L’Olympia svela ai nostri occhi il segreto di Manet. Questo è interamente svelato soltanto nell’Olympia, ma una volta scoperto ne troveremo
ovunque le tracce.
Georges Bataille
Ma se è vero che il segreto iniziale di Manet traspare in questa Olympia che duplica una Venere del Rinascimento, forse si scopre un
segreto più profondo, che le stecche del ventaglio2 dissimulano, ma per meglio rivelarne la profondità.
Georges Bataille 1.Il vicolo cieco del mistero è solo in apparenza cieco. Non è un buco nero, l’implosione del senso, la perdita
del mondo e del soggetto. È l’affacciarsi di una verità di cui non possiamo tracciare netti contorni, ma di cui non possiamo fare a
meno. Cerchiamo di penetrare dentro questa dimensione insieme a Maurice Blanchot, che ha scritto ne
Lo spazio letterario,3 che dall’opera d’arte si sprigiona l’aura di un’assenza di tempo. L’assenza di tempo è di fatto
ciò che definisce lo spazio della morte, che è ciò che l’artista - secondo Blanchot - con la sua opera cerca di raggiungere. Ci sarebbe dunque
una taciuta e nascosta intimità tra l’opera e la morte? La morte è di fatto la fine del tempo, del nostro tempo, ma se l’opera si pone
nello spazio dell’assenza di tempo, l’opera pone paradossalmente se stessa e l’artista nella condizione di non poter morire. L’assenza di
tempo è il tempo della morte, ma è anche inevitabilmente il tempo in cui nulla può più avvenire, nemmeno la morte. Stare dunque in prossimità
alla morte, senza mai possederla, è l’esercizio dell’arte, come Blanchot ha detto della letteratura, che sembra proporsi come la conquista di
“un diritto alla morte”.4