L'oggetto misterioso
Nevermore,
la tela peregrina
di Gauguin
Gloria Fossi
Nevermore è un dipinto che m’intriga dal 1985: da quando, al Courtauld Institute di Londra, mi trovai per la prima volta faccia a faccia con la tela di Gauguin. Dal punto di vista di gradevolezza epidermica, Nevermore non è un’opera attraente, ma è fra le più interessanti, per il sincretismo culturale che esprime, sospesa fra immagini esotiche e ascendenze occidentali. La tela (60,5 x 116 cm) fu dipinta a Punaauia, costa nord-ovest di Tahiti, tra febbraio e marzo del 1897. La scritta Nevermore, in prossimità della sagoma di un pennuto, offre un immediato richiamo al capolavoro di Edgar Allan Poe, The Raven (Il corvo, 1845): poemetto vertiginoso, che con ritmo ossessivo, onomatopeico, itera la parola Nevermore, ovvero “Mai più”. La risposta stridula, sibillina e inquietante è quella di un corvo, piombato una notte d’inverno nello studio di un amante disperato per la perdita della sua Lenore. La poesia di Poe fu tradotta da Baudelaire nel 1849, e da Mallarmé nel 1875(1). Il successo in Francia, come già negli Stati Uniti, fu enorme, eppure non impedì all’autore di Gordon Pym, e di tanti racconti del mistero, di morire in solitudine, nel 1849, dopo una delirante agonia, su un marciapiede di Baltimora(2). Baudelaire parlò di una vita scarognata(3), ma intanto la fama postuma di Poe cresceva. Nel 1891 Le Corbeau (The Raven), nella traduzione di Mallarmé, fu recitata a Parigi in una serata di beneficenza a favore dell’indigente Verlaine e dello squattrinato Gauguin, in procinto di partire per la Polinesia. Gauguin giunse a Tahiti il 9 giugno 1891. Due anni dopo tornò a Parigi; a settembre 1895 era di nuovo a Papeete, capitale di Tahiti, da dove si trasferì nel 1896 a Punaauia. Qui dipinse Nevermore che dopo il primo incontro a Londra, in Portman Square, ho studiato nell’attuale sede del Courtauld in Somerset House, nello Strand. Se anche fosse possibile viaggiare di questi tempi, il Courtauld è in ristrutturazione, e oggi non resta che osservare virtualmente il dipinto. In primo piano s’impone il nudo integrale, ma non sfrontato di Pahura, giovane fidanzata (“vahiné”) dell’artista. Nel dicembre 1896 Pahura aveva partorito una bambina, sopravvissuta qualche giorno. La donna è imbronciata, con lo sguardo perso altrove, mentre il pennuto la osserva. Gauguin precisò all’amico de Monfreid che quello non era il corvo di Poe, ma «l’uccello del diavolo». Se pure non si tratti di un corvo (come potrebbe, con quelle zampe palmate?) il richiamo a Poe è inevitabile(4). A questo, e ai significati dell’enigmatico dipinto, dedicheremo presto un approfondimento(5). Qui, intanto, seguiamo le peregrinazioni di Nevermore: oltre ventimila chilometri, che ho ripercorso a ritroso, nel 2006, da Parigi a Tahiti. Da qui, nel marzo del 1897, la tela, arrotolata con altre sei, era stata affidata a Joseph Gouzier, ufficiale medico diretto in patria sull’incrociatore Duguay Trouin. Gouzier la consegnò tre mesi dopo a George Daniel de Monfreid, a Parigi.