speranza i

1903
olio su tela
cm 189,2 x 67
Ottawa, National Gallery of Canada

ci sono quadri che nella loro epoca sono troppo aggressivi perché arrivano a dissociare bellezza e significato. Il vero problema è che oltrepassano i limiti formali imposti dalla consuetudine, inventando un nuovo equilibrio per cui anche il mostruoso sarà bello e il perturbante o l’osceno non daranno più scandalo. Molte opere di Klimt tra il 1898 e il 1907 subirono attacchi basati non solo su criteri meramente artistici quanto su giudizi morali dell’epoca. L’accuratezza, quasi fotografica, con cui presentava i nudi femminili carichi di tensione sessuale, la stessa determinazione con cui affrontava temi scabrosi perché antagonisti della buona armonia sociale: un esempio emblematico sono i pannelli carichi di pessimismo schopenhaueriano della Medicina o quelli ancor più terribili e tellurici della Filosofia commissionati nel 1900 per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, che Klimt, dopo un aspro conflitto con i committenti, decise nel 1906 di riacquistare. Tutto questo lo portò anche all’abbandono della Secessione, di cui pure era stato un protagonista, per circondarsi di un ristretto gruppo di colleghi e amici, il Klimt-Gruppe. Fu inoltre un periodo segnato dalla morte di Otto, uno dei due figli nati dalla relazione con Marie Zimmermann, una delle sue amanti.

 
Anche Speranza I, pur se di lontana ispirazione a quei modelli rinascimentali che lo avevano interessato (potremmo vederci un riferimento al ventre rigonfio della Primavera di Botticelli), risultò troppo violento per il “puritanesimo” viennese, pur riscuotendo grande interesse alla sua mostra personale in occasione della Kunstschau del 1909. Nel dipingere il corpo della donna - la cui prossima maternità è esaltata dalla posa di profilo, nella quale il grande ventre e i seni gonfi di latte contrastano con la esilità degli arti e del volto - Klimt esalta la dimensione bidimensionale e decorativa che accompagnerà sempre la sua pratica pittorica (e il suo grande successo attuale che si riverbera nel merchandising museale contemporaneo tra foulard, cravatte, lenzuola…).

 
L’intensità del volto, con lo sguardo puntato verso l’osservatore, è circondato dalla massa di capelli rossi, coronata da una ghirlanda di pratoline, simbolicamente riferite all’imminente sbocciare della vita con il parto. Sarebbe un’immagine positiva, di speranza appunto, se non fosse per quelle figure che l’accerchiano e la sovrastano, incarnazioni del male e delle paure ataviche. Figure inquietanti, come quella del mostro demoniaco, un pesce drago con artigli e una coda gigantesca. Forse un demone primordiale della psiche più profonda. E volti spettrali, di fantasmi, dagli occhi bianchi come conchiglie vuote, un teschio, e una maschera in cui pare manifestarsi il male del mondo e che pare “evocare una divinità africana o vudù” (Jean Clair, 2008). La futura madre non sembra troppo preoccuparsi di quelle presenze, come se le fossero familiari, come se ne conoscesse il potere. In molti vi hanno riconosciuto la Grande Madre e la Dea Bianca. Klimt dà immagine al doppio volto della maternità e a quello del legame affettivo sempre incatenato a thanatos. Il tema affrontato con Speranza I sarà ripreso pochi anni dopo da Klimt in una nuova versione Attesa (Speranza II) che già risente del nuovo corso stilistico affrontato dal pittore viennese. La figura della madre incinta è ora una sagoma coperta di fiori e decorazioni varie che medita sul destino del nascituro. La testa reclinata è quella di una figura malinconica. Il volto è scavato, nervoso, turbato intimamente a dimostrare che Klimt guarda e s’ispira all’arte espressionistica dei suoi più giovani e talentuosi allievi, Schiele e Kokoschka. Nascita e morte così come femminilità e forze oscure, provenienti dall’inconscio, erano in scena tra la fine dell’Ottocento e i primi del nuovo secolo sia in arte che in poesia, letteratura e musica. A questo proposito, si possono citare come esempi quelli di Fecondità (1900-1903) di Alfred Kubin, e quello di Speranza (1902) di Cuno Amiet, opere in cui due spettri malefici assaltano una donna e il suo bambino. Fantasmi, impulsi e ciò che in linguaggio psicoanalitico verrà definito libido, complicano, da allora a oggi, la nostra vita e le nostre relazioni quotidiane; anche le “attese”, quelle più felici.