gratia plena Come su un trono, la Vergine siede sulle aspre rocce del Golgota ma non è vecchia né affranta, e il corpo del figlio non appare straziato. Sempre San Tommaso poteva chiarire questo enigma, visto che secondo il teologo “Siccome dunque la formazione del corpo di Cristo doveva avvenire per intervento dello Spirito Santo, era necessario che quella donna dalla quale Cristo avrebbe assunto la carne fosse massimamente ripiena di doni spirituali, così che non solo la sua anima fosse fecondata dalle virtù, ma anche il suo grembo dalla prole divina. Per questa ragione era conveniente non solo che la sua mente fosse immune dal peccato ma che anche il suo corpo fosse lontano da ogni corruzione della concupiscenza carnale”. oche figure nella storia dell’arte cristiana sono tanto memorabili eppure misteriose quanto la Madonna della Pietà vaticana. Se è infatti immediato rapportarsi antropologicamente al tema del lutto materno, la solennità silente di questo compianto apre molteplici livelli di significato per chiunque la contempli. Sfumature che vengono a configurare una nuovissima lode figurativa per la donna-madre: insieme popolare e aulica, naturalistica e metafisica. p La bellezza fisica di Maria, risultato di matrici stilnovistiche, risale nell’immaginazione creativa di Michelangelo alla venerazione che ognuno prova nei confronti della propria madre, eternamente bella agli occhi dei figli. Se in passato la rappresentazione del femminino passava spesso attraverso la diade tra pura bellezza e lascivia (le velatissime Marie delle tavole italiane dai volti severi, il ventre gonfio delle tante Eva medievali e nordiche), qui Michelangelo si libera di quel dualismo. Memore della lezione di Dante, del Petrarca e di Agnolo Poliziano, introduce per il volto e il corpo virginale della sua Madonna un aspetto di venustà che non si separa dalla santità: non si frange sul limite del carnale. Dagli abissi del sentire di tutti, recupera elementi archetipici scolpendoci l’epifania di una bellezza maternale che ci abbaglia ma ci consola, ci abbraccia eppure ci allontana dall’eros e dal blasfemo. Infatti la Vergine ha custodito “il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta e che in lei si è fatto carne”. 166 Va specificato ancora oggi che Michelangelo ha scolpito una Maria dalla giovinezza estrema, la cui fresca bellezza può disturbare i più conservatori risultando quasi impropria, poco opportuna. Alla fine del Quattrocento, la Madonna del Buonarroti non era più il risultato dello studio sul volto di una antica imperatrice o sulla figura della Madre-Terra, viste magari in un sarcofago o in una gemma imperiale. Nella Pietà si congiungono Beatrice e Laura alla Madonna di Dante e alla Vergine del Petrarca: “Vergine sola al mondo, senza esempio, / che ’l ciel di tue bellezze innamorasti”. Si avverte quindi la devozione per la donna-madre da parte del poeta-scultore, secondo il quale la bellezza femminile era soprattutto una chiave per redimere una realtà troppo fisica e triste. Si trattava di una sublimazione di matrice fiorentina e stilnovistica, frutto di un cristianesimo poetico e filosofeggiante. La fede del giovane Michelangelo nel 1499 si rivela colma di afflati naturali, tramutati e riqualificati dalla poesia. Ed ecco che questa visione sul femminile si concentra sul volto: effige senza pari che porta in terra la venustà della Madre Celeste congiunta alla femminilità di ogni giovane madre. La relazione con la poesia italiana del Trecento e del Quattrocento sta allora nella valenza purificatrice e mediatrice di quella femminilità ideale, trascesa ancor più dalla castità ontologica di Maria. Tra l’altro, Michelangelo e il cardinale Jean Bilhères potevano trovare espressioni liriche per alludere alla verginità di Maria di nuovo nel Cantico dei Cantici: “Tutta bella sei, amica mia, in te nessuna macchia”. 167 168 169 Note Sant’Agostino, Commento a Giovanni, 10, 3, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, cit., p. 196. 166 F. Petrarca, Canzoniere, 366, vv. 53-54. 167 Cantico dei cantici, 4, 7. Ancora con Tommaso d’Aquino potremmo dire che il committente dovette instradare il giovane scultore a ragionare sulla bellezza di corpi umani del tutto soggetti all’anima, quindi non turbati da passioni disordinate e lontani dai segni della morte e della malattia (Tommaso d’Aquino, Compendium, cit., cap. 186, p. 467). 168 Ibid., cap. 221, p. 515. 169 La madre che abbraccia il figlio deposto è quindi Vergine in gloria. Lo si comprende persino dall’inclinazione del gruppo, dove lei che sovrasta il figlio accoglie e dimostra il miracolo della sua gravidanza, un’incarnazione del divino che riscatta i peccati di Eva. In questo atto di trasfigurazione sarà da intuire, infine, l’immagine stessa della chiesa, che nella contemplazione del sacrificio mantiene desta nella comunità la devozione per il Redentore, Dio fatto uomo. Un viluppo di stoffe copre Maria e abbraccia Gesù. Il manto e la veste virginale della Madonna sono anche il sudario del Cristo deposto, e in fondo, per via della funzione ostensiva qui assolta, quasi un’allusione al velo della Veronica. Gli abiti della Vergine sono scolpiti in un concerto di segni e di registri variati. Dal velo leggermente plissettato che copre la testa alla corolla dello scollo, all’effusione di pieghe frante sul petto, ai rivoli di stoffa pesante che si distendono e gorgogliano traboccanti nelle falde in basso. Un vortice di stoffa che si apre a toccare rispettosamente il corpo seminudo del Redentore, per contenere un’afflizione poco celata in questi dettagli. In tal senso l’effusione di pieghe sul petto della madre è ostentata come nelle statue ellenistiche quali la Cleopatra vaticana. Nei crepitanti meandri di stoffa sul petto della Madonna la lavorazione si fa sintomatica, perché proprio intorno al cuore di Maria e alla cintola con la firma in capitali latine si legge il trasporto dello scultore verso un dolore umano e mistico assieme: quello della Madre e di Michelangelo, ugualmente stravolti dalla scomparsa di Gesù Cristo dal mondo degli uomini, ma anche estasiati dall’epica resurrezione del Salvatore che di lì a poco avverrà. Sono immagini che rimarrebbero antitetiche se non fosse che le due figure sono di un realismo sovrannaturale, di una bellezza del tutto fisica eppure trascendente, assoluta. Il viluppo di panni intorno al seno e nell’incavo profondo tra le gambe piuttosto che smaterializzare la fisicità di Maria ne proclama la gravidanza effettivamente vissuta: persino la femminilità di Myriam, dunque una maternità virginale, antitetica a quella meramente dolorosa di Eva. In riferimento alla diade Eva-Maria di Nazareth, sembra quasi che il cardinale Jean Bilhères de Lagraulas ricordasse alcune frasi di sant’Ambrogio, laddove si legge: “Anche Maria adorò Cristo, per questo è inviata quale prima annunciatrice della resurrezione agli apostoli sciogliendo le catene ereditarie e la gravissima colpa della donna. Questo operò nel mistero il Signore affinché dove era abbondato il peccato, sovrabbondasse anche la grazia. E giustamente viene inviata agli uomini una donna, in modo che colei che per prima aveva annunciato all’uomo la colpa, per prima annunciasse anche la grazia del Signore”. Inusuale è l’abito di Maria, perché il suo capo è velato ma il collo è libero come nelle rappresentazioni dell’Annunciata, a mostrare il miracolo di una incorrotta maturità, di una giovinezza eterna. In raffigurazioni di altre epoche e di altri artisti la Vergine è invece anziana e tutta fasciata, come meglio si addiceva alle vedove nel costume rinascimentale. Dunque, la Maria del Buonarroti è una personificazione commovente ma non triste. È pura e gentile, attraente come certe soavi giovani donne e Madonne dei fiorentini Luca e Andrea della Robbia. Dopo la crocifissione, Maria ri-accoglie in un abbraccio materno il corpo del figlio. Il gruppo della Pietà racconta infatti anche la relazione del Figlio di Dio con una madre terrena eppure Gratia Plena. Lo sguardo dolcemente nostalgico di Maria, comprensivo della resurrezione e dello scopo salvifico di quell’immenso sacrificio (“Cristo Gesù è colui che è morto, anzi resuscitato” ), appare lontanissimo dal dolore abissale con cui nelle tristi Pietà renane o francesi la Vergine è solitamente ritratta. Secondo Ascanio Condivi questa è una “immagine veramente degna di quella umanità che al figliolo de Iddio si conveniva e a cotanta madre”, la quale è “di tanta e così rara bellezza, che nessun la vede che dentro a pietà non si commuova”. L’umile accettazione del volere dell’Altissimo traspare nel volto di candido marmo di Maria, in cui si palesa la consapevolezza del proprio ruolo materno. Qui, sempre con sant’Agostino, si potrebbe dire che “Santa Maria adempì la volontà del Padre, l’adempì interamente e perciò conta di più esser stata discepola di Cristo che sua madre”. Quella stessa fede fa di Maria nella Pietà la vergine dell’annunciazione, santa nell’obbedienza più estrema. L’accettazione della volontà divina è pienamente enfatizzata, oltre che dall’espressione del volto, dalla posizione lievemente inclinata della Madonna, poi dal gesto della mano sinistra. Aspetti che scartano, per atmosfera di dilatata interiorizzazione, dalla raffigurazione del dolore materno ed esaltano il ruolo di discepola di Cristo assieme alla rinuncia alle lacrime. Merita qui proporre un precedente pittorico soprattutto per il gesto così significativo di Maria che con la mano si rivolge ai fedeli e all’Altissimo. Una soluzione iconografica inconsueta che si ritrova, guarda caso, in una pala con la Natività (1490 circa) eseguita da Benedetto Ghirlandaio in Francia, nella chiesa di Nôtre-Dame ad Aigueperse. La Madonna del Ghirlandaio tiene in grembo il bambino Gesù e con la mano sinistra sembra voler offrire il piccolo Re del Mondo all’assemblea evocandone il sacrificio. Magari una soluzione nota o perfino studiata a Firenze nella bottega di Domenico Ghirlandaio dove il Buonarroti, come si è detto, imparò il mestiere di pittore. Di particolare interesse è pure la costruzione del panneggio a larghe falde spartite in due blocchi corrispondenti agli arti inferiori e un ricasco alla destra della figura di Maria. Sempre di origine fiorentina è pure il Compianto su Cristo morto e quattro santi di Francesco Botticini, un’opera conservata al Museo Jacquemart-André di Parigi. Questa tavola, risalente al 1488 circa, si pensa sia stata eseguita per la chiesa fiorentina di Ognissanti e per il futuro esploratore Amerigo Vespucci, uomo piuttosto vicino a quel Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici che aiutò Michelangelo a entrare in contatto con Roma negli anni novanta del XV secolo. A paragone con la Pietà di Michelangelo nel dipinto di Francesco Botticini si nota un’identica costruzione piramidale, mentre appare invertito il rapporto tra le grandezze dei corpi di Maria e di Gesù. Nella tavola parigina la Madonna, assai anziana, è posta davanti al legno lungo della croce. Maria siede su delle rocce immaginate a gradoni ovati; il corpo di Cristo disteso sulle sue ginocchia è monumentale, ed ella non riesce ad abbracciarlo tutto. Cosa che invece accade nell’invenzione di Michelangelo per Jean Bilhères de Lagraulas. In altre parole, l’artista volle sublimare l’immenso dolore della madre pensando da subito alla beatitudine della Madonna: “Per questo Maria era beata, perché, prima di partorire il maestro, lo portò in seno”. La figura della Madonna discepola del Messia oltre che madre di Gesù ci porta fuori dall’origine popolare delle Pietà nordiche in legno familari al cardinale, ma anche dalla gamma dei sentimenti angosciosi dei fedeli durante la quaresima; ci conduce verso un aspetto più intellettualistico, cioè al paragone della Vergine con la chiesa cattolica. Quasi che l’artista e il cardinale enfatizzassero che le amarezze e le angosce per la morte del Salvatore fossero sorpassate dalla comprensione più fedele e più umile della crocifissione, dall’accettazione del mistero, non solo della nascita di Cristo-Dio in carne umana, ma anche del sacrificio di quella carne sulla croce. Un tipo scandaloso di fede e di sapienza, come ribadiva san Paolo: “mentre i giudei chiedono i miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio”. In tal senso è utile ricordare il paragone tra Maria come madre e sposa di Cristo con la stessa chiesa, nozione evidentemente cara al cardinale Bilhères. Così, infatti, dice Sant’Agostino: “La Chiesa - e questo è chiaro - è sposa di Cristo; e come - il che è più difficile a intendere, ma pure è vero - è madre di Cristo. Maria l’ha preceduta come figura di essa. In qual senso, vi domando, Maria è madre di Cristo, se non perché ha partorito le membra di Cristo? Voi, ai quali io parlo, siete le membra di Cristo. Chi vi ha partoriti? Odo la voce del vostro cuore: la madre Chiesa. Codesta madre santa, onorata, simile a Maria, partorisce ed è vergine”. 170 171 172 173 174 175 176 177 178 Note Ambrogio, Sullo Spirito Santo, 3, 74-76, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, cit., p. 176. 170 Paolo, Romani, 8, 34. 171 A. Condivi, op. cit., p. 20. 172 Sant’Agostino, Discorsi, 72 A, 7, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, a cura della Comunità di Bose, con un saggio introduttivo di E. Bianchi, Milano, 2006, p. 197. 173 Sull’attribuzione a Benedetto Bigordi si rinvia a L. Venturini, “I Ghirlandaio”, in Maestri e botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento, a cura di M. Gregori, A. Paolucci, C. Acidini Luchinat, Cinisello Balsamo-Milano, 1992, p. 111 e n. 20. 174 Per il quadro di Botticini cfr. N. Sainte Fare Garmot, in Le Musée Jacquemart-André, Firenze, 2012, p. 136. Per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e Michelangelo, si rinvia a S. Risaliti, F. Vossilla, Metamorfosi del David, Firenze, 2010, pp. 47-49, 53-57. 175 Ivi. 176 Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 1, 22-25. 177 Sant’Agostino, in Sant’Agostino d’Ippona. La Vergine Maria, cit., Sermo Denis, 25, 3-8, p. 88. 178 Il fedele che entrava nella navata circolare di Santa Petronilla avvicinandosi alla Pietà poteva riflettere sul sacrificio eucaristico tramite il gesto di Maria. La presenza icastica e monumentale della Madonna poneva in scena colei che era stata scelta tra tutte le donne per essere tempio del Dio vivente, madre misericordiosa che dal suo trono di saggezza intercede per la salvezza di ogni cristiano. Perciò nella Pietà il corpo scolpito del Dio-uomo è quello del figlio e dell’Agnello, cioè il limite dove si confonde e si ritrova il divino con l’umano. Al fedele, invece di un’impronta su un panno o di un ostia, cibo divino, si dava una presenza tridimensionale. La conciliante promessa di un riscatto che non negasse la nostra natura ma ci rendesse nuovamente figli di Dio, membri di un’assemblea di fratelli, esseri umani prodotti a somiglianza dell’Altissimo anche nell’involucro di carne. Ribadiamo la scelta di un linguaggio affine a quello della poesia italiana medievale, operata personalmente dal Buonarroti per integrare le citazioni artistiche e forse per partecipare da fiorentino al progetto figurativo imposto da Jean Bilhères. Con altre parole, Michelangelo ha cercato di trasferire in pietra un novero di memorie poetiche intorno a solenni antitesi che riguardano la persona della Mater Dei. Antitesi poetiche oltre che logiche, ben riassunte da Dante: “ ”. Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura”; da Francesco Petrarca: “Vergine pura, d’ogni parte intera, / del tuo parto gentil figliola et Madre”; infine, da Agnolo Poliziano che ha scritto: “Vergine santa, immaculata e degna, / amor del vero Amore, che partoristi il Re che nel ciel regna, / creando il Creatore / nel tuo talamo mondo 179 180 181 Note Dante, Paradiso, XXXIII, 1-2. 179 F. Petrarca, Canzoniere, 366, vv. 27-28. 180 A. Poliziano, Rime, CXXVIII, in Stanze Orfeo Rime, introduzione, note e indici di D. Puccini, Milano, 2007, p. 342. 181