l'immagine benedetta

Fu a Roma che Michelangelo comprese come la forza del suo pensiero creativo si completasse nell’arte sacra. Immaginiamo che nella città opulenta e corrotta dei principi della chiesa egli trovasse una nuova sorgente di fede tramite l’esperienza folgorante di un’intimità con Cristo afferrata nello scolpirne un’immagine tridimensionale a grandezza naturale. Dopo una stagione di vagheggiamenti neoellenistici (il Bacco con satiro) e di fantasie legate alla poesia antica (l’ispirazione ovidiana della Battaglia dei centauri), si presentava per il giovane fiorentino la necessità di trascendere il culto secolare e filosofico della creatura umana nell’amore per il Creatore. Così la Pietà gli offrì una prima occasione di purificazione. Il Buonarroti sapeva di operare vicino al panno della Veronica, reliquia conservata in Vaticano ed esposta nell’antica basilica di San Pietro in speciali occasioni, come gli anni santi.131 Chissà che 82 Michelangelo prima di scolpire la Pietà non abbia avuto occasione di studiare il volto di Gesù sofferente impresso su quel velo, magari tramite i cardinali con i quali era venuto in contatto: “imagine benedetta la quale Iesù Cristo lasciò per essemplo della sua bellissima figura”,132 come sicuramente lo scultore ricordava con Dante. Forse grazie a questa esperienza maieutica sentì lancinante il pungolo del volto di Cristo: impronta luminosa e genealogica nel segno di Adamo. A fronte di quel nuovo innamoramento celeste, Michelangelo riconobbe la ragione del suo disagio spirituale: quanto cioè il proprio precedente anelito estetico potesse essere solo un fuoco brutalizzante. E allora rivolgiamo la nostra attenzione al volto marmoreo del Messia. Di quell’effige in marmo furono fonte primaria i Gesù del Monumento Forteguerri di Pistoia e dell’Incredulità di san Tommaso per Orsanmichele a Firenze; umanistiche epifanie di Andrea del Verrocchio che Michelangelo emula ma integra di maggiore spinta emotiva per innalzare spiritualmente l’insistenza calligrafica, nonché la tipizzazione dei volti sacri nei quali il Verrocchio era maestro.

 
Il volto di Gesù della Pietà è stato plasmato come attestazione di fede autentica; quanto vi si disegna di ritratto umano rivela ancora oggi i limiti di un raptus affettivo diagnosticabile solo dall’alto, perché la testa è reclinata all’indietro, non esposta alla venerazione dei fedeli. Quella fisionomia è dunque destinata a una contemplazione elevata ma individuale, che includeva e privilegiava l’artefice. Questi era stato l’unico essere umano a prendere parte al simbolico gioco di sguardi tra la Madonna, il Figlio e l’Altissimo. 

 
Scolpendo per Jean Bilhères il volto del Redentore dopo molti altri artefici e molti altri committenti, dopo più di mille anni di immagini cristiche, il Buonarroti si è soffermato su dettagli di sapore lirico e di valenza personalissima, definendo per brani eccelsi (i riccioli, le sopracciglia, le palpebre, le narici quasi vive, i baffi e la barbula, le labbra, i denti) il sembiante completo del suo Salvatore, come se il volto dell’Amato fosse anche quello del fratello. Pensiamo a quello che scrive Dante nel XXXIII canto del Paradiso: “Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta de la nostra effige: / per che ’l mio viso in lei tutto era messo”.133 Così il cardinale Bilhères - confidando nella valenza escatologica del rapporto tra la Pietà e la propria sepoltura - permise a Michelangelo di scolpire qualcosa di radicale e di intimo, avendo forse compreso l’urgenza spirituale del giovane artista. In quel bel Cristo deposto il volto soprannaturale del Redentore è anche icona, ma il magnetismo severo e separante delle tavole bizantine si fonde qui in un’umanità pristina, traccia di autentica fratellanza con Gesù. Pertanto, nella Pietà leggiamo un afflato poetico, un’insistenza e una preoccupazione a far bene nello svolgimento di un tema tanto sidereo quanto abissale che poteva facilmente deragliare in un simulacro o in un’impressione di carnale avvenenza. 


Se come l’artista potessimo ammirare la Pietà dall’alto e da vicino, vedremmo il marmo prendere consistenza ulteriore, soprattutto se una luce bagnasse da sopra la fisionomia di Gesù. Così da esaltare e quasi farci ripercorrere i momenti dell’invenzione, l’emozione di una verifica tattile sulle superfici levigate, scaldate dalla cera. Poi, di fronte all’opera a grandezza naturale compiuta ex uno lapide, il sentirsi capace di lambire la potenza divina, creatrice dall’informe e vittoriosa sulla morte. Anzi, a Michelangelo il volto che aveva scolpito sembrava ancora animato di sentimento, caduto temporaneamente in un sonno dolcissimo. Ribadiamo che la visione dall’alto corrispondeva al punto di vista dell’artista; vi si insinuava uno scarto emotivo tra la libera devozione di Michelangelo e l’ammirazione dei pellegrini francesi (magari alla ricerca di un’altra stupefacente reliquia come la Veronica), i quali avrebbero potuto apprezzare la sacralità del bel volto di Gesù solo se l’opera fosse stata posizionata a terra.