3.3 Disordini del linguaggio 3.3.1 Lo sviluppo del linguaggio nel bambino APPROFONDIMENTO L’importanza dell’“imparare a parlare” nella prima infanzia è tipica della nostra specie e si fonda su ragioni biologiche, iscritte nel genoma durante l’evoluzione dell’uomo. Il bambino alla nascita possiede un bagaglio di informazioni genetiche che scandiscono i ritmi e i tempi di sviluppo della fonazione, dell’articolazione verbale e di tutte quelle funzioni percettive e neuromotorie che permettono la comparsa e dei primi suoni ‘verbali’ ( Fig . 1). Questi mutamenti neuroevolutivi sono basati sulla formazione di nuove sinapsi, che si sviluppano in ‘epoche critiche’ favorevoli, geneticamente determinate, e sull’esposizione a un ambiente ricco di stimoli verbali, basati sull’affettività e sulla partecipazione da parte dell’adulto. Già nei primi 4 mesi di vita il bambino è in grado di discriminare le fini differenze fonetiche, attraverso l’analisi delle caratteristiche acustiche, e a 6-9 mesi inizia a conoscere le regole della lingua madre, ed è capace di segmentare parole distinte dal flusso del discorso. Fig. 1. Sistema pneumo-fono-articolatorio. Fig. 2. Progressione del vocabolario nei primi 30 mesi di vita e variabilità individuale (da Caselli, modificato). Le abilità comunicative si evolvono parallelamente a quelle percettive, passando da modalità non intenzionali, quali la mimica e il ‘contatto visivo’, tipiche dei primi mesi di vita, a produzioni sonore intenzionali. I suoni linguistici preverbali sono inizialmente vocalici ed costituiscono vere sequenze consonante-vocale verso gli 8-10 mesi di vita, seguendo stadi di sviluppo caratteristici, elencati di seguito: – Nascita - 1 mese: fonazione – 2-3 mesi: imitazioni vocaliche – 4-6 mesi: varietà fono-articolatorie (pernacchie, bolle...) – 6-7 mesi: lallazione canonica – 10-12 mesi: lallazione variata proto parole. -> Le prime parole propriamente dette compaiono intorno ai 12 mesi e aumentano di numero velocemente, combinandosi in espressioni verbali sempre più complesse ( . 2). A 3 anni, le competenze linguistiche acquisite appaiono prossime e quelle dell’adulto. Il bambino di norma a quest’età: Fig – percepisce e analizza pattern acustici e identifica nel flusso sonoro i segmenti linguistici – produce pattern articolatori corrispondenti – memorizza, riconosce ed usa una quantità di parole vocabolario -> – gestisce le regole morfo-sintattiche della propria lingua – si adatta al contesto per migliorare l’efficacia comunicativa. 3.3.2 I disordini di linguaggio La velocità e il ritmo delle acquisizioni linguistiche possono apparire molto variabili da un individuo all’altro, rimanendo nei limiti di norma. D’altra parte, il mancato raggiungimento dei requisiti linguistici fondamentali, quali la comparsa delle prime parole, entro i 2 anni di età, o delle prime combinazioni a due termini, entro i 3 anni, rappresenta un indice prognostico sfavorevole, significativamente correlato con uno sviluppo deficitario o atipico del linguaggio, e rende necessario un accurato approfondimento diagnostico. È importante ricordare che un ritardo nello sviluppo del linguaggio non corrisponde necessariamente a un deficit cognitivo, poichè le aree della verbalità e dell’intelligenza hanno sede e circuiti neurali separati e possono esser interessate selettivamente da condizioni patologiche. Fig. 3. Traiettorie evolutive del linguaggio normale, tardivo e atipico. In base a un criterio di gravità, i disordini del linguaggio sono distinti sul piano clinico in manifestazioni borderline, in ritardo di esordio e/o di progressione delle competenze verbali e in ritardo di linguaggio con evoluzione atipica ( . 3). Come verrà spiegato in seguito, la configurazione di un disturbo di linguaggio muta nel tempo, a seconda dell’età del bambino e dell’entità del disturbo. Sulla base dei meccanismi eziopatogenetici, i disturbi del linguaggio sono classificati in primitivi e secondari. I primi sono caratterizzati dall’assenza di cause note e da indici prognostici più favorevoli rispetto a quelli associati ai disordini secondari. In questi ultimi, infatti, le alterazioni del linguaggio derivano dalle cause di disabilità più comuni in età evolutiva: i deficit funzionali di altre aree evolutive, quali la sfera cognitiva o relazionale, le patologie organiche che interessano il sistema nervoso, i dismorfismi cranio-facciali ( . 4), ecc. Fig Fig Comuni cause di disabilità in età evolutiva Prevalenza per %o Ritardo mentale 25 Difetto dell’attenzione e del comportamento 30-50 Disordini dello spettro autistico 6 Paralisi cerebrale infantile 2-3 Malformazioni cranio-facciali 20 Sordità o cecità 1-3 Fig. 4. Comuni cause di disabilità in età evolutiva. L’entità del disturbo linguistico secondario è determinata dal tipo e dalla gravità della condizione patologica che lo genera. Per esempio, un ritardo mentale di grado grave o profondo impedisce lo sviluppo del linguaggio, mentre quello di grado lieve non interferisce con le capacità verbali. I disordini di linguaggio secondario sono spesso caratterizzati, oltre che da un ritardo delle acquisizioni, anche da atipie linguistiche e dal raggiungimento di un plateau, che corrisponde alla stabilizzazione del grado di disabilità comunicativa. APPROFONDIMENTO In età evolutiva, un disturbo è detto specifico quando una singola abilità (misurabile) è compromessa selettivamente, in assenza di altri disordini intellettivi, sensoriali o altro. I disordini specifici dell’età evolutiva quindi possono riguardare tutte le singole aree di sviluppo. La dislessia, per esempio, rappresenta una difficoltà selettiva delle abilità di letto-scrittura, e solitamente non si associa a difficoltà cognitive ( Fig . 5). Fig. 5. Classificazione dei Disturbi Specifici. 3.3.2.1 I Disturbi Specifici di Linguaggio (DSL) Per quanto riguarda l’area del linguaggio, i disordini più frequenti sono di tipo primitivo: il disturbo specifico dell’articolazione verbale (v. paragrafo precedente) e il disordine specifico del linguaggio. Il ritardo di sviluppo del linguaggio è il più comune disordine evolutivo nei bambini in età prescolare e scolare, interessando il 5-10 % degli individui, con una prevalenza dei maschi rispetto alle femmine (2.5:1). Si manifesta in quadri clinici differenti (v.di seguito), a seconda del dominio linguistico più compromesso (fonologico, lessicale, v. di seguito). Fig. 6. Cause di esordio tardivo del linguaggio. Definizione , in riferimento a valori normativi della popolazione infantile sana e normoevoluta. I criteri di definizione risultano differenti a seconda degli autori e delle casistiche esaminate e possono esser suddivisi essenzialmente in due gruppi: 1) il criterio di normalità è stabilito rispetto all’età cronologica. Si tratta di ‘bambini che parlano tardi’ (late-talkers) quando producono meno di 10 parole oltre i 24 mesi di età, o meno di 50 parole diverse e nessuna combinazione di almeno due parole oltre i 36 mesi. 2) il criterio di normalità deriva dalla misura delle prestazioni linguistiche, attuata mediante l’applicazione di test standardizzati che esaminano le competenze verbali sul versante della comprensione e della produzione, nei quattro domini del linguaggio (fonologico, lessicale, morfosintattico e pragmatico). Il linguaggio non segue una linea evolutiva normale quando i punteggi ottenuti nelle prove rimangono due deviazioni standard al di sotto dei valori attesi per età, intelligenza e scolarità. Inoltre, deve esser presente una discrepanza prestazionale fra abilità verbali del bambino e le restanti abilità. Il DSL è caratterizzato da un allungamento dei tempi di esordio e/o di progressione del linguaggio verbale La conferma della diagnosi di DSL è possibile solo dopo l ( . 6). I ‘parlatori tardivi’ infatti hanno un normale sviluppo cognitivo e affettivo-relazionale, sono sani e non presentano segni clinici suggestivi di un danno neurologico o di un disturbo psicologico. Infine, il processo diagnostico deve prevedere una finestra di osservazione di almeno 6 mesi, durante i quali in molti casi si può riscontrare una risoluzione del ritardo. Infatti, in una consistente percentuale (30-50%) di bambini considerati ‘late-talker’, il disordine specifico di linguaggio non si stabilizza, ma al contrario scompare entro i 4-5 anni di vita (cosiddetti ‘late bloomer’- ‘bambini che fioriscono tardi’). ‘ esclusione di altri disordini evolutivi e/o altre patologie Fig Quadro clinico Una caratteristica comune a tutti i bambini che parlano tardi è il ritardo fonologico che si accompagna al ritardo nella produzione lessicale. Le difficoltà di linguaggio tendono a variare nel tempo interessando nei primi anni di vita il dominio fonologico e lessicale, che migliorano lentamente, e in seguito divengono più evidenti nelle competenze sintattiche e negli aspetti metalinguistici ( . 7). Fig Fig. 7. Manifestazioni cliniche del DSL in relazione all’età. L’adolescente, parlatore tardivo nell’infanzia, manifesta spesso una difficoltà nel cogliere il motto di spirito, la metafora, ecc., pur dimostrando una piena autonomia nella comunicazione verbale della vita quotidiana. Fino dall’esordio si osservano quadri clinici differenti, a seconda dell’estensione del disturbo nei domini linguistici. In un semplice ritardo fonologico si nota la persistenza di alcuni processi di semplificazione dell’articolazione tipici di un bambino di due-tre anni (ad es., ‘cappe’ per scarpe). In un ritardo fonologico più grave, si osserva un repertorio di consonanti estremamente ristretto, e l’eloquio risulta per lo più non intelligibile per un estraneo. In un disturbo del linguaggio “espressivo” le difficoltà interessano sia la fonologia che la struttura morfo-sintattica, ma non riguardano la comprensione. Infine, in un disturbo del linguaggio di tipo “recettivo”, anche la comprensione risulta deficitaria. Nella maggior parte dei bambini con ritardo di linguaggio in via di risoluzione all’epoca dell’inserimento scolastico si osserva un normale apprendimento della lettura e scrittura. Al contrario, nel DSL stabilizzato, i bambini commettono molti errori di accuratezza nella lettura e hanno prestazioni molto più basse della media nella comprensione dei brani, probabilmente a causa delle persistenti difficoltà di comprensione grammatticale. . Per questi motivi si raccomanda la segnalazione a 3 anni dei parlatori tardivi e la diagnosi precoce del DSL a 4 anni di età 3.3.2.2 I disordini di linguaggio secondari a ipoacusia Sulla base di quanto precedentemente accennato, lo sviluppo del linguaggio è geneticamente determinato, ma, per poter aver inizio, deve essere innescato dall’esposizione ad adeguati stimoli sonori e verbali. In caso di ipoacusia, il disordine del linguaggio rispecchia la qualità della percezione uditiva residua: i fonemi che non vengono percepiti, non vengono prodotti, mentre quelli che vengono recepiti in modo distorto vengono riprodotti in modo alterato. In questi casi, a fronte di un’integrità delle strutture anatomo funzionali preposte all’espressione verbale, si osserva un disordine di linguaggio tanto più grave, quanto più profondo e persistente appare il deficit uditivo. Il ripristino di una funzionalità percettiva normale, mediante l’applicazione di adeguati sussidi protesici (protesi acustiche o impianto cocleare) permette di riavviare il percorso evolutivo linguistico, entro certi limiti di età e soprattutto entro i ‘periodi critici’ dello sviluppo del linguaggio. Se questi ultimi vengono superati, è possibile recuperare soltanto le abilità uditive, ma non quelle verbali. Si ritiene che una deprivazione uditiva e verbale che duri fino ai sei anni di vita provochi un ritardo/assenza del linguaggio verbale irrecuperabile nella maggior parte dei casi. Nelle ipoacusie di tipo complicato dalla presenza di altre disabilità associate, l’alterazione del linguaggio consegue dalla complessità del quadro risultante, in particolare in relazione alla patologia maggiore (v.di seguito). 3.3.2.3 I disordini di linguaggio secondari a ritardo mentale Per quanto, come già affermato, il ritardo di linguaggio non implichi la presenza di un difetto intellettivo, non è dimostrabile il contrario, soprattutto in casi gravi. Il ritardo cognitivo, infatti, influenza negativamente lo sviluppo del linguaggio in misura maggiore quanto più basso risulta il quoziente intellettivo. Nei casi più lievi le alterazioni del linguaggio consistono in una limitazione del vocabolario e della lunghezza media degli enunciati. La fase ideativa del linguaggio è più povera e si traduce nell’utilizzo di frasi semplici, non corrette sotto il profilo grammaticale e, alla fine, nell’impossibilità di costruire un discorso complesso e coerente come avviene nell’adulto. Tali abilità espressive, però, sono compatibili con una conservata autonomia dell’individuo nella vita quotidiana e nel formulare brevi racconti basati su fatti concreti. Nel ritardo mentale grave o profondo, l’impossibilità di accedere alla rappresentazione simbolica è diffusa a tutti gli ambiti cognitivi, compreso l’uso del linguaggio verbale. È possibile ottenere qualche produzione verbale, costituita da parole isolate, o semplici vocalizzi privi di struttura fonemica, utilizzati come richiamo o messaggi convenzionali legati al contesto. La condizione di handicap che deriva da quest’ultima condizione è tale da rendere necessario l’utilizzo di metodiche di comunicazione alternativa non verbale. 3.3.2.4 I disordini di linguaggio secondari a paralisi cerebrale infantile In caso di lesioni cerebrali e/o di esiti motori permanenti, si evidenziano le alterazioni del linguaggio del quadro afasico/disartrico/cognitivo, determinato dalla sede e dalla estensione delle aree cerebrali danneggiate, spesso con manifestazioni cliniche di tipo misto (v. capitolo sulle disartrie). A differenza di quanto avviene nell’adulto con esiti di danno delle aree cerebrali interessanti il linguaggio, nel bambino queste lesioni precedono la comparsa del linguaggio e la creazione di schemi neuromotori per la produzione verbale. In questi casi spesso è necessario ricorrere a sussidi per la comunicazione, costituiti da semplici pulsanti per il richiamo e da tavole contenenti simboli e fonemi che, sfruttando le abilità motorie residue, possono contribuire integrare la comunicazione verbale. 3.3.2.5 Le alterazioni del linguaggio nelle malformazioni cranio-facciali Data l’estrema varietà di sindromi e di associazioni genetiche che interessano lo splancnocranio e il neurocranio nel loro sviluppo, le conseguenti alterazioni del linguaggio sono naturalmente molto varie. La maggior parte di questi disordini sono di natura articolatoria e sono determinate dal tipo di difetto anatomico presente (vedi capitolo su ‘le dislalie, le palatoschisi). A seconda del distretto alterato nell’ambito del sistema pneumo-fono-articolatorio, le alterazioni del linguaggio derivano da un’incapacità di produrre alcuni gruppi di fonemi e di mantenere un eloquio intelligibile. Per esempio, in caso di anomalie anatomiche delle labbra e dell’arcata dentaria, sono compromessi i fonemi anteriori. In caso di deficit del palato molle, del timbro della voce è alterato per eccessiva nasalizzazione. Il disordine articolatorio molto grave, che permette la produzione di pochi fonemi, induce effetti negativi anche sullo sviluppo degli altri ambiti linguistici, lessicale, grammaticale, pragmatico e nel tempo consolida un disturbo del linguaggio sui versanti sia della produzione che della comprensione verbale, a causa della mancanza del feed-back articolatorio già descritto nel precedente capitolo. Inoltre, nelle associazioni sindromiche cranio-facciali sono comprese anomalie cerebrali e ritardo mentale con elevata frequenza (1/3 dei casi) che a loro volta possono determinare uno sviluppo defecitario e/o atipico del linguaggio. 3.3.2.6 I disordini di linguaggio secondari ai Disturbi Pervasivi dello Sviluppo I disordini pervasivi dello sviluppo (o dello spettro autistico, secondo una precedente accezione) si manifestano con gravità e caratteristiche diverse, accomunati però dalla compromissione delle capacità di interazione sociale, della comunicazione verbale e non verbale, e del comportamento. Il linguaggio risulta gravemente alterato negli aspetti pragmatici, ossia non è finalizzato all’interazione sociale. Si presentano quindi casi nei quali le abilità verbali sono conservate sotto il profilo morfo-sintattico, ma vengono utilizzate in modo dissociato rispetto al contesto comunicativo (discorsi ‘non sense’). Nei casi più gravi (25%) non si osserva lo sviluppo di forme espressive verbali, unitamente alla mancanza di un’interazione comunicativa efficace sul piano mimico-gestuale. APPROFONDIMENTO Classificazione del ritardo mentale secondo un criterio di gravità (DSM IV) Livello di gravità del deficit cognitivo (QI) Lieve 50-55 a 70 Medio 35-40 a 50-55 Grave 20-25 a 35-40 Profondo < 20-25 Classificazione delle paralisi cerebrali infantili in base alla localizzazione dei deficit motori Quadro clinico Tetraplegia 4 arti Diplegia Arti inferiori Emiplegia Arti sup e inf dello stesso lato Monoplegia Un arto Classificazione delle paralisi cerebrali infantili in base al tipo di alterazione motoria Quadro clinico Spastica Aumento del tono muscolare antigravitario Flaccida Impossibile contrazione muscolare Discinetica Ipercinesia di natura extrapiramidale Atassica Disturbo della coordinazione e dell’equilibrio Mista Alterazioni miste Alterazioni del linguaggio presenti nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DSM IV) Quadro clinico Disturbo autistico Ritardo o mancanza dello sviluppo del linguaggio Linguaggio stereotipato o eccentrico Disturbo di Rett Il linguaggio appena acquisito viene perso a 4 anni Parziale conservazione della comunicazione gestuale Disturbo Disintegrativo della fanciullezza Perdita delle acquisizioni dopo i 2 o i 4 anni Disturbo di Asperger Disturbo semantico-pragmatico di linguaggio Conservata sintassi Disturbo Generalizzato dello Sviluppo NAS grave e progressivo deterioramento del linguaggio