«la natura è straordinariamente bella qui», scrive Vincent a Theo da Arles. Fuggendo la nebbia opprimente di
Parigi, Van Gogh si è diretto al Sud seguendo la pista della luce. Sotto il chiaro cielo di Provenza, ancora una volta si stabilisce una
corrispondenza tra il suo animo, la realtà esterna e la sua arte; la ritrovata luce interiore rispecchia quella del caldo sole provenzale e si
riversa nel tripudio di luce che investe i suoi quadri culminando nell’«alta nota gialla» che dichiara di aver trovato in quelle contrade. È una
luce che non viene più indagata come dato ottico al modo degli impressionisti, ma che adesso è usata da Vincent a fini espressivi. È lui stesso ad
affermarlo scrivendo a Theo nell’agosto 1888: «Trovo che quanto ho imparato a Parigi se ne va e io ritorno alle idee che mi erano venute in
campagna, prima di conoscere gli impressionisti. Non sarei per nulla stupito se fra poco gli impressionisti trovassero a ridire sul mio modo di
dipingere [...]. Perché invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario per
esprimermi con intensità». Con Van Gogh, la soggettività entra dunque a far parte intenzionalmente del dipinto. Non che Vincent intenda teorizzare
la visione soggettiva come presupposto imprescindibile e programmatico della pittura; arriva però a postularla come un bisogno irrinunciabile del
proprio individuale processo creativo.
Quando Van Gogh giunge ad Arles è pieno inverno, vi trova perfino la neve. Ma i colori e la luce della Provenza lo colpiscono profondamente,
legandolo ai caratteri di questa terra, come accade anche a Cézanne, Renoir e a tanti altri artisti. Theo gli manda duecentocinquanta franchi al
mese per vivere e lavorare. Vincent cerca di ripagarlo - come ha iniziato a fare dal 1884 - con l’invio dei suoi quadri e ricomincia a scrivergli
fittamente. Come sempre, la sua corrispondenza col fratello è piena di lucide autoanalisi circa il proprio stato mentale ed emotivo e ricca di
preziose informazioni sulla gestazione artistica delle sue opere. Giunto ad Arles, Vincent prende alloggio all’albergo Carrel. All’inizio di maggio,
affitta per quindici franchi al mese quattro stanze in un edificio in place Lamartine, alle porte della città: è la celebre Casa gialla (distrutta durante la seconda guerra mondiale) che Van Gogh ritrae nel dipinto omonimo, oggi conservato ad Amsterdam.
Col tempo, Vincent spera di poter ospitare nella sua casa di Arles una comunità di artisti: un “atelier del Sud” che rimanga nel tempo a
beneficio delle generazioni future. Mentre aspetta di sistemare convenientemente i locali che per il momento gli servono da studio e magazzino,
dorme in una camera al Café de la Gare, sempre in place Lamartine. Qui diventa amico dei proprietari, i coniugi Ginoux. In modo quasi automatico,
chi entra a far parte della sua vita entra anche a far parte della sua arte. Così, la signora Ginoux poserà per L’arlesiana, mentre il postino
Roulin - un vecchio anarchico dal carattere gioviale - sarà immortalato in vari ritratti e sua moglie verrà raffigurata nelle cinque versioni della
Berceuse.
Tra i primi lavori eseguiti ad Arles, dove nei quindici mesi del suo soggiorno Vincent dipinge oltre duecento quadri, alcuni dei quali
famosissimi, c’è la serie degli alberi da frutto in fiore; forse, la natura che andava risvegliandosi rappresentava per Vincent una metafora del suo
stesso risveglio al sole del Sud. «Il paese mi sembra bello come il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti dei colori gioiosi»,
scrive in quei giorni di primavera. E sono appunto le stampe giapponesi il modello dei dipinti col motivo dei frutteti e delle diverse versioni
del Ponte di Langlois, che ricordano alcune vedute di Hiroshige. Anche sul piano tecnico c’è in generale, nella produzione arlesiana, la
tendenza a rifarsi alle stampe giapponesi lasciandosi alle spalle la lezione impressionista e divisionista del periodo parigino. Ciò che rimane
dell’influenza impressionista è la fedeltà di Van Gogh alle tonalità chiare e all’esecuzione “en plein air”: i colori - specie il giallo, che domina
la tavolozza arlesiana con toni intensi e violenti come nelle tele dei Girasoli - acquistano una luminosità particolare, quasi
sprigionandosi dall’interno del soggetto. Paul Gauguin, che fu ospite di Vincent per due turbolenti mesi nel 1888, ricorda questo viscerale amore di
Van Gogh per il giallo in un suo scritto apparso nel 1894 in Essais d'art libre: «Amava il giallo, il buon Vincent, quel pittore d’Olanda;
bagliori di sole riscaldavano la sua anima, che aveva orrore delle nebbie. Un bisogno di calore» .




Amsterdam, Van Gogh Museum.