La prima fu Georgiana, con i suoi acquerelli dalle forme fluide e dai colori decisi. Nel 1871 li espose a Londra in una prestigiosa galleria di Bond Street ma fu un fiasco, sia di pubblico che di critica. Tuttavia lei, Georgiana Houghton, medium, legata ai movimenti spiritualisti dell’Inghilterra vittoriana, pur ridotta quasi alla bancarotta dall’insuccesso commerciale, continuò a disegnare quelle opere astratte corredandole sul retro di una dettagliata iscrizione in cui spiegava come era nato il dipinto e soprattutto quale “spirito” aveva guidato la sua mano, fosse questo sconosciuto o famoso, come Tiziano o Correggio.
Un po’ diverso fu per Hilma af Klint, artista svedese, ugualmente influenzata dalla teosofia, ma convinta che quelle forme sferiche, quelle geometrie multicolori che nascevano dal suo linguaggio interiore non fossero destinate al pubblico dell’epoca (siamo nel 1906). Così continuò per tutta la vita a dipingere ritratti e paesaggi, chiedendo che le sue milletrecento opere astratte fossero mostrate solo vent’anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1944, sperando in un’umanità più matura.
Comincia così la scrittura di una nuova storia dell’astrattismo che vede le donne artiste come attrici e protagoniste di un processo culturale sviluppatosi durante tutto il Novecento e che ha visto fino a oggi “incoronare” Kandinskij, Malevič e Mondrian sul trono di un linguaggio plastico diventato l’emblema della modernità. «Oltre alle note problematiche dell’accesso all’educazione artistica e, più in generale, delle barriere sociali e istituzionali, oltre al fatto che la storia dell’astrazione è stata scritta soprattutto da uomini, è interessante capire come la mancanza di visibilità delle artiste donne abbia potuto durare così a lungo, malgrado l’ondata femminista degli anni Settanta», sottolinea Christine Macel.