UN “ESILIO”
PRODUTTIVO

Il 21 ottobre 1925 Sergej Diaghilev scrive una lettera a Utter per incontrare Utrillo e commissionargli la coreografia del balletto Barabau, da mettere in scena a Parigi l’anno successivo.

Il potente impresario dei Ballets russes era abilissimo nello scegliere i migliori artisti del momento. Il 18 maggio 1917 aveva presentato al Théâtre du Châtelet Parade, il «balletto realistico e moderno», un’opera d’avanguardia che vedeva i nomi di Erik Satie per la musica, di Jean Cocteau per i testi, Léonide Massine per la coreografia, Pablo Picasso per scene e costumi. Il fatto che si rivolgesse a Utrillo dimostra quale notorietà internazionale il pittore, pur con i suoi grossi problemi di alcolismo, avesse acquisito a trentatré anni.

Utrillo si trasferisce a Parigi per dipingere scene e costumi per il balletto, presentato l’11 dicembre 1925 al Coliseum Theatre di Londra, e poi a Parigi. Lo spettacolo si avvaleva del libretto e musica di Vittorio Rieti, di scene e costumi di Utrillo, della coreografia di George Balanchine. Di che cosa si trattava? Lo raccontava il novantaduenne compositore Vittorio Rieti in un’intervista fattagli a New York nel marzo 1990, quattro anni prima della morte. Era «un’ironica e grottesca storia di soprusi», che lui, Rieti, aveva iniziato a scrivere a pochi mesi dall’avvento del fascismo, «quasi un presagio di quanto sarebbe successo da lì a qualche anno in Italia e in Europa». Il contadino Barabau dà una festa nel suo orto, ma arriva un manipolo di soldati comandati da un sergente il quale, vista l’abbondanza che vi regna, dà ordine di gettarsi all’attacco: la soldataglia entra in azione, mangiando, bevendo, saccheggiando e devastando ogni cosa. Barabau non riesce a difendersi, e non la smette di lagnarsi, così gli sgherri lo obbligano a partecipare a una danza improvvisata con le ragazzotte del villaggio. Al poveruomo non rimane che morire, tranne resuscitare dopo che i soldati se ne saranno andati. Di questa storia, ingenua, Utrillo dipinge scene con paesaggi e figure, comprese le famose “comari” dagli ampi fianchi. Fu molto apprezzato. Di conseguenza le sue tele raggiunsero cifre vertiginose, sino a 50.000 franchi. Nella galleria di Pierre Loeb, al 13 di rue Bonaparte, le sue opere furono esposte accanto a quelle di Derain e di Dufy.