Non va dimenticato, infatti, che buona parte del percorso delle varie civiltà umane (convinte che tutte le persone posseggano un’anima capace di sopravvivere alla morte del corpo) è stato occupato dal tentativo, tanto vano quanto fascinoso, d’immaginare il mondo che ci aspetta dopo la fine dell’esistenza terrena. Si tratta di un’impresa che è iniziata con la notte dei tempi, connaturata con la stessa esistenza dell’uomo, giacché segni probanti di simili credenze sono stati individuati fin dall’età preistorica. Basterà ricordare, qui, soltanto il sito archeologico di Šanidar, nel Kurdistan nord-orientale, oggi Iraq. Dagli scavi sono emersi resti umani di Neanderthal, uno più anziano e uno più giovane, cui sono state riservate sepolture rituali, databili intorno ai settantamila anni fa, che fanno inevitabilmente suppore una concezione trascendente della vita dopo la morte(2).
Con il trascorrere dei secoli, le culture del Mediterraneo, ma anche quelle dei continenti asiatico, africano e americano si preoccuparono di descrivere
in maniera sempre più puntuale le modalità e gli scenari che l’anima avrebbe incontrato una volta lasciato questo mondo.
