come avrà vissuto i mesi della gravidanza e l’avvicinarsi del parto Anna Cornelia Carbentus, la madre di Vincent
van Gogh? L’anno precedente, nel 1852, il suo primo bambino era morto poco dopo la nascita: facile, quindi, che fosse in preda a sentimenti
contrastanti, aspettando l’evento con rinnovata speranza ma anche con grande inquietudine. Ed ecco che finalmente, il 30 marzo 1853, il neonato
viene alla luce e sopravvive. Ma il 30 marzo non è una data qualunque, è esattamente lo stesso giorno in cui il fratellino morto era anche lui
venuto al mondo. Strana coincidenza, che sa quasi di predestinazione, di qualcosa di “scritto nelle stelle”. Come a dire che perfino il Cielo
considerava il secondo Vincent - questo era infatti anche il nome di battesimo dell’altro neonato - niente più che un rimpiazzo del primo. E tale in
effetti dovette sentirsi per tutta la vita Van Gogh. Anzi, peggio, forse si percepì come un vero e proprio usurpatore, uno che aveva occupato una
culla non sua, un ladro dell’affetto dei suoi genitori. O almeno c’è chi ha avanzato l’ipotesi del senso di colpa, maturato in lui fin
dall’infanzia, per spiegare quel male di vivere di cui Vincent soffrì fino al giorno del suicidio con cui mise fine alla sua sfortunata vita. Una
instabilità emotiva cui forse poté contribuire la tensione inconsapevolmente trasmessagli dalla madre mentre lo portava ancora in grembo, chissà!
Qualunque ne sia stato il motivo, il fatto certo è però che il piccolo Vincent crebbe con un animo tormentato, inquieto, più ricettivo del normale.
La sua personalità sembra plasmarsi quasi per contrasto in seno alla rispettabile e conformista famiglia borghese in cui ha in sorte di
nascere e nell’ambiente di provincia chiuso e bigotto dove si trova a vivere. «La mia giovinezza è stata [...] tetra, fredda e sterile», scrive
Vincent al fratello Theo in una delle centinaia di lettere a lui indirizzate. Sono queste a costituire, insieme alla corrispondenza con la sorella
Wilhelmine e altri parenti, e allo scambio epistolare con amici come il pittore Émile Bernard, la principale fonte sulla vita e sul pensiero di Van
Gogh. Nelle lettere a Theo - che gli offrirà il proprio sostegno economico per tutta la vita restando il più saldo dei suoi legami familiari - il
difficile rapporto di Vincent con i genitori viene fuori senza mezze misure. Ecco per esempio un passaggio illuminante da una lettera spedita nei
primi mesi del suo soggiorno in casa dei genitori: «Papà e mamma sono molto buoni, ma non comprendono i nostri sentimenti più intimi e non si
rendono conto di quello che tu e io sentiamo veramente».
A Etten, il contrasto con i genitori esplode con violenza anche perché favorito
da un evento catalizzatore: Vincent che, come altre volte in passato e in futuro, si innamora della persona sbagliata. In questo caso si tratta
della cugina Kee, vedova e con un figlio, che di lui proprio non vuol saperne. Vincent non si dà per vinto, la perseguita e finisce col mettere in
imbarazzo tutti, innescando litigi furibondi in famiglia. In effetti, sebbene Vincent ne desideri ardentemente l’amore e l’approvazione, la sua
insofferenza per l’austero rigore morale di Theodorus van Gogh, pastore della Chiesa riformata olandese, per la sua ristrettezza mentale, per la sua
fede bigotta, per il suo autoritarismo, è chiaramente palpabile nelle lettere al fratello: «Papà non può comprendermi e seguirmi, e io non posso
accettare il suo sistema, che mi opprime e mi soffocherebbe. Anch’io leggo la Bibbia, di tanto in tanto, come leggo Michelet o Balzac o Eliot; ma
nella Bibbia vedo cose diverse da quelle che vede papà».
A quel punto, Vincent si reca all’Aja per dare seguito, solo con se stesso,
alla propria vocazione artistica, «il dado è tratto». Lasciando l’abitazione dei genitori a Etten, nel gennaio 1882, Van Gogh non sta però
abbandonando la sua casa natale. A Etten infatti i Van Gogh si erano trasferiti solo nel 1875, mentre Vincent era nato in un altro villaggio del
Brabante, Groot Zundert. È in questo borgo rurale a trenta chilometri dalla città belga di Anversa che il futuro artista trascorre l’infanzia e
l’adolescenza. Le notizie sui primi dieci anni della vita di Van Gogh sono scarse. Da bambino sembra condurre un’esistenza normale, nel 1860 viene
iscritto alla scuola del paese e per un anno è allievo di un maestro cattolico; poi, per volere del padre, continua gli studi privatamente fino al
1864, quando, a undici anni, è spedito in collegio nella vicina Zevenbergen. Già allora, il suo carattere ipersensibile gli fa vivere questo primo
distacco come uno strappo doloroso, ancora vivo nel ricordo desolato dell’età adulta, quando rievocherà la circostanza scrivendo: «In piedi sulla
scalinata vicino al signor Provily, guardavo la nostra vettura allontanarsi sulla strada bagnata». In seguito, Vincent frequenta due anni di scuole
secondarie a Tilburg, sempre nei pressi di Zundert, finché, nel 1868, a quindici anni, la sua carriera scolastica si interrompe bruscamente. I
motivi sembrano essere stati prevalentemente economici - la famiglia non poteva più permettersi di mantenerlo agli studi - ma l’abbandono fu anche
dovuto al suo scarso profitto scolastico.


