la psicoanalisi

il 1900 è la data di fondazione della psicoanalisi, la scoperta più importante che ha segnato la grande cultura viennese a cavallo tra Ottocento e Novecento. Per alcuni è addirittura la “Vienna di Freud” a rendere ancor più profonde (ovviamente psicologicamente) le opere di Klimt, i nudi di Egon Schiele e persino il capolavoro architettonico di Otto Wagner, la Chiesa di San Leopoldo che fu inaugurata nel 1907 al centro dei padiglioni dello Steinhof, il più grande ospedale psichiatrico della città. Tale particolare sintonia tra la scoperta in primo luogo geografica della dimensione psichica e le opere degli artisti della Finis Austriae ci ha sempre indotto a vedere la presenza della nevrosi addirittura nelle decorazioni di Kolo Moser e nelle donne fatali ritratte da Klimt. È invece indubbio il contributo della pratica e degli studi di Freud alla nascita di un particolare settore della critica e della storia dell’arte fondata anche sugli essenziali contributi freudiani. Basterà pensare ai protagonisti della Wiener Schule, che dagli anni trenta del Novecento ha annoverato grandi studiosi come Ernst Kris, Otto Kurz, Hans Sedlmayr ed Ernst Gombrich (e prima a Vienna basterà ricordare grandi storici dell’arte come Alois Riegl, Max Dvoràk e Julius von Schlosser).

 
Nondimeno è impressionante notare come nelle arti visive e anche in letteratura appaia, come una sorta di costellazione simultanea di immagini di differente natura che si legano l’una all’altra quasi a dare insieme un nome, o meglio una definizione scientifica e una “figura” o persino un volume, a patologie quali la nevrosi, la psicosi o la schizofrenia. All’inizio del Novecento, in quello che i grandi scrittori come Karl Kraus o Hermann Broch e Robert Musil, avevano definito un “enorme vuoto culturale”, un “mondo al tramonto e in crisi” se non “la fine dell’umanità”, tutte espressioni riferite alla società e al mondo viennese, si manifestano movimenti artistici e nuove scoperte scientifiche che hanno prodotto una perdurante e sfolgorante fioritura di ciò che oggi definiamo culture visive. È inoltre interessante notare come il sincronico parallelismo tra arte e psicoanalisi abbia assunto le medesime strategie pratiche. Infatti, ancora nel 1914, Freud parla “di movimento psicoanalitico” (Per la storia del movimento psicoanalitico) quasi a ratificare, così come avevano fatto la Secessione monacense e quella viennese e in generale le avanguardie storiche, dai cubisti, ai futuristi, al costruttivismo, la volontà di andare oltre strutture codificate e cristallizzate mediante la forma fluida e associativa del “movimento”. Definizione questa che consentiva anche una maggior presa nella vita quotidiana. Sembra quasi che il perenne periodo di “crisi” inaugurato dalla modernità, e ancora oggi molto in auge, abbia bisogno di scelte e di giudizi. Infatti, come ricorda Giorgio Agamben in un suo recente libro (Creazione e anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, 2017), l’etimologia di “crisi” oscilla tra “giudizio” e “momento culminante della malattia”. La parola “crisi” quasi contiene in origine una rappresentazione possibile delle scelte dei movimenti artistici e del nascente movimento psicoanalitico.

 
La scoperta principale di Freud fu che è difficile se non impossibile “essere padroni in casa propria”. Oggi tutti conosciamo quell’enorme atlante che il padre della psicoanalisi ha costruito negli anni. Nella sua Autobiografia (1924) fa risalire il suo apprendistato e le sue scoperte individuali da un periodo che va dal 1885 al 1907. Nell’autunno del 1885 Freud si reca a Parigi per uno stage presso la Pitié-Salpêtrière, dove lavorava il celebre neurologo Jean-Martin Charcot. Qui assiste a quelle spettacolari messe in scena del medico francese. Charcot, come per alcuni anni lo stesso Freud, era convinto che pratiche come l’ipnotismo, il magnetismo, la suggestione potessero rivelare empaticamente le nevrosi e le patologie nascoste all’interno del corpo dell’altro (e per Charcot principalmente le nevrosi della donna come l’isteria e l’epilessia). Charcot allestiva alla Salpêtrière veri e propri spettacoli teatrali, con calcolati tempi di posa, in cui su “provocazione” ipnotica del neurologo, si esibivano pazienti-attrici, le “isteriche di Charcot”. Attraverso la copiosa documentazione fotografica, i registri con le firme dei partecipanti, e persino pittorica, la teatralizzazione operata da Charcot alla Salpêtrière anticipa l’attività artistica performativa propria del modernismo e in special modo quella delle modelle in posa all’interno dell’atelier di Gustav Klimt a Vienna.

 
Nel volgere di circa dieci anni, dopo aver aperto il suo studio medico a Vienna nel 1886, Freud elabora processi originali e definizioni quali “la scena del sogno”, l’inconscio, le pulsioni sessuali, la rimozione e l’origine della nevrosi e della psicosi, nonché una terapia praticamente senza compimento. Soprattutto Freud attinge a piene mani alla letteratura classica e alla tragedia greca per descrivere esattamente patologie e complessi, di cui il più famoso è senz’altro “quello di Edipo”. Freud era un grande umanista con vasti interessi e letture che andavano dalla archeologia alla letteratura classica, a Shakespeare e Goethe sino a quella di alcuni contemporanei quali, ad esempio, Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler (che Freud stesso definì una sorta di suo gemello) e persino scrittori meno famosi come Wilhelm Jensen, autore di un racconto Gradiva (1903), “una fantasia pompeiana”, che offriva lo spunto per il suo primo scritto pubblicato nel 1907, Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen. Questo era il primo testo in cui Freud ha fondato le sue analisi solo su un’opera letteraria. Più in generale, Freud ha ricercato nei testi e nelle grammatiche della creazione, i motivi originari della dimensione psichica. E il suo metodo consiste essenzialmente in una indagine archeologica, una sorta di scavo negli strati sovrapposti, nelle concrezioni della coscienza e in quel mare magno che è il nostro inconscio. Freud manifestò un interesse sempre maggiore per la “fantasia” letteraria e per la mitologia coadiuvato in questo, dopo il 1907, dai suoi fidati collaboratori come Ernest Jones e Otto Rank, ma era insensibile all’arte contemporanea e specialmente agli espressionisti, le cui opere giudicava frutto della nevrosi, se non di manifestazioni psicotiche non mediate dall’attività creatrice. Difatti, in un suo saggio del 1909, Il poeta e la fantasia, Freud assegna all’arte una facoltà di compensazione del desiderio. Il poeta, ma anche l’artista, si differenzia dall’uomo comune in quanto è l’unico a riemergere dalle profondità e dagli insanabili conflitti dell’inconscio attraverso la sua opera, esteticamente intesa come “una correzione di una realtà insoddisfacente”.

 
Tuttavia, ai tempi del tramonto dell’impero austroungarico, e dunque del nostro Gustav Klimt, la scoperta più importante di Freud fu l’analisi della tragedia fatale di Edipo e la sua riconversione “in una legge generale che governa gli eventi psichici”. Le figure dell’“enigma”, della colpa che si sostanziano nel complesso edipico avevano avuto una impressionante costellazione di immagini e di figure nel simbolismo, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e poi nel decadentismo. Anche il periodo dell’impressionismo, apparentemente la fase più felice e solare del modernismo, rappresentata dai pittori en plein air, è ormai tramontato. Per la coscienza europea, inebriata dal progresso scientifico e tecnologico, si rivelano scenari misteriosi e oscuri, che sono quelli dell’interiorità e dell’irrazionalità. Il soggetto moderno scopre che nella realtà psichica si agitano desideri e istinti incontrollabili e potenti e che la parte più ricca di novità è quella del profondo, con le sue corrispondenze che possono apparire illogiche solo rispetto alle decisioni della razionalità, ma che, al contrario, sono portatrici di verità (Nude verità come quelle disegnate e dipinte da Gustav Klimt) che abbattono i confini temporali e spaziali.

 
Protagonisti assoluti dell’archeologia dell’irrazionale sono Richard Wagner (autore di grandi opere liriche come La Valchiria e L’oro del Reno, Tristano e Isotta e il Parsifal) e Friedrich Nietzsche, che nel 1883 aveva pubblicato alcuni dei testi più rivoluzionari del tardo Ottocento, La nascita della tragedia, Ecce Homo, Così parlò Zarathustra. Fari di questa nuova tendenza, verso un’arte di corrispondenze misteriose e inconsce, di simboli e allegorie, e di una parola carica di suggestioni e senza obblighi con la verità oggettiva, furono indubbiamente poeti quali Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud, Paul Verlaine e Stéphane Mallarmé. In una lirica dei Fiori del Male, intitolata Corrispondenze si leggono quelli che vengono considerati da sempre un involontario manifesto del simbolismo. Così cantava Baudelaire: “È un tempio la Natura/, dove a volte parole escono confuse da viventi pilastri/ e che l’uomo attraversa tra foreste di simboli/ che gli lanciano sguardi familiari.” Friedrich Nietzsche (a cui Freud, per sua stessa ammissione, ha riservato una tardiva e accurata attenzione) entra in gioco, in questo rapido sommario con La nascita della tragedia (1872) attraverso la sua dicotomia apollineo-dionisiaco, quasi a gettare nuova luce sulle fantasie letterario-mitologiche dei simbolisti e sull’arcaismo greco che influenzò le opere di Franz von Stuck, Fernand Khnopff e, ad esempio, la Pallade Atena di Klimt. Psicoanalisi e simbolismo, Secessione e avanguardie di inizio Novecento trovano tutti nella Grecia antica modelli e motivi formali per rappresentare l’enigma dell’esistenza. Un percorso quasi parallelo in cui si assiste, come nel primo Rinascimento, alla “sopravvivenza degli antichi dèi pagani”. Quasi duemila anni fa, Plutarco, nel suo De defectu oraculorum, aveva scritto che “il grande dio Pan è morto”. Ora per il tramite di Nietzsche, la teoria sessuale di Freud e attraverso le misteriose e arcaiche immagini degli artisti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, e persino in un racconto horror di uno scrittore decadente come Arthur Machen (Il Grande dio Pan, 1894), Pan e con lui gli altri dèi sembrano definitivamente risorti.

 
In un suo libro, Le muse d’oltremare. Esotismo e primitivismo dell’arte contemporanea (1993), Maria Grazia Messina analizza in maniera brillante e acuta, in un capitolo, “La presenza della Grecia nella cultura mitteleuropea”, come la cultura greca antica sia stata ravvisata “come una condizione tipica e inalienabile dell’esistere umano” in autori come Friedrich Hölderlin, Friedrich Schiller e Goethe. Nel paragrafo dedicato a Klimt, “Arcaismo e decorazione: il caso Klimt”, Maria Grazia Messina scrive come il “caso Klimt” più che riferirsi a una costellazione filosofica in realtà si fondi su una conoscenza pratica di repertori e album in dotazione alla Scuola di Arti applicate, oggi diremmo professionale, frequentata dall’artista. Eppure, in questa circolazione di immagini risiede e riposa la capacità di un artista come Klimt di mescolare feticci, come la Nuda Veritas e l’androginia della Pallade Atena, insieme alla immagine deformata della Medusa. La Pallade Atena di Klimt è un compendio di libera circolazione delle figure mitologiche, che si allineano nel quadro, sulla sua superficie bidimensionale, in forma contemporanea di allegoria ma anche di evidenza e di apertura psicologica. Una certa dose di inconsapevolezza sembra guidare le opere di Klimt che, nello stesso tempo, evocano conflitti, ossessioni e arcaismi che dalla storia antica si ripropongono direttamente sulla scena quotidiana, sulla “psicopatologia della vita quotidiana”. Jean Clair, nel suo saggio su Méduse del 1989 ha ben descritto questa figura che unisce la bellezza al tremendo (e che compare nella corazza della Pallade di Klimt). Medusa ha a che fare con lo sguardo e con il potere paralizzante dell’orrido e del sublime. In questa solenne ambiguità di chi viene guardato e paralizzato, si gioca il ruolo attivo di chi, in ultima analisi, guarda e compie un’opera d’arte. Klimt ha avuto il merito, se così si può dire, di aver mescolato abilmente le carte, di averle disposte in maniera orizzontale sul tavolo senza tanta filosofia. Ha giocato, lasciando che la posta sia rimandata nell’occhio dell’osservatore da artista e da bambino professionista. Prima di lui avevano giocato Caravaggio, Rubens, Füssli, Van Gogh. Dopo di lui sarà la volta di De Chirico, Magritte, Pollock e di un grande scrittore del Novecento come Samuel Beckett.