il quadro si presenta all’adorazione come un’icona greca. Un nudo di donna dalle fattezze contemporanee ha preso il posto di una Madonna d’epoca bizantina. Quest’Afrodite viennese esibisce la nudità senza vergogna, la sua chioma è quella di una Medusa anguicrinita, il pube è coperto di un vello rossastro, che è il colore di Babilonia la grande meretrice vestita di porpora e scarlatto, un tono molto in voga all’epoca, come gli occhi cerchiati di nero e lo sguardo incantatore. La Nuda Veritas, dipinta da Klimt nel 1899 è diversa anche dalle muse preraffaellite a cui il pittore forse avrà pensato nella definizione della sua idea di bellezza femminile. Si tratta comunque dell’ancella di una Verità che prima di essere filosofica, religiosa o solo erotica appartiene all’esperienza artistica. Il formato verticale cui si aggiungono le scritte sulla fascia alta in oro ne fanno anche un manifesto della nuova: “Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male.”
Si tratta di un pensiero del filosofo Ferdinand Canning Scott Schiller (1864-1937) cultore di un pragmatismo umanistico e autore
di un testo originale come Riddles of the Sphinx (1891) e a seguire di Studies in Humanism (1907) dove
l’autore tedesco-inglese critica il concetto di ragione pura svincolato dall’azione e dal contesto socio-culturale. Come idolo di una
verità scomoda e insostenibile per la morale dell’epoca nel palmo destro di Pallade Atena dipinto nel 1898 dove tuttavia
simboleggiava con la posa delle braccia aperte e alzate la figura della Nike. Secondo Ludwig Hevesi la fatale divinità mostrava “qualcosa
di ieratico”, era una “Iside secessionista”. Primo proprietario del quadro fu Hermann Bahr, sostenitore del movimento viennese, che aveva
descritto la figura “con i suoi riccioli selvaggi e la bocca cattiva e fanatica”, scorgendovi appunto le fattezze della donna fatale, la
sacerdotessa di un erotismo al di là del bene e del male.Con la citazione di Schiller, Klimt assumeva un tono polemico nei confronti dei
nemici della sua arte e di conseguenza difendeva i partigiani dell’innovazione proposta con la Secessione. Dichiarava così una fedeltà
assoluta alla propria ispirazione, difesa a costo di un’aristocratica solitudine, in quanto bellezza e verità non sono conoscibili da tutti
allo stesso momento e nelle stesse condizioni. Tuttavia, nel programma della Secessione vi era un’intenzione di condivisione universale,
uno dei versanti ideologici del simbolismo. Democratizzazione realizzata facendo propria l’idea dell’opera d’arte totale derivata dal
socialismo estetico di John Ruskin e William Morris per un verso, così come dall’esperienza di Richard Wagner dall’altro, e coinvolgendo
l’architettura e le cosiddette arti minori, il design, la grafica, e la moda.
La Nuda Veritas era già apparsa l’anno prima come litografia nella rivista portavoce della Secessione Ver Sacrum ma in
quell’occasione la citazione era dello scrittore Leopold Schefer e il significato era assai diverso: “La verità è fuoco e parlare di
verità significa illuminare e bruciare”, dichiarazione polemica in sintonia con gli intenti rinnovatori del movimento. Un anno dopo Klimt
sceglie di rispondere ai molti attacchi ricevuti dipingendo lo stesso soggetto ma utilizzando una nuova citazione come risposta personale
alle critiche subite. Salendo dal bordo in basso della cornice, un serpente, simbolo della libido, dalla pelle di colore verde
smeraldo scivola attorcigliandosi alle caviglie della Nuda Veritas a significare la verità insidiata dalla menzogna e
dall’invidia. Sulla parte inferiore del dipinto si riconoscono anche due fiori acquatici, elementi fecondatori come convincerebbe la loro
forma spermatozoica. Ma l’oggetto più enigmatico è lo specchio che la donna solleva rivolgendolo verso l’osservatore, come fosse quella
la voce della verità, ancor più del suo sguardo ardente, divenendo un concetto astratto più che un corpo com’era invece ancora quello
nella mano di Pallade Atena. Klimt sa che la sessualità è la via d’accesso al mondo delle pulsioni, dell’indistinto legame di vita e
morte, di piacere e sofferenza e che al fondo di ogni ebbrezza erotica c’è il nulla, quel vuoto in cui anche la società viennese sentiva
di essere risucchiata, benché si fosse nel pieno della Belle Époque.