” Boetti. Salman, interrogato da suo figlio su cosa facesse prima dell’incontro con Boetti, rivela: «Sono nato con Alighiero». La perentoria risposta, in tal modo, illumina ogni successiva narrazione della sua avventura straordinaria accanto all’artista da cui si sentiva “rigenerato” ad altra vita rispetto a quella che, a causa delle origini della famiglia afghana hazara da cui proveniva, cioè dal ceto povero della struttura sociale afghana, sarebbe stato destinato a vivere. Salman, dunque, è il primo adepto di quella dottrina delle “felici coincidenze” di cui Alighiero è stato osservante e predicatore. Autrice di questo rovesciamento del destino di Salman Ali è dunque l’ansia conoscitiva di Alighiero Boetti, approdato a Kabul «un po’ per caso» in un certo momento della sua vita, sia forse inseguendo un’antica traccia esistente nel proprio albero genealogico, in cui si annoverano le gesta di un antenato missionario, tal Giovan Battista Boetti, domenicano trasformatosi in Sheik Mansur, sia per un’inquietudine tutta propria posta nella tensione rigenerativa del suo “sesto senso”, il pensiero, incline sempre a nuove avventure e scoperte. Nel frangente temporale dei primi anni Settanta Boetti infatti è fortemente motivato - come un nuovo Rimbaud e con l’impulso di un Gauguin - a un radicale cambiamento delle proprie coordinate esistenziali.


Alighiero Boetti e Salman Ali sul balcone dello studio dell’artista a Trastevere, 1975.


Alighiero Boetti, Annemarie Sauzeau Boetti, Agata Boetti, Matteo Boetti, Salman Ali e Gholam Dastaghir a Roma nel 1972.


Salman Ali e Alighiero Boetti sul motorino nello studio dell’artista a Trastevere, 1975.