PREMESSa i sono opere d’arte, libri, poemi, quadri, brani musicali, che colpiscono, e che ci lasciano una sorta di inquietudine, come se qualcosa fosse rimasto in sospeso, o come se ci avessero comunicato una oscura ossessione, che in essi si è depositata e che li ha forse contaminati. Penso per esempio all’Innocenzo X di Velázquez, alla Doria Pamphilj di Roma, all’ di Rembrandt alla National Gallery di Londra, o al di Van Gogh, o all’incredibile sequenza delle Montagne Sainte-Victoire di Cézanne. E poi a Giacometti e Bacon o Rothko. E a Édouard Manet, al e all’ , che ho visto e rivisto molte volte, tutte le volte che sono stato a Parigi. C Autoritratto all’età di 63 anni Campo di grano con volo di corvi Déjeuner sur l’herbe Olympia Ho scritto - poco o tanto - su alcuni degli artisti che ho appena ricordato. Non ho mai scritto su Manet, nemmeno una riga. Quando poco tempo fa mi sono riaccostato a Manet, spinto da uno straordinario saggio di Georges Bataille, quando ho cominciato a guardarlo ancora una volta, di nuovo, quando ho cominciato a scriverne, mi sono reso conto che in realtà il segreto di Manet era sempre rimasto nel fondo del mio sguardo, e che aveva segnato il mio rapporto con l’arte e con artisti anche molto distanti da lui. Bataille mi ha permesso di guardare a Manet con occhi stranieri. Così come Genet, Artaud, Rilke o Bonnefoy hanno visto in Rembrandt, in Cézanne in Van Gogh e in Giacometti, quello che gli storici dell’arte, i critici professionisti non hanno visto: il segreto che le loro opere custodiscono. Di questo il mio libro parla. S’intitola Il segreto di Manet non solo perché a Manet è dedicata la parte più importante ed estesa, ma anche perché proprio il segreto di Manet mi ha spinto verso il segreto degli altri artisti che qui compaiono insieme a lui. Imre Kertész, introducendo un suo testo ha affermato che quanto egli proponeva non esauriva il proprio soggetto, ma riusciva “al massimo ad ad esso”, e che comunque quel suo saggio, affrontava, egli scrive, “sebbene da un altro punto di vista, lo stesso argomento delle mie opere narrative: l’inavvicinabile”. Se il mio lavoro non può pretendere tanto, anch’esso però si trova a muoversi, con altri compagni di viaggio e con altri obiettivi, su percorsi già più volte tentati, per cui mi sento di condividere ciò che dice Kertész, che è in fondo una richiesta di complicità al lettore: “Pertanto si troveranno qua e là ripetizioni, citazioni da precedenti lavori che hanno l’effetto di e rimandano alla coerenza - talvolta misteriosa anche per me - di un’unità e di un modo di pensare e di esprimersi e addirittura di esistere”. approssimarsi leitmotiv 1 Note 1) Kertész, Imre, Il secolo infelice, trad. it. di K. Sàndor con la consulenza