ora il giovane Michelangelo aveva l’occasione di affrontare in marmo il mistero dell’Incarnazione che “tra le opere di Dio è quella che più sorpassa la ragione”, come ricordava San Tommaso d’Aquino, “poiché non si può pensare nessun’opera divina più mirabile di questa, che il vero Dio, il Figlio di Dio, diventasse vero uomo”.9 A Firenze il diciottenne Buonarroti aveva già scolpito la Madonna della Scala (1490-92), un grande Ercole in marmo (oggi perduto) e sicuramente un Crocifisso in legno (1493 circa), avvicinandosi agli agostiniani di Santo Spirito grazie anche all’amichevole protezione di Piero di Lorenzo de’ Medici. Giorgio Vasari racconta che quel Crocifisso venne realizzato per essere posto in alto, “sopra il mezzo tondo dell’altare maggiore [...] a compiacenza del priore” Niccolò Bicchiellini, il quale permise al giovane di utilizzare certi ambienti del grande convento di Santo Spirito dove poter osservare “corpi morti, per studiare le cose di notomia”, tanto da “dare perfezione al gran disegno ch’egli ebbe poi”.10
Anche a Roma il Buonarroti lavorò per gli agostiniani, venendo incaricato nell’agosto-settembre del 1500 di dipingere una Deposizione per la cappella funebre del cardinale Giovanni Ebu.16 Va pure detto che il suo pigmalione di allora, il cardinale Raffaele Riario, protettore dell’ordine agostiniano, era in stretto contatto con il famoso predicatore Mariano da Gennazzano, amico di Agnolo Poliziano e di Lorenzo il Magnifico, nonché avversario del Savonarola, nominato generale degli agostiniani nel 1497. Verosimilmente questi collegamenti instillarono nel giovane artista il desiderio di approfondire il pensiero del vescovo di Ippona, anche per la sua grande influenza sull’amato poeta Francesco Petrarca, secondo cui il corpo del Messia era quello di un “verace homo et verace Dio”.17 Dopo il successo della Pietà il Buonarroti sconcertò il mondo dell’arte arrivando a scolpire un’altra meraviglia: il celeberrimo David, immagine di un umile pastore “trasfigurato” in eroe dal disegno divino. Il colosso del 1501 dipese dall’esperienza di crescita che l’artista fiorentino aveva vissuto nell’invenzione della Pietà. Anzi, proprio quei primi anni romani e il riferimento all’arte classica aiutarono Michelangelo a correggere il David abbozzato da Agostino di Duccio nel 1464, trasformandone l’aspetto quattrocentesco con un innovativo utilizzo del nudo.18 Sia nella Pietà sia nel David, l’incontro del trascendente con la forma corporea scaturì in lui dalla consapevolezza di poter raffigurare concetti filosofici e verità dogmatiche che riguardavano proprio l’immanenza del sacro nel tempo degli uomini. Uno sforzo immaginativo che accompagnò l’esistenza del maestro dai giorni di quelle statue quasi miracolose fino alla terribile visione del Giudizio universale (1533-1541), dominato dall’apparire del Redentore: “il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.19