Capitolo 4
Alcuni dei miei ponti

Ti racconto un po’ della mia storia, così che tu possa capire che ponti ho attraversato, quali ho costruito e quali mi sono crollati sotto i piedi. 

Il primo ponte che ho costruito è stato il ponte che mi ha portato alla maturità, al liceo scientifico. È stato un ponte lungo cinque anni, con molte difficoltà nei primi due anni, e belle soddisfazioni negli anni a seguire, a raccogliere i frutti dell’impegno e dei sacrifici del biennio. Purtroppo l’unica insufficienza grave di matematica l’ho presa proprio all’esame di maturità, quindi il voto finale non è stato un granché. Comunque sia sono partito alla volta di Torino, per iscrivermi al Politecnico. Passato l’esame di ammissione è iniziata l’avventura, o dovrei meglio dire l’Odissea. Se il ponte verso la maturità lo avevo costruito comunque senza ritardi (rispetto agli altri compagni di viaggio), quello per la laurea è andato molto molto più per le lunghe. Te ne parlerò più avanti, per ora è sufficiente sapere che è stata dura, lunga, ma alla fine ho costruito anche questo ponte e sono arrivato alla laurea. Da qui con un po’ di pazienza ho trovato il primo lavoro come ingegnere (Production planner) in un’azienda metalmeccanica di termoformatura (lavoravamo per la Lamborghini e la cosa mi riempiva di orgoglio). Orari infiniti, un centinaio di km al giorno fra andata e ritorno, e qualche bella soddisfazione. Poi la cassa integrazione, secondo lavoro, poi terzo. E qui ho costruito il ponte da neolaureato a ingegnere esperto in programmazione della produzione, tempi e metodi ecc. Tanto esperto che ho ricevuto l’offerta per andare a fare lo stesso lavoro in una startup in Rep. Ceca. In effetti, più che la mia bravura, è stata la mia caparbietà e il fatto che avessi praticamente le valigie pronte per partire, a farmi ottenere quella promozione. Comunque sia, o questo o quel ponte, mi hanno portato in Rep. Ceca. Qui in teoria avrei dovuto rimanere tre anni, con possibilità di rinnovo. Invece, dopo solo undici mesi, il ponte che sembrava mi avrebbe portato sempre più in alto… da un giorno all’altro, è semplicemente crollato sotto i miei piedi. Mi sono ritrovato senza lavoro, senza un appartamento in cui vivere, a 1200 km da casa, con molte più cose (oggetti/bici/chitarra) di quante ne potessi mettere nella mia Fiat Punto. Non volevo e non potevo darmi per vinto, né tantomeno tornare in Italia senza aver almeno visto quel bel paese (in un anno avevo visto bene poco, a parte la fabbrica in cui ero sei giorni su sette).

Quindi, rimboccate le maniche, alla ricerca di un lavoro nuovo. Costruiti altri ponti (la faccio breve): imparata la lingua, imparato a vendere, imparato a creare rapporti commerciali e canali di distribuzione, imparato a gestire una piccola srl, poi anche quella di altri come amministratore delegato, poi un negozio. Gestite due fusioni/acquisizioni. Il tutto in una decina di anni. Tutto sembrava andare a gonfie vele, avevo un sacco di ponti. Il problema è che iniziarono a vacillare tutti quando mi feci una singola semplicissima domanda: 

"è la vita che volevo? "


e poi una seconda domanda: 


"sto facendo qualcosa che mi piace, o qualcosa che so fare?"


e poi ancora: 


"a cosa serve, a chi serve veramente tutto questo impegno, tutta questa passione, tutta questa fatica?"


Prima che me ne rendessi conto avevo perso la terra sotto i piedi. I miei ponti si stavano trasformando in altro... i pilastri che credevo reggessero tutta la mia vita si sono trasformati in sbarre di acciaio, le sbarre di una gabbia che mi ero costruito da solo. 

La mia prigione.