Così, come il Verrocchio e Leonardo, anche Michelangelo comprende che, senza l’apporto di ombre più o meno profonde e di luci più o meno brillanti, la sua scultura a due figure sarebbe apparsa piatta e monotona. Di conseguenza egli lavorò anche con il trapano, riuscendo a mantenere morbidezza tra una piega e l’altra proprio nelle ampie vesti della Vergine. Poi, con un successivo e prolungato lavoro “di lima”, effettuato con abrasivi e molto olio di gomito, arrivò a ottenere una superficie quasi smaltata, come d’alabastro, o liquida come di cera. Non per nulla il Vasari sostiene che lo scultore deve ottenere un risultato attendibile119 e gradevole nel “dare perfezione alla figura, volendole aggiugnere dolcezza, morbidezza e fine”.120 In tal senso il Buonarroti si è sforzato di sottomettere la dura pietra a un gioco preciso di contrasti luminosi, dove la luce zenitale o quella diffusa dalle candele scorressero sopra le linee che compongono l’assetto piramidale della Pietà e marcasse un susseguirsi di curve generate una dall’altra, ora in ombra ora in chiaro. Tutto questo lavoro sulle superfici investite dalla luce veniva a strutturare un aspetto teatrale, tale da rafforzare il tono lirico della Pietà giocato appunto tra rimpianto e aspettativa del futuro, tra dolore e speranza.
in lotta con leonardo
Così, come il Verrocchio e Leonardo, anche Michelangelo comprende che, senza l’apporto di ombre più o meno profonde e di luci più o meno brillanti, la sua scultura a due figure sarebbe apparsa piatta e monotona. Di conseguenza egli lavorò anche con il trapano, riuscendo a mantenere morbidezza tra una piega e l’altra proprio nelle ampie vesti della Vergine. Poi, con un successivo e prolungato lavoro “di lima”, effettuato con abrasivi e molto olio di gomito, arrivò a ottenere una superficie quasi smaltata, come d’alabastro, o liquida come di cera. Non per nulla il Vasari sostiene che lo scultore deve ottenere un risultato attendibile119 e gradevole nel “dare perfezione alla figura, volendole aggiugnere dolcezza, morbidezza e fine”.120 In tal senso il Buonarroti si è sforzato di sottomettere la dura pietra a un gioco preciso di contrasti luminosi, dove la luce zenitale o quella diffusa dalle candele scorressero sopra le linee che compongono l’assetto piramidale della Pietà e marcasse un susseguirsi di curve generate una dall’altra, ora in ombra ora in chiaro. Tutto questo lavoro sulle superfici investite dalla luce veniva a strutturare un aspetto teatrale, tale da rafforzare il tono lirico della Pietà giocato appunto tra rimpianto e aspettativa del futuro, tra dolore e speranza.