1907 olio e oro su tela cm 138 x 138 New York, Neue Galerie
il ritratto di Adele Bloch-Bauer nasce dalla costola dei mosaici bizantini di Ravenna e rivive nel
1907 lo spirito di Teodora in San Vitale. Ma mentre il corpo di Adele è nascosto dalla sontuosa lamina dorata, il volto è dipinto
accuratamente, rivelando i tratti e il temperamento di una donna contemporanea che sprigiona dagli occhi un languido magnetismo ed è quindi
molto distante dai modelli delle icone greco-bizantine. Infatti se nelle icone il volto rappresenta la soglia per un’elevazione spirituale,
Klimt concepisce la sua icona in maniera simmetricamente opposta per irrompere nell’aldiquà dell’esistenza. La fascinosa signora ha
qualcosa di Giuditta, potrebbe essere parente di Lulù di Frank Wedekind o prefigurare La donna senz’ombra di Hugo
von Hofmannsthal. La sua personalità si rivela affiorando da un mosaico di simboli esoterici, magici geroglifici, decorazioni antiquarie
che non sono lì solo per arricchire la composizione o aggiungere lusso a quell’immagine di apparentemente quieta sensualità. Nel suo
libro Il nudo e la norma del 1988 Jean Clair annovera Adele Bloch-Bauer I tra i quadri più importanti del Novecento, ponendolo
a confronto con Les demoiselles d’Avignon di Picasso, dipinte lo stesso anno. I due massimi capolavori del primo Novecento nascono
prendendo spunti da periodi dell’arte distanti; lo spagnolo guarda alle maschere tribali ma cercandone soprattutto il potere magico più che
il modello formale, Klimt invece, ispirandosi alle icone delle chiese ortodosse, giunge al culmine dell’esaltazione della pittura come
forma atemporale. Per arrivare a questo ritratto perfetto, Klimt eseguì un centinaio di disegni preparatori, studiando la modella, sua
amante, in innumerevoli sedute di posa. Nonostante l’aspetto ieratico e “fatale” del dipinto, il pittore viennese guida all’interno del
palazzo incantato e fascinoso di Adele, attraverso un labirinto di sfumature e increspature psicologiche, oltre lo sfavillio neobizantino
dell’oro; la potente e perfino oscura miscela di pulsioni e desideri femminili che la nuova scienza dell’anima stava facendo conoscere
attraverso il “movimento psicoanalitico”. Adele incarna la sacra primavera viennese, il massimo splendore di una stagione prima della fine
di quella musicale civiltà. Ammirata e criticata questa icona di modernità venne fatta oggetto di derisione al suo tempo per l’eccessivo
uso dell’oro che ne faceva anche una sorta di divinità incapsulata in una corazza di metallo, al punto da suscitare un gioco di parole tra
il termine Blech (latta) e il cognome della signora Bloch.