Col primo vi spiego la formula del Coaching:
P = p – i Performance = potenziale – interferenze.
Diciamo che la performance di cui vogliamo preoccuparci col coach è una performance fisica: correre i 10 km in meno di un’ora (il mio obiettivo per questo giugno 2022, mentre ti scrivo). So che per molti correre 10 km in un’ora significa annoiarsi, andare con una gamba sola ecc ecc. Per me invece è un obiettivo SMART: vedrai cosa significa nel dettaglio nel capitolo sulla O di Obiettivi, per il momento fidati, significa che è un obiettivo ben definito e che per me ha senso. Ok, qual è il potenziale? Il potenziale è la mia forma fisica, quanto mi alleno, come mi alleno, con chi mi alleno. E le interferenze? Le interferenze possono essere il brutto tempo, amici che mi chiedono di andare a bermi una birra invece di allenarmi, la mia vocina che mi dice "lascia perdere, sei stanco, dormi ancora un po’ ", la carbonara, i troppi dolci e altri cibi troppo grassi, altri veleni che “vogliono” entrare nel mio organismo. A questo punto il coach cosa fa? Mi aiuta ad aumentare il potenziale, per esempio, facendomi fare allenamenti più funzionali al mio obiettivo, degli allenamenti che, a parità di tempo, mi fanno migliorare più in fretta. Per chi si intende un po’ di corsa, sono le famose ripetute, ad esempio. A questo punto non gli resta che diminuire e possibilmente cancellare le interferenze: mi dà una dieta che mi faccia da benzina, non da tappo, quindi frutta, verdure, proteine e carboidrati in dosi controllate, attenzione ai sali minerali, all’idratazione ecc. Il coach quindi mi motiva, per evitare che io mi auto-saboti da solo, o che ascolti gli “amici del bar” invece di ascoltare i compagni della squadra di atletica, se ne ho una. Vista così sembra semplice, p-i e il gioco è fatto. A volte lo è, ma non nella maggior parte dei casi. Più in generale, molti coach applicano il metodo GROW (ideato da Sir John Whitmore, uno dei padri del coaching). Ora ti spiego brevemente come funziona questo metodo G = Goal. Il coach chiede “qual è il tuo obiettivo? Cosa vuoi raggiungere? R = Reality. Il coach chiede “qual è la tua situazione attuale, il tuo punto di partenza?” O = Options. Il coach domanda “Quali sono le opzioni che hai per muoverti verso il tuo obiettivo?” W = Will. Coach “quindi cosa farai adesso?” Come vedi, visto così, il lavoro del coach non sembra molto complesso. In effetti il sistema è semplice. Le cose si complicano quando il coach deve capire, da parole, toni di voce, doppi sensi, quali siano i veri ostacoli che deve affrontare la persona coachata. Molto importante è anche quello che fa il coach accompagnando la persona a definire l’obiettivo in modo costruttivo (lo spiego meglio nel capitolo Obiettivo), e ancora più importante (purtroppo non tutti i coach lo fanno), scavare per capire se l’obiettivo è coerente con l’indole della persona, se è funzionale all’obiettivo principale, alla missione, ai valori della persona. (Questo lo sviluppo nel capitolo P = Perché).
In questo caso, una conversazione col coach potrebbe andare così:
COACH: «Bene, Jack, che obiettivo vuoi che ti aiuti a raggiungere?».
Jack: «Voglio vincere alla lotteria».
Coach: «Ottimo, cosa ti manca per vincerla?».
Jack: «Mi manca il biglietto».
Coach: «Bene, che opzioni hai per trovare un biglietto?».
Jack: «Presumo che dovrei comprarlo».
Coach: «Ottimo, quindi cosa intendi fare adesso?».
Jack: «Andrò a comprare il biglietto».
Ovviamente questo cliente Jack è un po’ strano e il coach è un pirla, ma giusto per darti un’idea, non di quanto un coach possa essere pirla o un cliente strano, ma di come si svolge questo tipo di percorso. Di solito un percorso del genere lo si affronta in quaranta minuti / un’ora di sessione col coach. Ovvio, non si fa solo questo, e per ogni punto del GROW si fanno più domande per sfaccettare la situazione. Un vero coach, sempre partendo da questo Jack un po’ atipico, potrebbe dire:
Coach: «Ok, Jack, e perché vuoi vincere alla lotteria? Credi che io possa aiutarti a vincere la lotteria?».
Jack: «Sì, voglio vincere alla lotteria perché il mio lavoro non mi piace, e poi, sì, credo che tu mi possa aiutare, sei Coach Claudio e mi dicono tutti che sei un fenomeno». (AHAAH lasciatemi essere un po’ autoironico :-) )
Coach Claudio: «Sarò un fenomeno, ma non posso aiutarti a fare in modo che il tuo biglietto venga estratto! Però quello che posso fare è trovare con te altre soluzioni più sotto il tuo controllo, per risolvere il problema del tuo lavoro. Che ne dici?».
Jack: «Ma non puoi proprio aiutarmi a vincere alla lotteria?».
Coach Claudio: «Non posso».
Jack: «Allora sei proprio scarso».
Coach Claudio: «Hai ragione, ti chiedo una cortesia, quando trovi il coach che è in grado di farti vincere la lotteria, chiamami che ci vengo anche io».
Ok, questa ovviamente è una situazione immaginaria e comico/tragica. Comica perché c’è da ridere. Tragica perché purtroppo ci sono persone che, come il coachee dell’esempio, vogliono ottenere cose che non sono sotto il loro controllo. E, per cortesia, se qualcuno che legge pensa che basti comprare dei biglietti della lotteria o giocare al super-enalotto per vincere... non è proprio il caso.
Il bravo coach indaga sul perché voglio vincere la lotteria, cosa ci farò con quel denaro e perché credo che vincere alla lotteria sia l’unico modo per guadagnare denaro e realizzare i miei sogni. Parte da lì per poi impostare tutto il lavoro da fare col coachee. Oltre a tirare fuori le soluzioni dal cliente, il coach aiuta fornendo degli strumenti che il coachee non ha. Ad esempio, aiuta a capire concetti come la voce interiore, gli autosabotaggi, i bias mentali. In questi frangenti il coach diventa per un attimo “insegnante/consulente” e poi aiuta a utilizzare gli strumenti appena forniti. Mi spiego con un esempio: più avanti nel libro troverai un esercizio che ti aiuta a liberarti dalle credenze limitanti. Le credenze limitanti sono blocchi, freni a mano che non vedi tu, a meno che qualcuno (un coach preparato, o anche un amico molto attento) non te le faccia notare. Se come coach non ti spiego come devi fare per liberarti da questi freni, non ti sto aiutando. Non posso fartici arrivare a forza di domande. Ti spiego come funzionano, ti spiego come riconoscerle, poi ci lavoriamo assieme, ti aiuto a mettere in pratica il metodo. Così come un personal trainer, se vede che fai male le flessioni, non aspetta che tu ti faccia male, ti spiega cosa non va, come correggere e poi ti aiuta a mettere in pratica la modalità giusta per fare le flessioni in modo corretto, senza incorrere in strappi, dolori, danni vari. Un altro compito del coach, tornando alla R del metodo Grow, è quello di farti vedere la realtà, nel momento in cui tu non la voglia vedere o non la veda per N motivi. Qui deve aiutarti con le domande, fartela trovare “da solo”. Infatti, se è vero che una tecnica che non sai, il coach deve insegnartela, non deve però dirti cosa è vero e cosa non lo è. Ti deve invece insegnare a trovare la verità, a cercare le tue risposte e la verifica di tali informazioni. Questo è una parte del lavoro di un bravo coach, da qui parte, ti aiuta a mettere in pratica e a fare, sì, a fare, finché non raggiungi il risultato che vuoi. Per questo è fondamentale che ti aiuti a capire realmente dove ti trovi, per non farti illudere di arrivare dove non puoi arrivare, nei tempi che ti sei prefissato o con le strategie che hai deciso di usare.
Per questo motivo nel metodo ponte il secondo step è proprio quello della definizione dell’obiettivo (o degli obiettivi). Subito dopo essere partiti con la motivazione, il motivo per il quale vogliamo fare qualsiasi cosa. Ma veniamo proprio al mio metodo PONTE.