Cosa si intende per riabilitazione nel contesto detentivo italiano? Per comprendere il concetto di riabilitazione nel contesto carcerario italiano, è necessario analizzare l’evoluzione legislativa della pena e la nascita del principio rieducativo. L’articolo 27, comma 3, della Costituzione italiana afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Questo principio, sebbene fondamentale nell’ordinamento giuridico, ha trovato una concreta applicazione solo con l’entrata in vigore della Legge 354/1975, che ha segnato il passaggio da una concezione retributiva e deterrente della pena a una visione costituzionale basata sulla rieducazione e il reinserimento sociale. La Legge 354/1975 ha introdotto principi innovativi come la giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale, con l’istituzione della magistratura di sorveglianza, e ha aperto le porte a misure alternative alla detenzione. Tra queste, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà sono strumenti centrati sulla responsabilizzazione del condannato e sull’abituarlo alla vita di relazione. Inoltre, l’articolo 15 dell’Ordinamento Penitenziario stabilisce che il lavoro debba essere considerato un diritto e un elemento centrale nel trattamento rieducativo, finalizzato a reinserire il detenuto nel tessuto sociale. Negli ultimi anni, l’adozione della Legge 69/2019, nota come Codice Rosso, ha posto un forte accento sui reati legati alla violenza domestica e di genere, aumentando le pene per tali reati e introducendo procedure più rapide per la tutela delle vittime. In un contesto di riabilitazione, questo comporta l’urgenza di percorsi educativi specifici per detenuti che si sono resi responsabili di violenze, con l’obiettivo di sensibilizzarli sulle conseguenze dei loro comportamenti e prevenire la recidiva. Questi percorsi rientrano nella più ampia visione di una pena che non sia solo punitiva, ma anche riparativa e trasformativa, in linea con il principio costituzionale rieducativo. Nonostante l’impianto teorico della legge, il sistema penitenziario italiano presenta numerose criticità. Tra queste, il sovraffollamento, le strutture fatiscenti e la carenza di risorse umane ed economiche hanno spesso ostacolato l’applicazione concreta del principio rieducativo. Le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come la sentenza Torreggiani (2013), hanno evidenziato le violazioni dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che proibisce trattamenti inumani o degradanti, costringendo l’Italia a intervenire sia sul risarcimento dei danni subiti dai detenuti sia sulle condizioni detentive. Le riforme successive, come la Legge 103/2017 (cosiddetta Riforma Orlando), hanno cercato di ampliare le misure alternative e promuovere una visione della pena che privilegi la risocializzazione rispetto alla reclusione. Tuttavia, il sistema rimane inadeguato per far fronte al numero crescente di detenuti e ai complessi bisogni rieducativi. A peggiorare la situazione sono intervenute la crisi economica e le conseguenze della pandemia da COVID-19, che hanno accentuato le disuguaglianze e ridotto le opportunità di reinserimento. La rieducazione, secondo i più recenti orientamenti, dovrebbe valorizzare le potenzialità individuali del detenuto, offrendo percorsi formativi, lavorativi e terapeutici che mirino a costruire nuove competenze e motivazioni. Progetti innovativi come quelli legati alla giustizia riparativa, che coinvolgono detenuti, vittime e comunità, rappresentano un’importante integrazione del modello tradizionale. L’obiettivo resta quello di abbattere il tasso di recidiva, dimostrando che il detenuto non è il reato che ha commesso, ma una persona con capacità di crescita e cambiamento, da supportare nel reinserimento sociale. L’esperienza italiana del lavoro sulle abilità sociali in contesti penitenziari ha visto negli ultimi anni l’implementazione di numerosi progetti innovativi, volti a favorire il reinserimento sociale delle persone detenute e a contrastare l’isolamento tipico della vita carceraria.