introduzione

g

ustav Klimt è morto il 6 febbraio del 1918 a Vienna. L’11 novembre la Germania accetta la resa degli Imperi Centrali e pone fine alla Prima guerra mondiale. L’impero asburgico era già scomparso nell’autunno di quell’anno insieme all’artista Egon Schiele (31 ottobre 1918), all’architetto Otto Wagner (11 aprile 1918) e Koloman Moser (18 ottobre 1918), tutti protagonisti della Secessione viennese e del mutato aspetto della città, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento.

Come direbbe Carl Gustav Jung, per mera sincronicità quell’anno si dissolve, dopo secoli, un impero multiculturale che riuniva parti di Polonia, Ungheria, ex Cecoslovacchia, Romania, Italia ed ex Jugoslavia e alcuni artisti, come Gustav Klimt, che hanno segnato una epoca; una bella epoca.

La Finis Austriae per raccontarla con le parole postume dei suoi protagonisti culturali di quel tempo sono Gli ultimi giorni dell’umanità (Karl Kraus, 1922), il Mondo di ieri (Stephan Zweig, 1942, scritto un anno prima di suicidarsi) e soprattutto il capolavoro incompiuto di Robert Musil, L’uomo senza qualità, in cui il nom de plume dell’impero è il significativo Cacania.

Vi è talmente una vasta letteratura sulla fine dell’impero asburgico e sulla contemporanea fioritura di artisti, architetti, musicisti da rimettere in gioco, come aveva scritto Walter Benjamin, una idea di storia e di passato. Una idea, che, per ciò che riguarda l’esperienza artistica, si manifesta in un momento ben preciso, ossia quando l’imperatore Francesco Giuseppe “sente” la necessità di fondare un museo che appunto si richiama alla storia dell’arte, il famoso Kunsthistorisches Museum di Vienna inaugurato nel 1891. Parte preponderante di questo straordinario museo sono le collezioni degli Asburgo, ma è importante anche il nome, e cioè “storia dell’arte”. Le immagini del passato si trovano ordinate secondo genealogie nazionali ma sottoposte al senso e allo sguardo retroattivo della storia e della memoria. Di certo il museo viennese è parente imperiale del British Museum di Londra o del Louvre di Parigi, ma quella originale definizione che unisce storia ad arte, fa sì che l’idea di museo non sia solo quella di una grande raccolta, di un deposito, ma appunto anche quella di un racconto, così come oggi siamo abituati a prenderlo in considerazione. Lo storytelling di una collezione imperiale diviene la storia di popoli diversi; storie e racconti di numerose identità nazionali che paradossalmente, ma non troppo, non hanno un’origine ben definita. Anche dal punto di vista formale, la convivenza all’interno del museo di stili e immagini, che vanno dalla Grecia antica al Rinascimento e oltre, diverrà una grande enciclopedia visiva per gli artisti viennesi antiaccademici come Klimt.