Può l’uomo dell’Antropocene, epoca geologica caratterizzata fortemente dall’impronta umana, riuscire a vedere se stesso dal di fuori? Forse deve, se vuole passare dal dominio alla convivenza con le altre specie. E in questa visione rinnovata il cinema gioca una parte importante. È la scommessa, molto più ambiziosa di quanto non dica il titolo, del documentario La fattoria dei nostri sogni, realizzato da John Chester e pubblicato in dvd da pochi mesi. Per farla, il regista deve adottare un punto di vista non umano, proprio come fece Franz Marc nel suo celebre dipinto Il cane bianco (1912), sottotitolato Cane davanti al mondo. Al principio e alla fine del racconto autobiografico, proposto nella pellicola, c’è infatti un cane, Todd, che col suo persistente abbaiare mette in difficoltà i padroni: John (il regista appunto), cameraman specializzato in documentari su animali, e Molly (sua moglie anche nella vita), blogger culinaria e cuoca naturista. La coppia, dopo le ripetute proteste dei vicini di casa, riceve l’avviso di sfratto per il rumore provocato da Todd. Per non tradire la promessa, fatta al fedele compagno, di restare sempre uniti, Molly e John decidono di lasciare l’appartamento di Santa Monica, dove vivevano, e di trasferirsi in campagna. Lì rilevano un terreno in disuso e lo trasformano in una fattoria biologica. Con l’aiuto di una specie di consulente- guru, ridisegnano il paesaggio: in meno di dieci anni rinasce la vegetazione e ricompaiono animali che parevano estinti, resistendo efficacemente a inondazioni e siccità. Il cinema aveva mostrato qualcosa di simile in due casi: Il sale della terra (2014) e L’uomo che piantava gli alberi (1987). Ma quelle esperienze sono state sprazzi. Nel primo caso si è trattato di un documentario dedicato dal regista, Wim Wenders, al fotografo brasiliano Sebastião Salgado; nel secondo di un film di animazione, con la regia di Frédéric Back, adattamento del racconto omonimo di Jean Giono. La fattoria dei nostri sogni si interroga su come riconvertire un rapporto deviato con la natura, su come fondere produttività e sostenibilità. «Alleviamo e coltiviamo duecento specie diverse; coprire tutto di erba comporta un costo: falciare. Ma è un opportunità: far mangiare le pecore che rilasciano concime naturale», così ogni problema può diventare una risorsa. A John sembra che alla fine sia stato il cane a condurli fin lì, come se col suo sguardo, che continuamente decodifica il mondo in modo differente dagli umani, Todd avesse avuto la possibilità di vedere connessioni accessibili, col tempo, anche ai suoi padroni.
Camera con vista
IL CANE DELLA
FATTORIA DI CHESTER
di Luca Antoccia