gratia plena

poche figure nella storia dell’arte cristiana sono tanto memorabili eppure misteriose quanto la Madonna della Pietà vaticana. Se è infatti immediato rapportarsi antropologicamente al tema del lutto materno, la solennità silente di questo compianto apre molteplici livelli di significato per chiunque la contempli. Sfumature che vengono a configurare una nuovissima lode figurativa per la donna-madre: insieme popolare e aulica, naturalistica e metafisica. 

 
La bellezza fisica di Maria, risultato di matrici stilnovistiche, risale nell’immaginazione creativa di Michelangelo alla venerazione che ognuno prova nei confronti della propria madre, eternamente bella agli occhi dei figli. Se in passato la rappresentazione del femminino passava spesso attraverso la diade tra pura bellezza e lascivia (le velatissime Marie delle tavole italiane dai volti severi, il ventre gonfio delle tante Eva medievali e nordiche), qui Michelangelo si libera di quel dualismo. Memore della lezione di Dante, del Petrarca e di Agnolo Poliziano, introduce per il volto e il corpo virginale della sua Madonna un aspetto di venustà che non si separa dalla santità: non si frange sul limite del carnale. Dagli abissi del sentire di tutti, recupera elementi archetipici scolpendoci l’epifania di una bellezza maternale che ci abbaglia ma ci consola, ci abbraccia eppure ci allontana dall’eros e dal blasfemo. Infatti la Vergine ha custodito “il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta e che in lei si è fatto carne”.166 

Va specificato ancora oggi che Michelangelo ha scolpito una Maria dalla giovinezza estrema, la cui fresca bellezza può disturbare i più conservatori risultando quasi impropria, poco opportuna. Alla fine del Quattrocento, la Madonna del Buonarroti non era più il risultato dello studio sul volto di una antica imperatrice o sulla figura della Madre-Terra, viste magari in un sarcofago o in una gemma imperiale. Nella Pietà si congiungono Beatrice e Laura alla Madonna di Dante e alla Vergine del Petrarca: “Vergine sola al mondo, senza esempio, / che ’l ciel di tue bellezze innamorasti”.167 Si avverte quindi la devozione per la donna-madre da parte del poeta-scultore, secondo il quale la bellezza femminile era soprattutto una chiave per redimere una realtà troppo fisica e triste. Si trattava di una sublimazione di matrice fiorentina e stilnovistica, frutto di un cristianesimo poetico e filosofeggiante. La fede del giovane Michelangelo nel 1499 si rivela colma di afflati naturali, tramutati e riqualificati dalla poesia. Ed ecco che questa visione sul femminile si concentra sul volto: effige senza pari che porta in terra la venustà della Madre Celeste congiunta alla femminilità di ogni giovane madre. La relazione con la poesia italiana del Trecento e del Quattrocento sta allora nella valenza purificatrice e mediatrice di quella femminilità ideale, trascesa ancor più dalla castità ontologica di Maria. Tra l’altro, Michelangelo e il cardinale Jean Bilhères potevano trovare espressioni liriche per alludere alla verginità di Maria di nuovo nel Cantico dei Cantici: “Tutta bella sei, amica mia, in te nessuna macchia”.168 


Come su un trono, la Vergine siede sulle aspre rocce del Golgota ma non è vecchia né affranta, e il corpo del figlio non appare straziato. Sempre San Tommaso poteva chiarire questo enigma, visto che secondo il teologo “Siccome dunque la formazione del corpo di Cristo doveva avvenire per intervento dello Spirito Santo, era necessario che quella donna dalla quale Cristo avrebbe assunto la carne fosse massimamente ripiena di doni spirituali, così che non solo la sua anima fosse fecondata dalle virtù, ma anche il suo grembo dalla prole divina. Per questa ragione era conveniente non solo che la sua mente fosse immune dal peccato ma che anche il suo corpo fosse lontano da ogni corruzione della concupiscenza carnale”.169