Il Memoriale della Shoah di Milano è un grande sistema museale di settemila metri quadri, unico nel suo genere a livello internazionale, ubicato nella zona sottostante il piano dei binari della stazione centrale. Dal binario 21 - dove erano caricati e scaricati precedentemente i treni postali - ebrei, partigiani e deportati politici partivano su vagoni bestiame diretti verso i campi di concentramento. In totale venti treni merci, migliaia di persone, di storie e relazioni spezzate per sempre. Una ferita indelebile: dal 1943 al 1945; e ora per sempre, in quello stesso luogo, è sorto un luogo di memoria che guarda al futuro perché la conoscenza ci accompagni, con il cuore e la ragione, nel percorso esistenziale di ciascuno di noi.
Il progetto di Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis si completerà in questi mesi con la realizzazione della biblioteca. Dal particolare all’universale,
ogni intervento, ogni dettaglio ci riporta al “tutto” perché, visitandolo, non sia possibile dimenticare il contesto che ha una sua storicità, una sua
materialità costruttiva, tra il rispetto archeologico e la sua traduzione in una narrazione capace di parlare il linguaggio del presente. Liliana Segre,
senatrice a vita, partì il 30 gennaio 1944 da questo luogo assieme ad altri seicentocinque ebrei. Aveva tredici anni, insieme a lei ritornarono solo
ventidue persone. Come scrivono i progettisti, le cui parole sono state seguite in modo coerente dal loro intervento progettuale, «il memoriale è
un’architettura-documento, un’infrastruttura-reperto. Più che fornire spiegazioni, pone interrogativi che il visitatore come “corpo mobile” può
affrontare a partire dall’incontro emozionale col luogo, dalla traduzione piscologica e sensoriale e dalla sua scoperta». Uno straordinario progetto
sinestetico che mette in mostra, privo di inutili sovrapposizioni rispetto al “fatto storico”, la capacità di dialogare con ogni tipo di individuo,
senza mai dimenticare la grande lezione del pensiero moderno: «Non può esistere progetto senza intenzione; e poiché l’intenzione è una funzione
volontaria, non può esserci progetto senza artificio». Così scrive Joseph Rykwert, nel rispetto di un contesto storico che deve parlare, senza tradire,
al presente e soprattutto al futuro.