FARE ALCUNE COSE
FUOR D’ORDINE DI GIOVANE

ora il giovane Michelangelo aveva l’occasione di affrontare in marmo il mistero dell’Incarnazione che “tra le opere di Dio è quella che più sorpassa la ragione”, come ricordava San Tommaso d’Aquino, “poiché non si può pensare nessun’opera divina più mirabile di questa, che il vero Dio, il Figlio di Dio, diventasse vero uomo”.9 A Firenze il diciottenne Buonarroti aveva già scolpito la Madonna della Scala (1490-92), un grande Ercole in marmo (oggi perduto) e sicuramente un Crocifisso in legno (1493 circa), avvicinandosi agli agostiniani di Santo Spirito grazie anche all’amichevole protezione di Piero di Lorenzo de’ Medici. Giorgio Vasari racconta che quel Crocifisso venne realizzato per essere posto in alto, “sopra il mezzo tondo dell’altare maggiore [...] a compiacenza del priore” Niccolò Bicchiellini, il quale permise al giovane di utilizzare certi ambienti del grande convento di Santo Spirito dove poter osservare “corpi morti, per studiare le cose di notomia”, tanto da “dare perfezione al gran disegno ch’egli ebbe poi”.10 


È interessante notare che, molti secoli prima, proprio sant’Agostino aveva criticato l’esasperazione degli studi anatomici, talora crudeli, giustificabili solo quando si volesse ritrovare nelle “viscere interiori che non ostentano nessuna eleganza [...] una bellezza razionale così seducente, che a giudizio della mente, che si serve degli occhi, verrebbe anteposta a tutte le forme esteriori, che piacciono agli occhi”.11 Per altro l’aspetto esile e non scarnificato del Crocifisso in legno - oggi esposto troppo in basso nella sacrestia di Santo Spirito - ha ricordato giustamente agli storici alcune parole di Girolamo Savonarola. Per il priore domenicano di San Marco il tipo fisico di Gesù era “di nobile complessione, et tenera et delicata et molto sensibile”, tanto che “ogni minima pontura era a lui molto dolorosa”.12 Quel Crocifisso13 ci fa capire come l’artista avesse già in mente un tipo di arte religiosa che fosse devota e intensa nel risultato plastico, ma non scadesse in rappresentazioni troppo empiriche o troppo drammatiche, morbosamente patetiche e teatrali. Tra l’altro gli stessi frati di Santo Spirito potevano aver suggerito a Michelangelo le considerazioni di sant’Agostino, molto critico nei confronti del potere affabulante del teatro tragico, con la sua istrionica rappresentazione di dolori che “non penetrano a fondo nel cuore” e scalfiscono solo “a fior di pelle”.14 All’opposto, i coevi Compianti di Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni - abitati da figure realistiche che nascondevano il loro carattere fittizio nella policroma e verace terracotta - emulavano la teatralità delle sacre rappresentazioni con incantatoria mimesi. Difatti, quegli artisti traducevano in scultura il sentimento spiritato, il tono affranto, il pianto convulso di certi funerali dell’epoca con le prefiche scarmigliate e urlanti, in preda a una disperazione più affettata che spontanea.15
Anche a Roma il Buonarroti lavorò per gli agostiniani, venendo incaricato nell’agosto-settembre del 1500 di dipingere una Deposizione per la cappella funebre del cardinale Giovanni Ebu.16 Va pure detto che il suo pigmalione di allora, il cardinale Raffaele Riario, protettore dell’ordine agostiniano, era in stretto contatto con il famoso predicatore Mariano da Gennazzano, amico di Agnolo Poliziano e di Lorenzo il Magnifico, nonché avversario del Savonarola, nominato generale degli agostiniani nel 1497. Verosimilmente questi collegamenti instillarono nel giovane artista il desiderio di approfondire il pensiero del vescovo di Ippona, anche per la sua grande influenza sull’amato poeta Francesco Petrarca, secondo cui il corpo del Messia era quello di un “verace homo et verace Dio”.17 Dopo il successo della Pietà il Buonarroti sconcertò il mondo dell’arte arrivando a scolpire un’altra meraviglia: il celeberrimo David, immagine di un umile pastore “trasfigurato” in eroe dal disegno divino. Il colosso del 1501 dipese dall’esperienza di crescita che l’artista fiorentino aveva vissuto nell’invenzione della Pietà. Anzi, proprio quei primi anni romani e il riferimento all’arte classica aiutarono Michelangelo a correggere il David abbozzato da Agostino di Duccio nel 1464, trasformandone l’aspetto quattrocentesco con un innovativo utilizzo del nudo.18 Sia nella Pietà sia nel David, l’incontro del trascendente con la forma corporea scaturì in lui dalla consapevolezza di poter raffigurare concetti filosofici e verità dogmatiche che riguardavano proprio l’immanenza del sacro nel tempo degli uomini. Uno sforzo immaginativo che accompagnò l’esistenza del maestro dai giorni di quelle statue quasi miracolose fino alla terribile visione del Giudizio universale (1533-1541), dominato dall’apparire del Redentore: “il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.19