3.7 Balbuzie

Definizione. La balbuzie è un disordine del ritmo della parola nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono (OMS, 1977).

Epidemiologia. Le alterazioni della fluenza iniziano generalmente tra i due ed i quattro anni di età, ovvero nel periodo di massimo sviluppo del linguaggio. L’esordio negli anni successivi è sempre più raro sino a scomparire intorno ai dodici anni di età. Dopo l’esordio le disfluenze di durata superiore a sei mesi scompaiono spontaneamente nel 75-80% dei casi. Per questo motivo, mentre l’incidenza, ovvero la percentuale di persone che hanno balbettato in un periodo della loro vita è intorno al 5%, la prevalenza è pari a circa l’1%. Il rapporto tra balbuzienti di sesso maschile e femminile diventa sempre maggiore con l’aumento dell’età dei bambini: nell’età prescolare, i maschi balbuzienti sono il doppio delle femmine; il rapporto diventa 3:1 nei bambini di prima elementare e cresce fino a 5:1 nei bambini di quinta elementare.

Eziopatogenesi. L’eziopatogenesi della disfluenza non è ancora nota, anche se gli studi in proposito e le ipotesi proposte nel corso degli anni sono innumerevoli. Vi è evidenza che la balbuzie abbia una base genetica. Infatti, i bambini che hanno parenti di primo grado che balbettano hanno una probabilità tre volte maggiore di sviluppare la balbuzie. Tuttavia, dal 40% al 70% dei balbuzienti non hanno una storia familiare del disordine. In un bambino geneticamente predisposto sono molti i fattori ambientali che possono scatenare la balbuzie agendo singolarmente o in combinazione tra loro (Guitar, 2006). Tra questi l’ambito familiare o sociale può avere un ruolo fondamentale: una reazione malaccorta di tipo ansioso o perfezionista da parte dei genitori, insegnanti o compagni può far sì che la produzione verbale divenga per il bambino un’esperienza spiacevole. Nel periodo tra 2-31/2 anni il bambino attraversa un periodo di fisiologica non fluenza della parola a causa del divario esistente a questa età tra le capacità ideative ed espressive. Un ambiente educativo corretto accetta gli sforzi del bambino ad esprimersi e lo gratifica incoraggiandolo a superare le ripetizioni e fissazioni della parola; ma se le disfluenze fisiologiche del bambino caricano di ansia i genitori e se la reazione alla parola assume un carattere punitivo fatto di rimproveri o di richiesta di una migliore prestazione, allora si creano tutti gli elementi perché insorga un conflitto tra il desiderio di parlare e desiderio di non parlare per timore di non farlo bene, con relativo consolidamento della balbuzie (Sheehan, 1953).


Fig. 1. Possibile eziopatogenesi della balbuzie.


È anche evidente che la balbuzie è più comune in bambini che hanno altre concomitanti difficoltà del linguaggio, dell’apprendimento o motorie. Negli ultimi decenni, vari autori hanno inquadrato la balbuzie come disturbo del controllo motorio.

In Figura 1 è schematizzata una possibile linea eziopatogenetica (da Bellussi; Formigoni e Schindler, 1992). Tre gruppi di fattori interagiscono tra loro nella genesi e nel mantenimento della balbuzie: 1) fattori predisponenti endogeni, 2) fattori scatenanti ed aggravanti esogeni e 3) meccanismi di autoalimentazione

Sintomatologia. La sintomatologia della balbuzie evolve tipicamente nel tempo seguendo fasi che possono essere così schematizzate (Bloodstein,1960):

Prima fase: comparsa delle prime disfluenze di durata e consistenza variabili, alternate a periodi di remissione anche lunghi. Le disfluenze sono più frequenti in condizioni di stress comunicativo, non si ripercuotono sull’intenzione comunicativa del bambino, che resta del tutto inconsapevole del disturbo.

Seconda fase: la disfluenza si cronicizza ed i periodi di remissione sono sempre più rari. Il bambino inizia ad essere consapevole del disturbo, ma non manifesta preoccupazione.

Terza fase: compare la sensazione di difficoltà nell’eloquio, che viene evitata con sostituzioni di parola o circonlocuzioni

Quarta fase: compare la costante anticipazione della difficoltà e la paura nei confronti della produzione verbale che scatena comportamenti di fuga e di evitamento.

La prima fase viene definita anche balbuzie fisiologica o primaria, verificandosi frequentemente nel periodo di rapido progresso del linguaggio dei primi anni di vita. La seconda fase rappresenta il passaggio ancora reversibile verso una patologia più consolidata e viene definita come balbuzie di transizione. La terza e quarta fase corrispondono invece alla balbuzie secondaria, ovvero ad una balbuzie consolidata, che difficilmente si instaura prima dell’età scolare.

Le disfluenze più frequenti nel linguaggio infantile sono le pause, le revisioni e le interiezioni, mentre le ripetizioni di parole o di sillaba, specie se accompagnate da tensione muscolare, sono rare e generalmente indicative di evoluzione negativa del disturbo.

Gregory e Hill (1980) hanno proposto un continuum delle disfluenze schematizzato in Fig. 2.

Valutazione. La valutazione del paziente dovrebbe prevedere:

• Anamnesi con particolare riguardo a familiarità del disturbo, sviluppo psicomotorio e linguistico, presenza di patologie associate di tipo neurologico od altro.

• Osservazione della variabilità della fluenza nelle diverse situazioni comunicative.

• Osservazione dell’interazione comunicativa (genitori-bambino).

• Analisi formalizzata quali-quantitativa dell’eloquio: misurazione del numero e del tipo di disfluenze mediante registrazione di più campioni di eloquio del paziente, in diversi momenti e situazioni comunicative.

• Valutazione dell’attitudine, vale a dire dell’atteggiamento interiore del paziente nei confronti della propria balbuzie.

• Valutazione strutturata della prestazionalità infantile.


Scopo principale di una accurata valutazione del paziente è l’individuazione precoce dei bambini a rischio di cronicizzazione e la formulazione di un programma terapeutico mirato alle diverse esigenze di ogni singolo paziente.

Terapia. Nei bambini che non hanno problemi di linguaggio e che presentano disfluenze tipiche, oppure con meno del 2% di disfluenze borderline/atipiche, è indicato il solo counseling preventivo od informativo ai genitori. Questo tipo di counseling prevede 4-6 incontri con i genitori senza alcun coinvolgimento del bambino, durante i quali si spiegano i vari aspetti della disfluenza e si ricercano eventuali fattori educativi o comunicativi che possono influire negativamente sul disturbo. Viene quindi discussa con i genitori la strategia più idonea per eliminare lo stress comunicativo del bambino e per la corretta accettazione del disturbo.

Nei bambini con disfluenze tipiche superiori al 10% o di disfluenze borderline-atipiche superiori al 2-3%, in assenza di altri problemi legati alla disfluenza, si inizia un counseling parentale prescrittivo ed un coinvolgimento indiretto e limitato del bambino. Questo counseling prevede incontri con i soli genitori e poi anche con il bambino, durante i quali il logopedista può controllare il comportamento comunicativo dei genitori e suggerire le eventuali correzioni.


Fig. 2. Continuum delle disfluenze (Gregory e Hill, 1980).


Nei bambini con disfluenze atipiche superiori al 3% o disfluenze borderline associate a patologia del linguaggio e/o del comportamento, è necessario un coinvolgimento diretto sia dei genitori che del bambino, al fine di migliorare le abilità verbali del bambino in modo da raggiungere una produzione più ricca e fluente, nonché fornire esperienze positive di comunicazione. Nelle forme gravi di balbuzie e quando l’attitudine è negativa, non è generalmente possibile migliorare la fluenza. In tal caso è importante affrontare il vissuto del paziente rispetto alla balbuzie, le sue paure ed emozioni.