Libro di pittura Parte prima (1-24) di Messere Lionardo Da Vinci pittore e scultore fiorentino [1] S cienzia èdetto quel discorso mentale il qual ha origine da’ suoi ultimi principii, de’ quali in natura null’altra cosa si pò trovare che sia parte d’essa scienzia, come nella quantità continua, cioè la scienzia de geometria, la quale, cominciando dalla superficie de’ corpi, si trova avere origine nella linea, termine d’essa superficie. E in questo non restiamo satisfatti, perché noi conosciamo la linea avere termine nel ponto, e il puonto essere quello del quale null’altra cosa pò essere minore. Adonque il ponto è il primo principio della geometria, e nissun’altra cosa può essere né in natura, né in mente umana, che possa dare principio al puonto. Perché se tu dirai, nel contatto fatto e la pittura è scienzia o no. S superficie da una ultima acuità della ponta de lo stile, quello essere creazione del puonto, questo non è vero; ma diremo questo tale contatto essere una superfizie che circonda il suo mezzo, e in esso mezzo èla residenzia del puonto, e tal puonto non èdella materia d’essa superfizie, né lui, né tutti li puonti de l’universo sono in potenzia ancor che sieno uniti, dato che si potessero unire, comporrebbono parte alcuna d’una superfizie. E dato che tu te immaginassi un tutto essere composto de mille puonti, qui devidendo alcuna parte da essa quantità de mille, si può dire molto bene che tal parte sia equale al suo tutto. E questo si prova col zero over nulla, cioè la decima figura de la arismetica, per la quale si figura un 0 per esso nullo, il quale, posto dopo la unità, il fa dire dieci, e se ne porrai due dopo tale unità, dirà cento, e cosi infinitamente crescerà sempre dieci volte il numero dove esso s’aggionge; e lui in sé non vale altro che nulla, e tutti li nulli dell’universo sono equali a un sol nulla in quanto alla loro sustanzia e valitudine. Nissuna umana investigazione si pò dimandare vera scienzia, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni. E se tu dirai che le scienzie, che principiano e finiscano nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si niega per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienzia, sanza la quale nulla dà di sé certezza. [2] Essempio e diffe Tal proporzione è dalla immaginazione a l’effetto qual è da l’ombra al corpo ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura, perché la poesia pon le sue cose nella imaginazione de lettere, e la pittura le dà realmente fori de l’occhio, del qual occhio riceve le similitudini, non altrimente che s’elle fussino naturali, e la poesia le dà sanza essa similitudine, e non passano alla impressiva per la via della virtù visiva come la pittura. nza tra pittura e poesia. Il principio della scienzia della pittura è il puonto, il secondo è la linea, il terzo è la superfizie, il quarto è il corpo che si veste de tal superfizie; e questo è in quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché invero la pittura non s’astende più oltra che la superfizie, per la quale si finge il corpo figura di qualonque cosa evidente. [3] Del primo principio della scienzia della pittura. Testo La superficie piana ha tutto il suo simulacro in tutta l’altra superfizie piana che li sta per obbietto. Provasi, e sia r s la prima superfizie piana, e o q sia la seconda superfizie piana posta a riscontro alla prima. Dico ch’essa prima superfizie r sè tutta in oq superfizie e tutta in o e tutta in q e tutta in p, perché r sè basa dell’angolo o e dell’angolo p e cosi d’infiniti angoli fatti in o q. [4] Principio della scienzia della pittura. Il secondo principio della pittura èl’ombra del corpo, che per lei si finge, e de questa ombra daremo li suoi principii, e con quelli procederemo nell’insculpire la predetta superfizie. [5] Del secondo principio della pittura. La scienzia della pittura s’astende in tutti li colori delle superfizie e figure de’ corpi da quelle vestiti, et a le loro propinquità e remozioni con li debiti gradi de diminuzione secondo li gradi delle distanzie. E questa scienzia è madre della prospettiva, cioè linee visuali, la qual prospettiva si divide in tre parti, e di queste la prima contiene solamente li lineamenti de’ corpi; la seconda della diminuzione de’ colori nelle diverse distanzie; la terza, della perdita della congionzione de’ corpi in varie distanzie. Ma la prima, che sol s’astende nelli lineamenti e termini de’ corpi, èdetto disegno, cioè figurazione de qualonque corpo. Da questa n’esce un’altra scienzia che s’astende in ombra e lume, o voi dire chiaro e scuro, la qual scienzia è di gran discorso. Ma quella delle linee visuali ha partorito la scienzia dell’astronomia, la quale è semplice prospettiva, perché son tutte linee visuali e piramidi tagliate. [6] In che s’astende la scienzia della pittura. Quella scienzia è più utile della quale il suo frutto è più communicabile, e così per contrario è meno utile ch’è meno communicabile. La pittura ha il suo fine communicabile a tutte le generazioni de l’universo, perché il suo fine èsubbietto della virtù visiva, e non passa per l’orecchio al senso comune col medesimo modo che vi passa per il vedere. Adonque questa non ha bisogno de interpreti de diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha satisfatto alla umana spezie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte dalla natura. E non che alla spezie umana, ma alli altri animali, come s’è manifestato in una pittura imitata da uno padre de famiglia, alla quale faceva carezze li piccioli figlioli che ancora erano nelle fascie, e similmente il cane e gatta della medesima casa, ch’era cosa maravigliosa a considerare tale spectacolo. La pittura rapresenta al senso con più verità e certezza l’o-pere de natura, che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rapresentano con più verità le parole al senso, che non fa la pittura. Ma diremmo essere più mirabile quella scienzia che rapresenta l’opere de natura, che quella che rapresenta l’opere del’operatore, cioè l’opere degli omini, che sono le parole, com’è la poesia, e simili, che passano per la umana lingua. [7] Quale scienzia è più utile, et in che consistela sua utilità. Le scienzie che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo si fa equale allo auttore, e similmente fa il suo frutto. Queste sono utili allo imitatore, ma non sono de tanta eccellenzia, quanto sono quelle che non si possono lasciare per eredità, come l’altre sustanzie. Infra le quali la pitturaè la prima; questa non s’insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quanto il maestro gli ne legge. Questa non si copia, come si fa le lettere, che tanto vale la copia quanto l’origine. Questa non s’impronta, come si fa la scultura, della quale talè la impressa qual èla origine in quanto alla virtù de l’opera. Questa non fa infiniti figlioli come fa li libri stampati. Questa sola si resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce mai figlioli equali a sé. E tal singularità la fa più eccellente che quelle che per tutto sono publicate. Or non vedemo noi li grandissimi re dell’Oriente andare velati e coperti, credendo diminuire la fama loro col publicar e divulgare le loro presenzie? Or non si vede le pitture rapresentatrici delle divine deità essere al continuo tenute coperte con copriture di grandissimi prezzi? E quando si scoprano, prima si fa grande solennità ecclesiastiche de vari canti con diversi suoni. E nello scoprire, la gran moltitudine de’ populi che quivi concorrono immediate se gittano a terra, quella adorando e pregando per cui tale pittura èfigurata, de l’acquisto della perduta sanità e della etterna salute, non altramente che se tale iddea fusse lì presente in vita. Questo non accade in nissun’altra scienzia od altra umana opera, e se tu dirai questa non esser virtù del pittore, ma propria virtù della cosa imitata, si risponderà che in questo caso la mente delli omini pò satisfare standosi nel letto, e non andare ne’ lochi faticosi e pericolosi, ne’ pellegrinaggi, come al continuo far si vede. Ma se pure ta [8] Delle scienzie imitabili. i pellegrinaggi al continuo sono in essere, chi li move sanza necessità? Certo tu confessarai essere tale simulacro, il quale far non pò tutte le scritture che figurar potessino in effigia e in virtù tale iddea. Adonque pare che essa iddea ami tal pittura, et ami chi l’ama e riverisce, e si diletti d’essere adorata più in quella che in altra figura di lei imitata, e per quella faccia grazie e doni di salute, secondo il credere di quelli che in tal loco concorreno. La pittura sol s’astende nelle superfizie de’ corpi, e la sua prospettiva si astende nel accrescimento e decrescimento de’ corpi e de’ lor colori, perché la cosa che si rimove dall’occhio perde tanto di grandezza e de colore quanto l’acquista de remozzione. Adonque la pittura è filosofia, perché la filosofia tratta de moto aumentativo e diminutivo, il quale si trova nella sopradetta proposizione. Della quale faremo la conversa, e dire [9] Come la pittura abraccia tutte le superfiziede’ corpi, et in quelle s’astende. : La cosa veduta da l’occhio acquista tanto de grandezza e notizia e colore, quanto ella diminuisce lo spazio interposto infra essa e l’occhio che la vede. Chi biasima la pittura, biasima la natura, perché l’opere del pittore rapresentano le opere d’essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia de sentimento. Si prova la pittura essere filosofia perché essa tratta del moto de’ corpi nella prontitudine delle loro azzioni, e la filo sofia ancora lei s’astende nel moto. Tutte le scienzie che finiscono in parole han sì presto morte come vita, eccetto la sua parte manuale, cioè lo scrivere, ch’è parte mecanica. La pittura s’astende nelle superfizie, colori e figure de qualonque cosa creata dalla natura, e la filosofia penetra dentro alli medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù, ma non rimane satisfatta con quella verità che fa il pittore, che abbraccia in sé la prima verità di tali corpi, perché l’occhio meno se inganna. [10] Come la pittura abbraccia le superfizie, figure e colori de’ corpi naturali, e la filosofiasol s’astende nelle lor virtù naturali. L’occhio nelle debite distanzie e debiti mezzi meno s’inganna nel suo uffizio che nissun altro senso, perché vede se non per linee rette, che compongono la piramide che si fa basa dell’obbietto, e la conduce a esso occhio, come intendo provare. Ma l’orecchio forte s’inganna nelli siti e distanzie delli suoi obbietti, perché non vengano le spezie a lui per rette linee, come quelli dell’occhio, ma per linee tortuose e reflesse, e molte sono le volte che le remote paiono più vicine che le propinque, mediante li transiti di tali spezie; benché la voce di eco sol per linee rette si riferisce a esso senso; l’odorato meno si certifica del sito donde si causa un odore; ma il gusto et il tatto, che toccano l’obbietto, han solo notizia d’esso tatto. [11] Come l’occhio meno s’enganna nelli suoiessercizi, che nissun altro senso, in luminosi o trasparenti et uniformi mezzi. Se tu sprezzarai la pittura, la quale è sola imitatrice de tutte l’opere evidenti de natura, per certo tu sprezzarai una sottile invenzione, la quale con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme: [aire e] siti, piante, animali, erbe, fiori, le quali sono cinte d’ombra e lume. E veramente questa èscienzia e legitima figli[ol]a de natura, perché la pittura èpartorita da essa natura; ma per dir più corretto, diremo nipota de natura, perché tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura, delle quali cose [partorite] ènata la pittura. Adonque rettamente la chiamaremo nipota d’ essa natura e parente d’iddio. [12] Come chi sprezza la pittura non amala filosofia, né la natura. [13] Come il pittore è signore d’ogni sorte di gente e di tutte le cose. Se ’l pittore vol vedere bellezze che lo innamorino, lui è signore di generarle, e se vol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonesche e risibili, o veramente compassionevole, lui n’è signore e dio. E se vol generare siti e deserti, lochi ombrosi o foschi ne’ tempi caldi, lui li figura, e così lochi caldi ne’ tempi freddi. Se vol valli, se vole delle alte cime de’ monti scoprire gran campagne, e se vole dopo quelle vedere l’orizzonte del mare, egli n’è signore, e se delle basse valli vol vedere li alti monti, o delli alti monti le basse valli e spiaggie. Et in effetto ciò ch’è ne l’universo per essenzia, presenzia o imaginazione, esso l’ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono de tanta eccellenzia, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno le cose. La pittura serve a più degno senso che la poesia, e fa con più verità le figure de l’opere de natura che ’l poeta, et è molto più degne l’opere de natura che·lle parole, che sono opera de l’omo; perché tal proporzione è da l’opere delli omini a quelle della natura, qual è quella ch’è da l’omo a dio. Adonque è più degna cosa l’imitare le cose di natura, che è le vere similitudini in fatto, che in parole imitare li fatti e parole degli omini. E se tu, poeta, voi descrivere l’opere de natura con la tua semplice professione, fingendo diversi siti e forme de varie cose, tu sei superato dal pittore con infinita proporzione de potenzia; ma se voi vestirti de l’altrui scienzie separate da essa poesia, elle non sono tue, come astrologia, rettorica, teologia, filosofia, geometria, arismetica e simili; tu non sei allora poeta, tu ti trasmuti, e non sei più quello di che qui si parla. Or non vedi tu, che se tu voi andare alla natura, che tu vi vai con mezzi de scienzie fatte d’altrui sopra gli effetti de natura, et il pittore per sé sanza aiuto de scienziali o d’altri mezzi va immediate alla imitazione d’esse opere di natura. Con questa si move li amanti inverso li simulacri della cosa amata a parlare con le imitate pitture; con questa si move li populi con infervorati voti a ricercare li simulacri delli iddii; e non vn vedere l’opere de’ poeti, che con parole figurino li medesimi iddii. Con questa s’ingannano li animali: già vid’io una pittura che ingannava il cane mediante la similitudine del suo patrone, alla quale esso cane facea grandissima festa; e similmente ho veuto li cani baiare, e voler mordere li cani depinti; et una scimmia fare infinite pazzie contro ad un’altra sciminia depinta. Ho veduto le rondine volare e posarsi sopra li ferri depinti che spontano fori delle finestre delli edifizi. [14] Del poeta e del pittore. [15] Essempio tra la poesia e la pittura. Non vede la immaginazione cotal eccellenzia qual vede l’occhio, perché l’occhio riceve le specie, overo similitudini de li obbietti, e dalli alla impressiva, e da essa impressiva al senso comune, e lì è giudicata. Ma la immaginazione non esce fuori d’esso senso comune, se non in quanto essa va alla memoria, e lì si ferma e lì muore, se la cosa immaginata non è de molta eccellenzia. Et in questo caso si trova la poesia nella mente, overo immaginativa del poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le quali finzioni lui vole equipararsi a esso pittore, ma invero lui n’è molto remoto, come di sopra è dimostrato. Adonque in tal caso de finzione diremo con verità essere tal proporzione dalla scienzia della pittura alla poesia, qual è dal corpo alla sua ombra derivativa, et ancora maggiore proporzione, con ciò sia che l’ombra di tal corpo almeno entra per l’occhio al senso comune, ma la immaginazione di tale corpo non entra in esso senso, ma lì nasce, in l’occhio tenebroso. O che differenzia è a imaginar tal luce in l’occhio tenebroso, al vederla in atto fuori delle tenebre. Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga delli miseri spaventati dalla orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché la tua penna fia consumata inanzi che tu descriva apieno quel che immediate il pittore ti rapresenta con la sua scienzia. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, et il corpo dal sonno e fame, prima che tu con parole dimostri quello che in un instante il pittore ti dimostra. Nella qual pittura non manca altro che l’anima delle cose finte, ed in ciascun corpo è la integrità de quella parte che per un solo aspetto può dimostrarsi. Il che longa e tediosissima cosa sarebbe alla poesia a redire tutti li movimenti delli operatori di tal guerra, e le parti delle membra e loro ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità ti pone inanzi, e a questa tal dimostrazione non manca se non il romore delle macchine e le grida delli spaventanti vincitori e le grida e pianti delli spaventati. Le quali cose ancora il poeta non pò rapresentare al senso de l’audito. Diremo adonque la poesia essere scienzia che sommamente opera nelli orbi, e la pittura far il medesimo nelli sordi, ma tanto resta più degna la pittura, quanto ella serve a miglior senso. Solo il vero uffizio del poeta èfingere parole di gente che ’nsieme parlino, e sol queste rapresenta al senso de l’audito tanto come naturali, perché in sé sono naturali, create dalla umana voce; et in tutte l’altre consequenzie è superato dal pittore. Ma molto più sanza comparazione son le varietà in che s’a- stende la pittura, che quelle in che s’astende le parole, perché infinite cose farà il pittore, che le parole non le potrà nominare, per non avere vocaboli apropriati a quelle. Or non vedi tu che se ’l pittore vol fingere animali, o diavoli ne l’inferno, con quanta abbondanzia de invenzione lui transcorre? [15a] Qual è colui che non voglia prima perdere l’udire e l’odorato e il tatto che ’l vedere? Perché chi perde il vedere è come un che è scacciato dal mondo, perché lui più nol vede, né nessuna sua cosa, e questa vita è sorella della morte. [16] Qual è di maggior danno alla spezie umana, o perdere l’occhio o l’orecchio. Maggior danno riceve gli animali per la perdita del vedere che de l’udire, per più cagioni; e prima, che mediante il vedere il cibo è ritrovato, donde si debbe nudrire, il quale è necessario a tutti gli animali; e ’l secondo, che per il vedere si comprende il bello delle cose create, massime delle cose che inducono a l’amore, nel quale il cieco nato non pò pigliare per lo audito, perché mai non ebbe notizia che cosa fusse bellezza d’alcuna cosa. Restali l’audito per il quale solo intende le voci e parlare umano, nel quale è nomi de tutte le cose, a chi è dato il suo nome: senza la saputa d’essi nomi, ben si pò vivere lieto, come si vede nelli sordi nati, cioè li muti, che mediante il disegno, del quale il più de’ muti si dilettano. E se tu dirai che ’l vedere impedisce la fissa e sottile cognizione mentale, con la quale si penetra nelle divine scienzie, e tale impedimento condusse un filosofo a privarsi del vedere, a questo si risponde, che tal occhio come signore de’ sensi fa suo debito a dare impedimento alli confusi e bugiardi, non scienzie, ma discorsi, per li quali sempre con gran gridore e menar di mani si disputa; et il medesimo doverebbe fare l’audito, il quale ne rimane più offeso, perché lui vorrebbe accordo, del quale tutti li sensi s’in-trincano. E se tale filosofo si trasse gli occhi per levare lo impedimento alli soi discorsi, or pensa che tale atto fu compagno del cervello e de’ discorsi, perché tutta fu pazzia; or non potea egli serrarsi gli occhi, quando esso entrava in tale frenesia, e tanto tenerli serrati che tal furore si consumasse? Ma pazzo fu l’omo, e pazzo il discorso, e stoltissimo il trarsi gli occhi. Nissuna parte è nella astrologia che non sia uffizio delle linee visuali e della prospettiva, figliola della pittura; perché il pittore è quello che per necessità della sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si pò fare per sé senza linee, dentro alle quali linee s’inchiude tutte le varie figure de’ corpi generati dalla natura, sanza le quali l’arte del geometra è orba. E se ’l geometra riduce ogni superfizie circondata da linee alla figura del quadrato, et ogni corpo alla figura del cubo; e l’aritmetica fa il simile con le suoi radici cube e quadrate; queste due scienzie non s’astendono se non alla notizia della quantità continua e discontinua, ma della qualità non si travagliano, la qual è bellezza de l’opere de natura et ornamento del mondo. [17] Come la scienzia della astrologia nasceda l’occhio, perché mediante quello è generata. Qual poeta con parole ti metterà inanzi, o amante, la vera effigie della tua iddea con tanta verità qual farà il pittore? Quale fia quello che ti dimostrerà siti de’ fiumi, boschi, valli e campagne, dove si rapresenti li tuoi passati piaceri, con più verità che ’l pittore? E se tu dici che la pittura è una poesia muta per sé, se non v’è chi dica o parli per lei quello che la rapresenta, o non t’avedi tu che ’l tuo libro si trova in peggiore grado? Perché ancora che lui abbia un omo che parli per lui non si vede niente della cosa di che si parla, come si vederà di quello che parla per le pitture; le quali pitture, se saranno ben proporzionati li atti con li loro accidenti mentali, elle saranno intese, come se parlassino. [18] Pittore che disputa col poeta. L’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principal via donde il comune senso pò più copiosa e magnificamente considerare le infinite opere de natura e l’orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose raconte, le quali ha veduto l’occhio. Se voi istoriografi, o poeti, o altri matematici, non avestive con l’occhio visto le cose, male le potresti voi riferire per le scritture. E se tu, poeta, figurerai una istoria con la pittura della penna, il pittore col pennello la farà di più facile satisfazione, e meno tediosa ad essere compresa. Se tu dimanderai la pittura muta poesia, ancora il pittore potrà dire la poesia orba pittura. Or guarda quale è più dannoso [morso], o ’l cieco, o ’l muto? Se ’l poeta è libero come ’l pittore nelle invenzioni, le sue finzioni non sono di tanta satisfazione alli omini, quanto le pitture, perché se la poesia s’astende con le parole a figurare forme, atti e siti, il pittore si move con le proprie similitudini delle forme a contraffare esse forme. Or guarda qual è più propinquo a l’omo, o ’l nome de omo, o la similitudine d’esso omo? Il nome de l’omo si varia in varii paesi, e la forma non è mutata se non per morte. E se il poeta serve al senso per la via de l ’orecchio, il pittore per la via de l’ occhio, pi degno senso. Ma io non voglio da questi tali altro che uno bono pittore che figuri ’l furore d’una battaglia, e che ’l poeta ne scrivi un’altra, e che sieno messi in pubblico de compagnia. Vedrai dove più si fermeranno li veditori, dove più consideraranno, dove si darà più laude, e quale satisfarà meglio. Certo la pittura, di gran longa più utile e bella, più piacerà. Pone inscritto il nome d’iddio in un loco, e ponvi la sua figura a riscontro, vedrai quale fia più reverita. Se la pittura abbraccia in sé tutte le forme della natura, voi non avete se non li nomi, li quali non sono universali come le forme; se voi avete li effetti delle dimostrazioni, noi abbiamo le dimostrazioni delli effetti. Tolgasi un poeta che descriva le bellezze d’una donna al suo inamorato, e togliasi un pittore che la figuri; vedrassi dove la natura volgerà più il giudicatore inamorato. Certo, il cimento delle cose doverebbe lasciare dar la sentenzia alla sperienzia. Voi avete messa la pittura fra l’arti mecaniche. Certo, se i pittori fussero atti a laudare col scrivere l’opere loro come voi, credo non giacerebbe in così vile cognome. Se voi la chiamate mecanica perché è [opera] manuale, ché le mani figurano quello che trovano nella fantasia, voi scrittori desegnando con la penna manualmente quello che nello ingegno vostro si trova. E se voi dicesti essere mecanica perché si fa a prezzo, chi cade in questo errore, s’errore pò chiamarsi, più di voi? Se voi leggete per li studi, non andate [voi] da chi più vi premia? Fate voi alcuna opera senza qualche premio? Benché questo non dico per biasimare simili opinioni, perchè ogni fatica aspetta premio, e potrà dire un poeta: io farò una finzione, che significarà cose grande; questo medesimo farà il pittore, come fece Apelle la Calunnia. Se voi dicesti: la poesia è più etterna, per questo [io] dirò essere più etterne le opere d’un calderaio, che ’l tempo più le conserva che le vostre, o nostre opere; nientedimeno è de poca fantasia, e la pittura si può, depingendo sopra rame con colori di vetro, farla molto più etterna. Noi per arte possiamo esser detti nipoti a dio. Se·lla poesia s’astende in filosofia morale, e questa in filosofia naturale; se quella descrive l’operazioni della mente, questa considera quello che la mente opera nei movimenti; se quella spaventa i populi con le infernali finzioni, questa con le medesime cose in atto fa il simile. Pongasi il poeta a figurare una bellezza, una fierezza, una cosa nefand’e brutta, una mostruosa, col pittore; faccia a suo modo, come vole, trasmutazione di forme, che ’l pittore non satisfaccia più. Non s’è [e]gli visto pitture aver tanta conformità con la cosa [viva], ch’ell’ha ingannato omini et animali? [19] Come la pittura avanza tutte l’opere umane per sottile speculazione apertenente a quella. La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede. Adonque queste due poesie, o voi dire due pitture, hanno scambiati li sensi, per li quali esse dovrebbono penetrare allo intelletto. Perché se l’una e l’altra , dee passare al senso comune per il senso più nobile, cioè l’occhio; e se l’una e l’altra èpoesia, esse hanno a passare per il senso meno nobile, cioè l’audito. Adonque daremo la pittura al giudicio del sordo nato, e la poesia sarà giudicata dal cieco nato, e se la pittura sarà figurata con li movimenti appropriati alli accidenti mentali delle figure che operano in qualonque caso, sanza dubbio il sordo nato intenderà le operazioni et intenzioni de li operatori, ma ’l cieco nato non intenderà mai cosa che dimostri ’l poeta, la qual faccia onore a essa poesia; con ciò sia che delle nobili sue parti èil figurare li gesti e li componimenti delle istorie, e li siti ornati e dilettevoli con le transparenti acque, per le quali si vede li verdeggianti fondi delli suoi corsi, scherzare l’onde sopra prati e minute giare, con l’erbe, che con lor si mischiano insieme con li sguiscianti pesci, e simili discrezioni, le quali si potrebbono così dire ad un sasso, come a un cieco nato, perché mai vide nissuna cosa di che si compone la bellezza del mondo, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete; le quali sono dieci ornamenti della natura. Ma il sordo avendo perso il senso meno nobile, ancora ch’egli abbia insieme persa la loquela, perché mai udì parlare, mai potè imparare alcun linguaggio, ma questo intenderà bene ogni accidente che sia nelli corpi umani, meglio che un che parli e che abbia udito, e similmente cognoscerà l’opere de’ pittori e quello che in esse si rapresenti, et a chi tali figure sieno propriate. [20] Differenzia che ha la pittura con la poesia. La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l’una e l’altra va imitando la natura quanto è possibile alle loro potenzie, e per l’una e per l’altra si pò dimostrare molti morali costumi, come fece Apelle con la sua Calunnia. Ma della pittura, perché serve all’occhio, senso più nobile che l’orecchio, obbietto della poesia, ne risulta una proporzione armonica; cioè, che sì come di molte varie voci insieme aggionte ad un medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la quale contenta tanto il senso dello audito, che li auditori restano con stupente admirazione quasi semivivi. Ma molto più farà le proporzionali bellezze d’un angelico viso posto in pittura, della quale proporzionalità ne risulta un armonico concento, il quale serve a l’occhio in un medesimo tempo che si faccia della musica a l’orecchio. E se tal armonia delle bellezze saranno mostre allo amante di quella da chi tale bellezze sono imitate, sanza dubbio esso restarà con istupenda adirazione e gaudio incomparabile e superiore a tutti gli altri sensi. Ma della poesia la qual s’abbia a stendere alla figurazione d’una predetta bellezza, con la figurazione particulare di ciascuna parte della quale si compone in pittura la predetta armonia, non ne risulta altra grazia che si facessi a far sentire nella musica ciascuna voce per sé sola in vari tempi, delle quali non si componerebbe alcun concento, come se volessimo mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle che prima si mostrano, delle quali dimostrazioni l’oblivione non lascia comporre alcuna proporzionalità d’armonia, perché l’occhio non le abbraccia con la sua virtù visiva a un medesimo tempo. Il simile accade nelle bellezze di qualonque cosa finta dal poeta, le quali, per essere le sue parti dette separatamente in separati tempi, la memoria non ne riceve alcuna armonia. [21] Che differenzia è dalla pittura alla poesia. La pittura immediate ti si rapresenta con quella dimostrazione per la quale il suo fattore l’ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. E in questo caso il poeta, che manda le medesime cose al comun senso per la via de l’audito, minor senso, non dà a l’occhio altro piacere che s’un sentissi raccontare una cosa. Or vedi che differenzia è da l’udire raccontare una cosa che dia piacere a l’occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedeno le cose naturali. Et ancora che le cose de’ poeti sieno con longo intervallo di tempo lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e bisogna farli sopra diversi comenti, de’ quali rarissime volte tali comentatori intendeno qual fusse la mente del poeta; e molte volte li lettori non leggano se non piccola parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l’opere del pittore immediate è compresa dalli suoi risguardatori. [22] Differenzia infra poesia e pittura. La pittura ti rapresenta in un subito la sua essenzia nella virtù visiva, e per il proprio mezzo, donde la impressiva riceve li obbietti naturali, et ancora nel medesimo tempo, nel quale si compone l’armonica proporzionalità delle parti che compongono il tutto, che contenta il senso; e la poesia referisce il medesimo, ma con mezzo meno degno che l’occhio, il quale porta nella impressiva più confusamente e con più tardità le figurazioni delle cose nominate che non fa l’occhio, vero mezzo infra l’obbietto e la impressiva, il quale immediate conferisce con somma verità le vere superfizie e figure di quel che dinanzi se gli apresenta, dalle quali ne nasce la proporzionalità detta armonia, che con dolce concento contenta il senso, non altrimente che si facciano le proporzionalità de diverse voci al senso dello audito; il quale ancora è men degno che quello de l’occhio, perché tanto quanto ne nasce, tanto ne more; et è sì veloce nel morire come nel nascere. Il che intervenire non pò nel senso del vedere, perché se tu rapresenterai a l’occhio una bellezza umana composta de proporzionalità de belle membra, esse bellezze non sono sì mortali, né sì presto si struggono, come fa la musica, anzi ha longa permanenzia, e ti si lascia vedere e considerare, e non rinasce, come fa la musica nel molto sonare, né ti induce fastidio, anzi, te inamora, et è causa che tutti li sensi insieme con l’occhio la vorrebbon possedere, e pare che a gara vogliono combatter con l’occhio. Pare che la bocca se la vorrebbe per sé in corpo, l’orecchio piglia piacere d’udire le sue bellezze, il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti li suoi meati, il naso ancora lui vorrebbe ricevere l’aria ch’al continuo di lei spira. Ma la bellezza di tal armonia il tempo in pochi anni la destrugge: il che non accade in tal bellezza imitata dal pittore, perché il tempo longamente la conserva, e l’occhio in quanto al suo uffizio piglia il vero piacere di tal bellezza dipinta, qual si facessi nella bellezza viva. Mancali il tatto, il qual si fa maggior fratello nel medesimo tempo, il quale, poi che arà auto il suo intento, non impedisce la ragione del considerare la divina bellezza. Et in questo caso la pittura imitata da quella in gran parte supplisce, il che supplire non potrà la discrezione del poeta; il quale in questo caso si vole equiparare al pittore, ma non s’avede che·lle sue parole, nel far menzione delle membra di tal bellezze, il tempo le divide l’un da l’altro, e inframette la oblivione, e divide le proporzioni, le quali lui sanza gran prolissità non può nominare. E non potendole nominare, esso non può comporne l’armonica proporzionalità, la quale è composta de divine proporzioni. E per questo un medesimo tempo, nel quale s’include la speculazione d’una bellezza depinta, non può dare una bellezza descritta, e fa peccato contro natura quello che si de’ mettere per l’occhio a volerlo mettere per l’orecchio. Lasciavi entrare l’ufficio della musica, e non vi mettere la scienzia della pittura, vera imitatrice delle naturali figure de tutte le cose. Che ti move, o omo, a bandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare li parenti e li amici, et attendere in luoghi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere fruisci? E se ’l poeta vol in tal caso chiamarsi ancora lui pittore, perché non pigliavi tali siti descritti dal poeta, e startene in casa sanza sentire il superchio calore del sole? O non t’era questo più utile e men fatica, perché si fa al fresco e sanza moto o periculo de malattia? Ma l’anima non potea fruire il beneficio de li occhi, finestre delle sue abitazioni, e non potea ricevere le spezie de li allegri siti, non potea vedere l’ombrose valli, rigate dallo scherzare delli serpeggianti fiumi, non potea vedere li vari fiori che con loro colori fanno armonia a l’occhio, e così tutte l’altre cose che ad esso occhio rapresentar si possono. Ma se ’l pittore nelli freddi e rigidi tempi de l’inverno ti pone inanti li medesimi paesi depinti, od altri ne’ quali tu abbi riceuto li tuoi piaceri, apresso a qualche fonte; tu possi rivedere tu amante con la tua amata, nelli fioriti prati, sotto le dolci ombre delle verdeggianti piante, non riceverai tu altro piacere che ad udire tal effetto descritto dal poeta? Qui risponde ’l poeta, e cede alle sopradette ragioni, ma dice che supera ’l pittore, perché lui fa parlare e ragionare li omini con diverse finzioni, nelle quali ei finge cose che non sono, e che commoverà li omini a pigliare l’armi, e che descriverà il cielo, le stelle, e la natura, e l’arti, e ogni cosa. Al quale si risponde, che nissuna di queste cose di che lui parla è sua professione propria, ma che se lui vole parlare et orare, è da persuadere ch’in questo gli è vinto da l’oratore; e se parla d’astrologia, che l’ha rubato allo astrologo, e de filosofia, al filosofo, e che in effetto la poesia non ha propria sedia, né la merita altramente che d’un merciaio ragunatore de mercan-zie fatte da diversi artigiani. Ma la deità della scienzia della pittura considera l’opere così umane come divine, le quali sono terminate dalle loro superfizie, cioè linee de’ termini de’ corpi, con le quali lui comanda a lo scultore la perfezzione delle sue statue. Questa col suo principio, cioè il disegno, insegna allo architettore fare che ’l suo edificio si renda grato a l’occhio; questa alli componitori de diversi vasi, questa alli orefici, tessitori, recamatori; questa ha trovato li caratteri, con li quali s’isprime li diversi linguaggi; questa ha dato le caratte alli arismetici; questa ha insegnato la figurazione alla geometria; questa insegna alli prospettivi et astrologhi et alli machinatori e ingenieri. [23] Della differenzia et ancora similitudine che ha la pittura con la poesia. L’occhio, del quale la bellezza de l’universo è specchiata dalli contemplanti, è di tanta eccellenzia, che chi consente alla sua perdita, si priva della rapresentazione de tutte l’opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carcere, mediante li occhi, per li quali essa anima si rapresenta tutte le varie cose de natura. Ma chi li perde lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di riveder il sole, luce di tutt’il mondo. E quanti so’ quelli a chi le tenebre notturne sono in sommo odio, ma ancora ch’elle sieno de breve vita! O che farebbono questi quando tali tenebre fussino compagne della vita loro? E certo, non è nissuno che non volesse più tosto perdere l’udito e l’odorato che l’occhio, la perdita del quale udire consente la perdita di tutte le scienzie ch’hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza del mondo, la quale consiste nelle superfizie de’ corpi sì accidentali come naturali, li quali si refletteno ne l’occhio umano. [24] De l’occhio.