1.4.2.4.2 Paralisi otogena del nervo faciale

La paralisi otogena del nervo faciale può complicare un’OMA per l’estensione della flogosi infettiva al nervo, più spesso in presenza di una deiscenza anatomica della parete ossea lungo il tratto orizzontale del canale di Fallopio (Fig. 3), reperto presente in una percentuale variabile dal 5-50% dei soggetti quale variante anatomica.

Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di segni di paralisi periferica completa omolaterale all’OMA. L’indagine diagnostica mediante TC consente di definire l’estensione della patologia infiammatoria acuta “complicata” nonché di escludere eventuali complicanze endocraniche. Il trattamento prevede l’esecuzione di una paracentesi, con prelievo di materiale purulento per esame colturale, associata allantibiotico-terapia ad ampio spettro d’azione per via parenterale, previo ricovero ospedaliero. Anche la patologia infiammatoria cronica colesteatomatosa può complicarsi con una paralisi periferica completa del nervo faciale (Fig. 4), ad esordio solitamente improvviso, il cui trattamento consiste nell’esecuzione di un intervento chirurgico di timpanoplastica, alla scopo di eradicare la patologia infiammatoria cronica dalle cavità dell’orecchio medio (Fig. 4).


Fig. 3. TC; scansione assiale che mostra la presenza di un’otomastoidite sinistra e di una deiscenza del faciale (freccia) con conseguente temporanea paralisi.


Fig. 4. Otite media cronica colesteatomatosa destra: (a) scansione TC assiale; ( b) scansione TC coronale.

Fig. 5. TC rocche e mastoidi: scansione coronale (a) e assiale (b) in otite media acuta con fistola del canale semicircolare laterale (freccia nera).

1.4.2.4.3 Labirintite

Clinicamente si manifesta con una violenta crisi di vertigine oggettiva rotatoria nel corso di un’otite media acuta, di origine virale o batterica e si correla alla propagazione dell’infezione all’orecchio interno attraverso la finestra ovale o rotonda. Il trattamento prevede, oltre alla terapia medica antibiotica dell’OMA, l’esecuzione di una paracentesi.

Anche l’otite media cronica colesteatomatosa può essere responsabile della comparsa di vertigine rotatoria in conseguenza della comparsa di una lesione erosiva a carico del canale semi-circolare laterale (Fig. 5). In seguito alla compressione sul condotto uditivo esterno corrispondente all’orecchio patologico, si osserva la comparsa d’intensa vertigine con un nistagmo spontaneo orizzontale-rotatorio diretto verso il lato leso (segno della fistola). L’iter diagnostico prevede lo studio mediante TC delle rocche e mastoidi; il trattamento consiste nell’esecuzione di un intervento chirurgico di timpanoplastica, alla scopo di eradicare la patologia infiammatoria cronica dalle cavità dell’orecchio medio.


Complicanze endocraniche

Con l’avvento della terapia antibiotica l’incidenza delle complicanze endocraniche causate dall’otite media acuta o cronica, si è considerevolmente ridotta. Poiché la mortalità ad esse correlata non è però altrettanto significativamente diminuita, la loro diagnosi precoce resta l’aspetto più rilevante ai fini di garantire un trattamento efficace. In ordine di frequenza sono da considerarsi la meningite otogena, l’ascesso cerebrale e la tromboflebite del seno laterale. Molto rari sono i casi di empiema extra e sub-durale.

1.4.2.4.4 Meningite otogena

La meningite secondaria a un’otite media acuta è generalmente causata da un’infezione da S. Pneumoniae e compare, nella maggior parte dei casi, nei primi 8 giorni successivi all’esordio dell’otite acuta.

La vaccinazione antihaemophilus ha considerevolmente modificato la batteriologia dell’otite media acuta e, di conseguenza, quella della meningite purulenta. La via di propagazione dall’orecchio medio alle meningi è generalmente rappresentata dalla via ematica, non potendosi però escludere una diffusione per contiguità attraverso una soluzione di continuo del tegmen (Figg. 1 e 2) o una malformazione dell’acquedotto di Fallopio.


Fig. 1. TC delle rocche e mastoidi: scansioni coronali (a,b,c) che mostrano una flogosi dell’orecchio medio con iniziale erosione del tegmen tympani.


Fig. 2. Otite media con segni di flogosi nella cassa timpanica destra ed evidente erosione completa del tegmen timpani.


Anche nel caso dell’otite media cronica colesteatomatosa è possibile la comparsa di una meningite purulenta, generalmente da germi Gram-, Proteus, Pseudomonas A. o anaerobi. La diagnosi, in presenza dei segni/sintomi clinici sospetti per la presenza di una meningite quali cefalea, stato febbrile, rigidità nucale, alterazione dello stato di coscienza, deve sistematicamente prevedere la ricerca di segni locali di infezione a carico dell’orecchio medio, anche in assenza di dati anamnestici che indichino chiaramente l’esistenza di una recente pregressa otite media acuta/cronica.

L’iter diagnostico prevede l’esecuzione di una rachicentesi, di una TC cerebrale, di una valutazione obiettiva completa dei distretti ORL: il sospetto clinico-obiettivo di una causa otologica della meningite richiede inoltre l’esecuzione di una TC delle rocche-mastoidi.

La terapia medica antibiotica e steroidea, modulata in relazione all’esito dell’esame colturale del liquor, va integrata, nei casi in cui non si assista a un rapido miglioramento delle condizioni generali e neurologiche del paziente, con la terapia chirurgica dell’otite media: essa si può limitare all’esecuzione di una paracentesi o può richiedere una mastoidectomia semplice, allo scopo di consentire una bonifica della sede primaria di infezione suppurativa.

1.4.2.4.5 Ascesso cerebrale

Relativamente raro, esso costituisce una vera urgenza neuro-chirurgica, a causa delle conseguenze dell’aumento della pressione endocranica e dell’effetto-massa che esso determina nel contesto del parenchima cerebrale: se non tempestivamente trattato, la morbidità e la mortalità ad esso correlate sono rilevanti.

L’ascesso cerebrale è generalmente secondario a un’otite o a una mastoidite cronica, di tipo colesteatomatoso; raramente è conseguente a una meningite. La sede più spesso coinvolta per contiguità è la parte inferiore del lobo temporale (Fig. 3), il cervelletto è piuttosto interessato a seguito di una trombosi delle vene emissarie o diploiche.

I germi più spesso coinvolti sono gli streptococchi e gli anaerobi.

La triade sintomatologica, febbre, cefalea e segni neurologici focali, è altamente evocativa ma, almeno nel 50% dei casi mancano i segni di una sindrome infettiva e il quadro evolve rapidamente con una sintomatologia correlata all’ipertensione endocranica.

La TC cerebrale senza/con m.d.c. consente la localizzazione esatta della lesione e la sua “stadiazione”. La RMN è più sensibile: in T1 la periferia lesionale appare ipointensa rispetto al parenchima cerebrale a causa dell’edema, a comprendere una zona ancora più ipointensa corrisponde al centro necrotico della lesione. Tra le due è presente una zona circolare iso-iperintensa che corrisponde alla parete dell’ascesso. In T2 l’area edematosa appare iper-intensa, il centro necrotico è iso-iperintenso mentre la parete è ipointensa.: l’iniezione del gadolinio accentua la differenza tra il centro dell’ascesso, la sua parete e l’edema peri-lesionale.

Il trattamento neuro-chirurgico ha lo scopo di ridurre l’ipertensione endocranica, limitandosi a una semplice puntura evacuatrice nel caso di un ascesso nel lobo temporale, o procedendo all’exeresi chirurgica qualora esso si trovi nella fossa cranica posteriore. La prima manovra, poco invasiva, rapida e di semplice esecuzione, consente una rapida riduzione della massa intra-cranica.L’exeresi dell’ascesso è indicata nel caso di una sua origine micotica o qualora esso contenga aria, suggestivo dell’esistenza di una breccia durale.


Fig. 3. RMN - Ascesso cerebrale del lobo temporale sinistro, con ring enhancement dopo somministrazione di mezzo di contrasto.


Il trattamento antibiotico esclusivo, modulato in funzione del germe responsabile individuato dal prelievo colturale intra-lesionale, è consigliabile solo nel caso di lesioni ascessuali di piccole dimensioni, <1,5-2 cm; per lesioni di dimensioni maggiori, l’antibiotico-terapia integra la terapia chirurgica (associazione cefalosporine 3a generazione, metronidazolo, aminoglicosidi, per il trattamento di una flora batterica mista aerobia-anaerobia). La terapia antibiotica viene somministrata per via parenterale per 6 settimane.

Il trattamento con steroidi ha infine lo scopo di ridurre l’edema cerebrale e quindi di limitare le sequele neurologiche.

1.4.2.4.6 Tromboflebite del seno laterale (TSL)

La tromboflebite del seno laterale è generalmente causata da un’infezione acuta o cronica dell’orecchio medio. Il quadro clinico comprende una grave sindrome infettiva associata a segni/sintomi di irritazione meningo-encefalica con turbe dello stato di coscienza, otalgia, cefalea, edema mastoideo (segno di Griesinger) per trombosi della vena emissaria mastoidea.

Lo studio neuro-radiologico cerebrale e delle rocche-mastoidi prevede sia la TC che la RMN.

La TC evidenzia l’assenza di opacizzazione del seno laterale dopo m.d.c. nonché il coinvolgimento flogistico dell’orecchio medio. La RMN documenta la trombosi e la sua estensione: allo stadio precoce la trombosi è iso-intensa in T1 e ipo-intensa in T2, dopo qualche giorno essa appare iper-intensa in T1 e T2. L’angio-RM conferma la diagnosi di occlusione venosa (Fig. 4).

La TSL si può complicare con l’estensione della trombosi alla vena giugulare interna, con embolia polmonare settica (sindrome di Lemierre), o ad altri seni venosi endocranici.

La diagnosi comprende la ricerca di eventuali fattori di rischio pro-trombotici, soprattutto nei soggetti in giovane età. Gli stati pre-trombotici possono essere congeniti, quale la resistenza alla proteina C attivata per mutazione del fattore V di Leiden (prevalenza del 20% nei soggetti giovani con trombosi venosa cerebrale rispetto al 2-3% nella popolazione generale) o acquisiti (gravidanza, malattia ematologica o sistemica, farmaci).

Il trattamento della TSL è diventato recentemente più conservativo, in relazione alla diagnosi resa più precoce dalla radio-diagnostica.


Fig. 4. L’angio-RM (a,b) mostra la trombosi del seno di sinistra e successiva ricanalizzazione.


APPROFONDIMENTO


Otite media e meningite otogena

Le complicanze dell’otite acuta sono rare, verificandosi in meno di un paziente ogni 4000 e le più gravi sono rappresentate da mastoidite, ascesso extra/sub-durale e meningite; le complicanze intracraniche in particolare hanno un tasso di incidenza dello 0,36%. La meningite, nello specifico, pur essendo la più frequente complicanza intracranica, ha una incidenza dello 0,18% con un tasso di mortalità variabile in relazione all’agente infettivo, dal 7 al 60%.


Quali sono i segni di una complicanza intracranica di un’otite

Sono spesso subdoli e compaiono tardivamente nel corso della malattia. Febbre (di grado basso e intermittente), indolenzimento del collo, otalgia, torcicollo (in caso di trombosi del seno laterale). La presenza di cefalea e febbre oltre all’otalgia non è indicativa di meningite in quanto i sintomi cardinali sono: cefalea, febbre, irrigidimento del collo, fotofobia e modificazioni dello stato mentale. La sola cefalea non può considerarsi indice di una sospetta meningite, potendosi associare tale effetto con la iperpiressia.

Il problema della corretta diagnosi di meningite è ancora discusso. La triade classica è febbre, irrigidimento nucale e modificazione dello stato mentale. Secondo Attia e coll. (The rational clinical examination. Does this adult patient have acute meningitis? JAMA 282: 175-181, 1999), la presenza di tutti e tre i segni non comprende il 100% dei pazienti e la meningite si può escludere quando tutti e tre sono assenti. Ma afferma anche che in un paziente con febbre e cefalea, l’assenza della rigidità nucale “may essentially exclude meningitis”. Come prima riportato, un recente studio (Ostergaad C, Hoiby N, Konradsen HB, Samuelsson S Prehospital diagnostic and therapeutic management of otogenic Streptooccus pneumoniae meningitis. Scand J Infectious Diseases, 38: 172-180, 2006), ha evidenziato che la febbre (98%) e l’alterazione di coscienza (98%) sono i sintomi pre-ricovero più frequenti, rispetto a otalgia (71%), perforazione timpanica (38%) e rigidità nucale (25%).

Ostergard e coll. (2005) riportano che al momento del ricovero per meningite, i sintomi più comuni sono febbre e alterazione dello stato mentale (93% e 94% dei casi), mentre la cefalea era presente solo nel 41% dei casi. La conclusione di questo lavoro è che la meningite “should be considered in patients presenting without nucal rigidity but with fever and altered mental status”.

Va in ogni caso ricordato che nella letteratura ORL viene data particolare importanza alla presenza della rigidità nucale per la diagnosi di meningite (v. Baylor College of Medicine, 2001). Lo sviluppo di una meningite prevede la diffusione di microrganismi alle leptomeningi; sostanzialmente si devono considerare due modalità di accesso:

1) in una i microrganismi raggiungono gli spazi sub aracnoidei con un meccanismo tipo Cavallo di Troia (e quindi dall’interno);

2) in un’altra “sfondano” dall’esterno le difese anatomiche encefaliche.


1) La prima è una modalità di diffusione più rapida, ma clinicamente più silente perché i microrganismi pur raggiungendo il liquor rapidamente, per via ematica (attraverso i plessi corioidei) vanno incontro ad una reazione infiammatoria più blanda proprio per le peculiarità immunologiche del SNC, condizione che permette anche una rapida moltiplicazione; una volta però raggiunte e colonizzate le meningi, la BEE s’infiamma e si dilata creando altri punti di accesso (anche se a quel punto la colonizzazione può considerarsi completa). È anche la via di accesso delle infezioni distanti, in particolare delle alte vie respiratorie.

2) La seconda via prevede l’accesso alle leptomeningi attraverso un punto di attacco esterno che tende a demolire, fino allo “sfondamento”, le barriere encefaliche: questo processo è in linea di massima più lungo (proprio perché richiede la persistenza del fattore lesivo) ma clinicamente più evidente perché l’evento infiammatorio deve essere tale da favorire la progressione locale (per contiguità). Le meningi vengono perciò in questo caso aggredite dall’esterno; è ovvio che ogni via preferenziale anatomica persistente (finestra rotonda, labirinto, orecchio interno, nervi cranici) o secondaria (trauma, lesioni osteolitiche, interventi chirurgici) accelerano questo processo. È la via di accesso delle infezioni prossime alle meningi. Difetti dell’integrità del tegmen sono riscontrati fino al 20% dei casi in corso di autopsia; se molti di questi possono essere acquisiti, probabilmente la maggioranza è la conseguenza di incompleta fusione durante lo sviluppo.


Non è facile stabilire quale delle due vie sia più prognosticamente sfavorevole, anche perché è il tipo di microrganismo che fa la differenza; si può osservare però che mentre nel primo caso un’otite può precedere, accompagnare o addirittura essere successiva alla diffusione dei microrganismi negli spazi liquorali, nella seconda ipotesi, l’otite (ammesso ovviamente che questa sia la principale sorgente dell’infezione) deve precedere la meningite.

Meningite otogena. Il circolo ematico dell’orecchio è tale da non favorire la propagazione diretta al SNC, per cui la diffusione dei microrganismi in caso di batteriemia non risente della spinta pressoria del circolo arterioso; le vie ematiche di diffusione sono soprattutto venose e, perché la carica infettante “ristagni” in prossimità delle meningi, deve crearsi un contesto trombo flebitico. La diffusione per continuità e contiguità attraversa strutture ossee e spazi membranosi (orecchio interno cocleare e vestibolare) preformati (deiscenze congenite, finestra rotonda, VII e VIII nc per risalita) o neoformati (traumi, osteolisi, interventi chirurgici). In una casistica di 79 casi, il 40% da otite acuta, 15% da otite cronica non colesteatomatosa, 21% da otite cronica colesteatomatosa, 17% da fratture traumatiche dell’osso temporale, il 5% da cause chirurgiche e congenite (Roller C. 2000-2005)

Meningite non-otogena. La diffusione arteriosa avviene anche da siti distanti, da siti però che abbiano il circolo encefalico dei plessi corioidee “a valle” del sito d’infezione, quindi con una spinta pressoria favorevole; caso particolare è l’infezione del rino-faringe che si “sposta” attraverso i tessuti tra gli spazi intercellulari fino a “cadere” nel circolo arterioso che la porterà ai plessi corioidei e quindi fino al liquido cefalorachidiano; è una modalità tipica della Neisseria meningitidis e della Streptococcus pneumoniae e che può coinvolgere contemporaneamente anche l’orecchio medio. Lo Streptococcus pneumoniae risulta però anche il primo microrganismo coinvolto nelle meningiti squisitamente otogene.

Meningite da Streptococcus pneumaniae. Secondo studi molto recenti, lo S.pneumoniae o pneumococco è in causa in circa il 50% delle meningiti batteriche negli USA (Damergis JA, Chee K, Amitai A: Otogenic pneumococcal meningitis with pneumocephalus. J Emerg Med Jun 2008). Secondo questo studio, dopo l’avvento degli antibiotici, la complicanza meningitica di un’otite era un evento raro; la diffusione degli immunosoppressori e l’aumento delle resistenze agli antibiotici, potrà contribuire ad un aumento delle complicazione dell’otite media, simile all’era pre-antibiotici.In questo studio viene presentato il caso di una donna di 33 anni in terapia con azatioprina per morbo di Crohn, in terapia antibiotica per otite media che presenta cefalea progressiva e successivo sviluppo di meningite pneumococcica con pneumoencefalo.

Timing della terapia. Per quanto riguarda il timing ideale della terapia antibiotica, la letteratura riporta differenze prognostiche, con meningite in corso, per intervalli di 6-8 ore (da 4 a 13,6 a seconda della situazione clinica di partenza) nell’inizio della terapia (non risultano differenze significative per intervalli inferiori); mentre nelle fasi precoci, alcuni studi e per alcuni microrganismi in particolare, la letteratura riporta differenze non significative anche per ritardi di più giorni (!); per precoce si può intendere l’assenza di turbe della coscienza. Un lavoro molto recente (De Heckenberg e coll, (Medicine, 2008) nega l’opportunità di un trattamento antibiotico pre-ricovero, sia per la difficoltà di una corretta identificazione del tipo di meningite (pneumococcica, meningococcica...) in quanto i sintomi non sono specifici, ma soprattutto perché non è chiaro se questa è di reale beneficio. Al contrario è essenziale non venga ritardata la ABT in ospedale e che questa non venga ritardata per lo svolgimento di indagini neuro radiologiche. La terapia antibiotica, in presenza di un quadro clinico tipico, andrebbe iniziata dopo la puntura lombare, a meno che non vi siano situazioni che portano ad un possibile ritardo. (Johnson R F, 2001).

Nell’otite un follow-up di 48-72 ore, in assenza di complicanze e in fase iniziale, è ragionevole anche senza terapia antibiotica. Per otiti in stadio avanzato e sotto terapia antibiotica, un follow-up di 24 ore può considerarsi ottimale.

La ABT tipica per un’otite è la penicillina e derivati (amoxicillina...); studi su modelli animali (Sato e coll, 1995) sconsigliano in caso di otite da Streptococco pneumoniae l’uso precoce dell’antibiotico, in quanto questo accelererebbe l’infiammazione. In ogni caso valgono anche negli adulti con otite acuta occasionale, le stesse raccomandazione dei bambini sopra i due anni “non a rischio”, cioè “deferring antibiotic therapy”. Un recentissimo lavoro pubblicato sul BMJ (ottobre 2007), dopo una analisi di 3,36 milioni di episodi di infezioni delle alte vie respiratorie (comprese tonsilliti e otiti) sulla popolazione del Regno Unito (1 luglio 1991 al 30 giugno 2001), conclude che “la ABT non è giustificata per ridurre il rischio di complicanze gravi per infezioni del tratto respiratorio, faringiti, otite media”. Il dosaggio dell’ABT per il trattamento dell’otite acuta non è sufficiente a curare una meningite in corso, ma l’impiego sembra contrastarne l’insorgenza, anche se in maniera modesta.

Che il trattamento antibiotico non sia in grado di prevenire lo sviluppo di complicanze otogeniche intracraniche è la conclusione di un altro studio recente (Migirov L, Duvdevani S, Kronenberg J: Otogenic intracranial complications: a review of 28 cases. Acta Otolaryngol 2005: 125: 819-22). In questa revisione di 28 soggetti che avevano sviluppato complicanze intracraniche da otite media, il 42,9% aveva seguito un trattamento AB prima dell’ammissione all’ospedale. Nel 40% dei casi il germe in causa era lo S.pneumoniae. in questa casistica non furono osservati casi mortali, ma la presenza di sequele (ipoacusia, emiparesi, idrocefalo, ritardo mentale, polineuropatia, epilessia) risultò elevata (71,4%). Il riscontro intraoperatorio di colesteatoma risultò frequentemente associato con ascesso intracerebrale e trombosi dei seni.

Nel lavoro già citato di Ostergaad e coll, 2006), il decorso clinico si è dimostrato più grave negli adulti rispetto ai bambini e così la comparsa di sequele. Il trattamento pre-ricovero con AB non era associato ad un outcome più favorevole della meningite pneumococcica otogena, anche se questa sembra predominante in pazienti che non hanno ricevuto una terapia AB o questa era inadeguata.