Intanto, se sei un insegnante e stai leggendo questo libro, ti ringrazio per il lavoro che fai, per la pazienza e l’impegno dedicati agli studenti, che, come i figli, sono tutt’altro che semplici e tutt’altro che “comprensibili”. Eravamo già complicati noi, per i nostri insegnanti, ma i cambiamenti che ci sono stati negli ultimi anni, la velocità con la quale sono cambiate le abitudini le tecnologie, le comunicazioni, la vita sociale hanno ulteriormente scombussolato tutto. Solo adesso iniziamo a capire questi cambiamenti e ad adattarci ad essi. I miei complimenti sinceri.
Più che l’applicazione del metodo, che puoi prendere dagli stessi consigli per i genitori, per voi insegnanti ho semplicemente qualche consiglio extra, linee guida per assicurarvi di dare il meglio e di far esprimere al meglio i vostri studenti. Ecco le linee guida:
- Dare la possibilità agli studenti di rimediare;
- Evitare etichette “fisse”, perché le etichette fisse non esistono.
Non siamo alberi, siamo persone e cambiamo, per lo meno possiamo cambiare se vogliamo. Credete di no? Il punto non è se succede spesso o di rado, il punto è che può succedere, ci sono studenti che cambiano, migliorano, recuperano (così come ci sono quelli che peggiorano, ovviamente).
- Votare la prestazione, mai la persona per non minarne l’identità e tenerne alta l’autostima.
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I limiti che vediamo negli altri (questo vale per tutti in tutte le situazioni, non solo per gli insegnanti) sono i limiti che abbiamo noi, sono un
riflesso delle nostre esperienze e delle nostre credenze.
- Avete una “funzione” fondamentale nella crescita degli studenti. Avete la possibilità di motivarli, di spronarli, di incentivarli. D’altro canto correte/corriamo il rischio di frenarli, bloccarli, demotivarli, anche se agiamo spinti dalle migliori intenzioni. Come mai? Semplice: non tutti siamo uguali. Quello che motiva me, deprime mio fratello. Quello che esalta mio fratello deprime me. Vi è mai successo di usare la stessa strategia con studenti (o persone in genere) e avere risultati diversi? A volte anche diametralmente opposti? Bene, il motivo non è nella strategia, ma nel fatto che quello che funziona/non funziona non è la strategia in sé, bensì la combinazione fra strategia e personalità di chi la “subisce”.
Vi faccio un esempio per chiarire: ci sono studenti che lavorano bene sotto pressione, che devono essere quasi sgridati per dare il meglio, vero?
Devono aver paura di essere bocciati per mettersi a studiare. Bene questi sono spinti da quella che si definisce una modalità “via dal dolore”. Ma se per caso pressiamo e stressiamo una persona che invece ha una modalità “verso il piacere”, non funziona. Io ad esempio non ho mai reagito alle minacce di bocciatura o simili. Ho sempre reagito invece alle sfide, perché mi piace più vincere. Statisticamente parlando sono in minoranza, e qualcuno potrebbe anche dire: “usiamo quello che funziona nella maggior parte dei casi e tanti saluti”. Analizzando i numeri, potrebbe funzionare. Ma se quello studente fosse vostro figlio? non vi prendereste la briga di capire che strategia funzioni meglio per lui? Non è poi così difficile da fare, e al contempo non è così semplice, non decidiamo solo con modalità “via dal dolore” o “verso il piacere”. Ci sono poi altre dinamiche che è bene conoscere. Il punto è che c’è una soluzione: conoscere almeno le basi delle principali personalità in modo da usare con ognuno la strategia più appropriata e funzionale. Per questo motivo ho aggiunto come ultimo bonus il prossimo capitolo. Inoltre non dobbiamo mai dimenticare l’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal di cui ho parlato in modo più esteso nel capitolo delle Credenze, sotto capitolo “profezie autorealizzanti”. Il fatto che un docente creda nelle capacità di uno studente, fa aumentare le capacità stesse dello studente perché accrescerà l’autostima che, come abbiamo visto più volte in questo testo, è fondamentale per poi comportarsi di conseguenza e raggiungere i risultati desiderati.