PARTE PRIMA - BREVE STORIA DELLA DANZA DALL'ANTICHITÀ ALL'INIZIO DEL XIX SECOLO CAPITOLO 4 I MAESTRI DI DANZA DEL XV SECOLO 4.1 Danza e buone maniere Nelle corti signorili del Quattrocento comparve, per la prima volta, un personaggio destinato a rivestire un importante ruolo non solo sul piano tecnico, ma anche su quello sociale e culturale: il maestro di danza. Alle fanciulle appartenenti a famiglie nobili o dell’alta borghesia, che venivano educate alla raffinatezza dei modi in funzione di future alleanze matrimoniali, veniva impartita un’educazione musicale che prevedeva la pratica del canto, di qualche strumento musicale e della danza. L’insegnamento avveniva in ambito domestico ed era affidato a maestri specializzati. In seguito anche per gli uomini la danza finì per diventare un’abilità da esibire in pubblico al pari della scherma, una virtù che non può mancare al perfetto uomo di corte, come teorizza nel Baldassare Castiglione. Libro del cortegiano Il fenomeno dei maestri di danza esplose in modo particolare nell’Italia settentrionale. In tutte le corti si organizzavano feste danzanti e non esisteva principe che non avesse il suo maestro di fiducia. Le varie signorie della penisola si contendevano i maestri di ballo perché il saper danzare era ormai diventato un fatto di costume, prima ancora che di spettacolo. Nei matrimoni dei nobili, la presentazione della sposa avveniva a passi di danza: in alcuni casi, il maestro si sostituiva al padre stesso della sposa. I “maestri del danzare” non erano nella maggior parte dei casi dei semplici tecnici, ma persone dotate di vasta cultura che si interessavano di filosofia, di matematica, di astronomia e di alchimia, quindi perfetti uomini del Rinascimento. Con la formazione della categoria dei maestri, si diffuse la moda dei manuali di ballo che stabilivano le regole della danza. Finiti i tempi in cui ognuno poteva muoversi come voleva, da questo momento ebbe inizio un lungo processo di evoluzione del linguaggio coreutico e si acuì ancora di più il divario fra il modo di ballare del popolo e quello dei ceti aristocratici, che sempre di più doveva obbedire a un insieme di regole di comportamento, di passi codificati, di stili definiti. Del resto proprio a partire dal Rinascimento la forma ha la sua parabola più significativa di sviluppo. Basti pensare al rilievo che assunsero nel XV e nel XVI secolo l’evidenza visuale, l’organizzazione dello spazio e dell’immagine (con l’affermazione e l’elaborazione della prospettiva), passando attraverso le osservazioni microscopiche e telescopiche, per giungere nel corso dei secoli alle attuali tecniche di produzione dell’immagine stessa come la fotografia e il cinema. Nel corso del Rinascimento si verificò in Europa una grande riscoperta di danze di tutti i tempi. Venivano ripresi elementi eterogenei di varie epoche e di diversi popoli, mentre da una nazione all’altra si trasmettevano facilmente mode musicali e moduli coreici. In Italia, Francia, Germania e Inghilterra si produssero decine e decine di nuovi balli con programmi sempre più articolati e complessi. Nel XV secolo apparvero i primi codici manoscritti sull’arte della danza. Il più antico è il , attribuito alla figlia di Carlo I il Temerario, Maria di Borgogna. La raccolta comprende 59 arie di danze, ma non fornisce particolari né sul loro carattere, né sul modo di danzarle, limitandosi a indicare il nome dei passi e i movimenti. Manuscrit des Basses Danses 4.2 Domenico da Piacenza Il primo teorico a raccogliere e a sistematizzare in un’opera scritta le teorie relative alla danza del proprio tempo è Domenico da Piacenza. Il suo trattato indica i passi e le musiche delle coreografie in voga presso le varie corti, di molte delle quali è autore lo stesso Domenico. La trattazione si divide in due parti: una sezione teorica, nella quale sono esposti i princìpi dell’arte del danzare, e una parte pratica contenente la descrizione di ventidue danze, diciotto delle quali provviste di intonazione musicale. De arte saltanti e choreas ducendi La dottrina di Domenico, accreditato maestro di buone maniere e danzatore di professione richiesto dalle più influenti famiglie della sua epoca, costituì la base di tutta l’evoluzione della danza di corte, in Italia e in Europa. Della sua vita non si hanno molte notizie certe. Nacque presumibilmente a Piacenza, anche se alcuni testi lo citano come Domenico o Domenichino da Ferrara, probabilmente perché fu attivo in quella città alla corte di Lionello d’Este, grande mecenate che, durante i nove anni di governo (1441-1450) fece di Ferrara un importante centro culturale e, nel campo della danza, “la culla dello stile lombardo”. A lui Domenico dedicò il ballo . La danza dal titolo era dedicata probabilmente una delle due mogli del duca Lionello. Altre due danze della raccolta, , portano il nome di due delle “delizie estensi”, le residenze estive costruite dai duchi d'Este nella campagna intorno a Ferrara. Forse fu proprio l’intensa attività culturale promossa dalla corte ferrarese a convincere Domenico da Piacenza della necessità di trasformare la pratica coreutica, fino ad allora affidata alla trasmissione orale, in una vera e propria disciplina che avesse sia fondamenti teorici sia dignità artistica. Lioncello Marchesana Belriguardo e Belfiore Se non si conoscono con precisione le vicende biografiche di Domenico negli anni trascorsi alla corte estense, si sa con certezza, invece, che operò a Milano presso gli Sforza dove curò la regia di grandiose feste. Un allievo di Domenico, Guglielmo Ebreo, nel suo trattato afferma di aver collaborato con il Maestro per i festeggiamenti del fidanzamento di Ippolita, figlia di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, con Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napol: . De pratica sue arte tripudii vulgate opusculum, «E io me a trovai con messer Domenicho a far moresche e molti balli» Nel periodo in cui Domenico fornì la sua consulenza agli Sforza, la sua prima uscita pubblica è legata alla festa di matrimonio di Tristano Sforza, a Milano, nel 1455. In quella occasione fece da partner nel ballo a Bianca Maria Visconti, moglie del duca di Milano, «perché essa, impegnata in una danza di cui non si sentiva sicura, volle avere accanto il suggeritore dei passi e delle bassedanze e pive e saltarelli». 4.2.1 Il De arte saltandi et choreas ducendi Il manoscritto di Domenico, che ha un doppio titolo – e – ha creato qualche problema agli studiosi per quanto riguarda l’attribuzione di paternità, in quanto si presenta con caratteristiche contraddittorie: da un lato, introduce un discorso rigoroso sulla danza, che può essere assimilato a un vero e proprio metodo, dall’altro, contiene imperfezioni formali, errori, ripetizioni, totale mancanza di proprietà di linguaggio. De arte saltandi et choreas ducendi De la arte di ballare et danzare Le ipotesi più accreditate sono due: che si tratti di un lavoro scritto sotto dettatura da più allievi, data la innegabile presenza di diversi stili di scrittura, oppure che sia andato perduto il manoscritto originale, e che l’opera giunta fino a noi, conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi, sia una copia frettolosa di amanuensi non sempre acculturati. Nonostante i problemi formali e letterari, la portata innovatrice del trattato di Domenico è fuori discussione soprattutto perché presenta, per la prima volta nella storia della danza, un metodo. Per ogni danza trattata, sono riportate precise notazioni musicali, attribuibili al Maestro in persona o comunque a musicisti di professione. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare di fronte a un testo divulgativo, questo libro non si rivolge a ipotetici allievi che abbiano come unico obiettivo quello di imparare a ballare. La lettura del testo presuppone una conoscenza musicale di base, oltre che una particolare inclinazione per l’arte della danza. Ciò ha fatto ipotizzare che l’opera sia nata per formare nuovi insegnanti, visto che all’epoca, la domanda di maestri era molto superiore all’offerta. Non a caso, furono allievi di Domenico Antonio Cornazano e Guglielmo Ebreo da Pesaro, autori di altri due importanti trattati del XV secolo. 4.2.2. La classificazione dei passi Domenico conduce una precisa catalogazione dei passi fondamentali usati fino a quel momento nel mondo della danza, classificandoli in due tipologie di movimenti: nove movimenti e tre movimenti . naturali accidentali I movimenti naturali consistono nella effettuazione di passi molto simili a quelli che si eseguono abitualmente o spontaneamente: (passo semplice), (passo doppio), (ripresa), (giro completo), (piegamento ritmico del corpo), . sempio dopio reprexa voltatonda movimento salto I movimenti accidentali nascono da determinate esigenze coreiche e implicano passi e figure non naturali, ma studiati a tavolino: (ornamento, affettazione), (trascorsa) e (scambio). frapamento scorsa cambiamento Alla fine di ciascuna sequenza della coreografia i danzatori si salutano con una riverenza che si esegue flettendo il ginocchio e stendendo l’altra gamba all’indietro con un movimento piuttosto lento. Per quanto riguarda la classificazione delle danze, sono quattro quelle significative dal punto di vista tecnico ed estetico: bassa danza, quaternaria, saltarello, piva. La bassa danza, di origine francese, era una danza dall’andamento lento, contrapposta alla danza alta, che richiedeva movimenti meno compassati. Era così chiamata perché si eseguiva senza perdere il contatto dei piedi con il terreno. La quaternaria, chiamata in Italia saltarello tedesco, aveva un ordine di passi piuttosto semplice: a due passi semplici, ognuno dei quali prendeva due quarti di tempo, seguiva una battuta. Il saltarello, chiamato in Spagna Alta danza e in Francia Pas de Brabant, è una danza vivace, dai movimenti ampi, ma che, nonostante il nome, non comprende passi saltati veri e propri. Si tratta più che altro di passi doppi in tempo rapido che si eseguono ondeggiando, cioè con un sollevamento del corpo al secondo passo breve. La piva nacque probabilmente come danza al suono della cornamusa da cui prese il nome. Era perciò una danza campestre che la nobiltà ave- va adottato. Le dame la eseguivano con un passo doppio veloce, mentre i cavalieri si potevano cimentare in salti da ogni parte. La bassa danza, dai passi lenti ed eleganti, era considerata la più importante delle misure (“ ”), mentre la piva, per il suo ritmo veloce, era quella più vicina alle danze popolari. Saltarello e quaternaria sono misure che si collocano tra bassa danza e piva. bassa danza è la regina delle misure Mescolando i passi delle quattro tipologie fondamentali il Maestro creava di volta in volta nuove coreografie in una visione unitaria dei vari movimenti in relazione alla musica. È proprio questa impostazione a dare una svolta allo studio analitico delle tecniche del ballare e a fissare una piattaforma teorica per la costruzione della coreografia come disciplina. 4.2.3 Le regole del movimento del corpo Con il la danza diventa movimento del corpo nello spazio agito secondo sei precise regole: misura, memoria, maniera, misura del terreno, porgersi aiuto, fantasmata. De arte saltandi et choreas ducendi La misura è intesa come senso del ritmo e del tempo ma anche come “ ” Quello della sincronia tra musica e movimento è un concetto del quale già si trattava nel Medioevo. Nell’XI secolo il medico arabo Ububchasym da Bagdad, autore di un trattato dal titolo “ ” sosteneva che l’ordine ritmico si ottiene quando esiste proporzione tra il suono e i movimenti della persona. la gratia dela mainera de el deportamento de tutta la persona Tavole della salute La è la capacità di ricordare i passi e le musiche per adattarsi alle variazioni di tempo e di stile. Uno stesso ballo, per esempio, è spesso composto di più sezioni con ritmi diversi che i danzatori devono saper riconoscere per adattarsi prontamente ai cambiamenti di ritmo. memoria La è l’abilità di coordinare agilità e stile. maniera La è la capacità di prestare l’attenzione nel calibrare i passi rispetto allo spazio. misura del terreno Il è l’intesa tra i danzatori. porgersi aiuto L’ultimo elemento, il , uno dei più dibattuti dagli studiosi, è definito da Domenico un arresto improvviso fra due movimenti consecutivi, un moto proveniente dalla sfera emotiva che interrompe per un attimo lo svolgersi naturale e regolare del movimento; è un’opposizione che vede, da una parte, l’eleganza che deriva dal muoversi secondo natura e, dall’altra, l’energia di cui si carica il corpo del danzatore nel momento in cui il movimento riflette le sensazioni dell’animo realizzando così l’ideale umanistico della sintesi di corpo e spirito. fantasmata Una ulteriore chiave interpretativa del concetto di , inteso come elemento stilistico a carattere occasionale (« ») è offerta dal (1455-1465) di Antonio Cornazano, allievo di Domenico. Sembra quindi che si tratti di una caratteristica stilistica, tanto che – scrive Cornazano – se alla bassa danza viene sottratta questa peculiarità di stile, la danza perde ciò che per sua natura le appartiene: l’eleganza. Quindi la bassa danza non può essere concepita senza il danzare per fantasmata. fantasmata Talhor tacere un tempo e starlo morto Libro dell’arte del danzare Il trattato di Domenico da Piacenza si può anche considerare la premessa metodologica per la definizione di un’idea del balletto e delle sue prime regole. Il termine «balletto» compare per la prima volta nell’opera del suo allievo Antonio Cornazano, , il cui contenuto è praticamente la dell’insegnamento del Maestro, che ha portato la danza a un livello stilistico molto elevato. Libro sull’arte del danzare summa In pratica Domenico intende affermare il principio che la costruzione delle coreografie e l’insegnamento delle danze sono cose che non si possono improvvisare, ma che richiedono professionalità e competenza specifica e che solo gli specialisti devono dedicarsi a quest’arte. Tale affermazione è il segno della la scissione tra la danza artistica e il ballo popolare. 4.3 Guglielmo Ebreo L’universalità dei saperi di questo periodo fa sì che molti maestri e trattatisti fossero anche matematici, astronomi, alchimisti e letterati, i quali finirono per trasferire nelle loro creazioni coreutiche i principi delle scienze di cui si occupavano. È il caso di Guglielmo Ebreo, noto anche come Giovanni Ambrosio da Pesaro, nome che assunse quando si convertì al cristianesimo, cosa che avvenne probabilmente a Milano, da cui la scelta del cognome Ambrosio. Guglielmo nacque intorno al 1420 e fu attivo come maestro di danza e ballerino presso gli Sforza, ma ebbe contatti anche con Lorenzo de’ Medici per il quale lavorava il fratello, Giuseppe Ebreo, anch’egli insegnante di musica e danza. Nel 1465 si recò a Napoli, forse al seguito di Ippolita Sforza che aveva sposato Alfonso d’Aragona. In una lettera da Napoli del luglio 1466, indirizzata alla duchessa Bianca Maria Visconti, il Maestro si giustifica di non potersi recare a Milano perché impegnato a insegnare il «ballar lombardo» alle due giovanissime figlie del re Ferrante. Negli ultimi anni della sua vita Guglielmo soggiornò a Urbino presso i Montefeltro, dove trasmise i segreti del mestiere al figlio Pier Paolo, citato da Baldassare Castiglione ne come esempio negativo di ballerino professionista che danza Il cortegiano «con tanta attenzione che di certo pare vada enumerando i passi». 4.3.1 La danza arte gentile Guglielmo, perfetto uomo del Rinascimento che crede nella razionalità dell’ordine naturale e vede un parallelo tra l’armonia musicale e l’armonia della natura, stabilisce ulteriori regole nell’esecuzione dei balli: misura, soavità, leggerezza, corretto portamento, eleganza. La danza per lui, oltre che un’arte, è una scienza e va studiata come le altre scienze, con un intento speculativo e uno pratico, nel senso che tutte le teorie vanno sperimentate e verificate con l’esecuzione. Guglielmo sottolinea anche i requisiti morali necessari a chi si accinge ad apprendere l’arte di Tersicore: la danza, “ ” è riservata a chi ha una buona disposizione spirituale e preclusa « » che la renderebbero « ». E infatti il trattato De Pratica seu arte tripudii, dedicato a Galeazzo Maria Sforza, oltre a dare indicazioni sui passi di danza, detta anche il codice di comportamento per il perfetto gentiluomo e soprattutto la perfetta gentildonna, anticipando alcune delle regole esposte più tardi dal Castiglione nel . arte gentile agli scellerati e ai machanici plebei scienza adultera e servile Cortegiano Guglielmo si definisce «divotissimo disciepolo e fervente imitatore del dignissimo cavaliere messer Domenico da Ferrara nell’arte del virtuoso et onesto danzare dottissimo» e afferma di aver appreso da lui quanta «prestante dottrina potetti raccogliere». Nel trattato le figure sono divise in due gruppi, bassa danza e ballo. I nomi delle basse danze codificate sono i seguenti: . La coreografia delle ultime due è opera di Lorenzo il Magnifico, che poi avrebbe chiesto a Guglielmo di inserirle nel suo trattato. Reale, Alessandresca, Zinevera, Migniotta, Piatosa, Cupido, Pellegrina, Febus, Daphnes, Gioliva, Pazienza, Principessa, Partita crudele, Alis, Venus, Zauro I balli codificati, alcuni dei quali compaiono già nel manoscritto del suo maestro Domenico da Piacenza, sono: , , , , , , , , , , , , , , , , . Gioioso Duchesco Leggiadra Colonnese Pettirosso Giove Prisonera Marchesana Bel fiore Ingrata Anello Gelosia Bel riguardo Graziosa Spero Lioncello Mercanzia Dai nomi delle figure si evince immediatamente quali siano i temi dominanti nel ballo di coppia: l’amore e il corteggiamento, per quanto l’autore, ripetutamente, sottolinei il valore etico della danza, condannando ogni strumentalizzazione. Ma è chiaro a tutti come il ballo sia stato una forma di corteggiamento amoroso in tutte le epoche. Guglielmo esamina le varie ipotesi relative alle origini della musica e della danza, prendendo le mosse dalla mitologia greca. Quindi precisa che . «il ballo è amico degli innamorati e di coloro che ne fanno uso corretto nelle feste; mentre è nemico dei plebei che, con l’animo corrotto, trasformano questa arte liberale e virtuosa in scienza adultera» 4.3.2 La Misura e le regole Per la perfetta esecuzione di una danza è necessario conoscere e applicare alcune regole: : è la regola di base, che richiede concordanza di voce e tempo, da un lato, e di tempo e passi, dall’altro. Misura : perfezione formale. Maniera : costante attenzione al suono, per uniformare di volta in volta i passi al tempo. È un requisito indispensabile per partecipare alle feste, per non correre il rischio di interrompere una danza a causa di un momento di amnesia. Memoria : è la valutazione del luogo e della sala dove si balla; è la capacità del ballerino di allontanarsi dalla dama e di recuperarla nel rispetto del tempo, commisurando i passi allo spazio disponibile. Misura del terreno : movimento maestoso e leggero, esteticamente piacevole; destrezza nel danzare. Aere : i ballerini devono avere corpi perfetti, senza difetti, e devono muoversi con grazia. Movimento corporeo : è la capacità di distinguere i tempi e di ballare in maniera tecnicamente corretta suddividendo il tempo di ogni misura, a seconda dei casi, dalla bassa danza al salterello. Partire delle botte : più che di una regola, si tratta di una prova per imparare a ballare a tempo. Il ballerino deve provare a ballare con- tro tempo sulla prima o sulla seconda misura. Successivamente deve rientrare nel tempo. Ballare contro a tempo è un secondo tipo di prova. Il ballerino danza contro tempo; il suonatore lo rimette nel tempo, adattando la musica ai passi; il ballerino non si lascia mettere nel tempo, continuando a danzare contro tempo. Mettere nel tempo: : il ballerino deve andare a tempo; anche quando il suonatore cerca di metterlo fuori tempo, il ballerino deve rientrare immediatamente nel tempo. Cavare del tempo : conoscenza delle due chiavi musicali fondamentali che, secondo l’Autore, sono B_molle e B_quadro. Chiavi : per inventare un nuovo ballo, si deve innanzitutto stabilire se la musica debba essere in B_molle o in B_quadro. In secondo luogo, le figure devono essere piacevoli a vedersi, e devono colpire soprattutto le donne. Il giudizio del pubblico, infatti, si basa più sull’impatto estetico che sulle valutazioni tecniche. Comporre de’ balli Guglielmo consiglia, nel suo trattato, di esercitarsi a danzare in controtempo e propone delle forme e delle movenze nel ritmo delle danze di cui descrive la musica e la coreografia. Il manoscritto di Guglielmo è conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi: è rilegato in velluto grigioverde, con il blasone e le armi dei Visconti, ai quali apparteneva prima di passare alla casa reale di Francia. Miniatura del di Guglielmo Ebreo De pratica seu arte tripudii 4.4 Antonio Cornazano La terza figura di rilievo dei trattatisti del XV secolo è quella di Antonio Cornazano, poeta e umanista oltre che esperto di balli, nato a Piacenza intorno al 1430 e morto a Ferrara nel 1484. A Cornazano, che fu al servizio degli Sforza e degli Estensi, si deve la distinzione tra il modo di ballare signorile e le danze popolari. La differenza, secondo il Maestro, non sta tanto nel repertorio – in quanto molti passi dei balli popolari si trovano nelle danze di sala – ma nello stile dell’esecuzione. La bassa danza, infatti, risulta di più difficile esecuzione perché va eseguita conservando le caratteristiche di solennità, armonia e dignità. Riecheggiano in queste considerazioni le teorie del maestro Domenico da Piacenza, la cui opera rappresenta non solo il modello di riferimento letterario, ma anche il retroterra teorico e culturale di quell’arte del ballo che si avvia a diventare, proprio con Cornazano, una disciplina rigorosa. Il arrivato a noi è la seconda stesura, come dichiara lo stesso autore, dopo una prima versione, andata perduta, del 1455. L’opera definitiva è conservata nel codice Capponiano, Vaticano n. 203. Dopo la dedica, in terzine, per un totale di 82 endecasillabi, inizia la parte teorica che fissa immediatamente i requisiti fondamentali della danza: . Segue la presentazione delle principali misure: piva, saltarello, quaternaria, bassa danza. libro dell’arte del danzare «El perfecto dansare è misura, maniera, aere, diuersità di cose, e compartimento di terreno» La piva è composta da passi doppi accelerati. Il saltarello, che gli spagnoli chiamano alta danza, è il più allegro di tutti i balli ed è composto da passi doppi, di cui il secondo è saltato. La quaternaria è il che consiste in due . La bassa danza è considerata «regina dell’altre mesure». I movimenti del danzare sono descritti seguendo la formulazione teorica di Domenico da Piacenza: nove naturali e tre accidentali. Si teorizza infine sui , sul concetto di “ondeggiare” e sui vari livelli dell’arte del danzare. Dopo la parte teorica, si passa alla presentazione dei singoli «saltarello todescho» «passi sempi et una ripresetta battuta detro el sicondo passo in trauerso» ballitti «balli e bassedanse... fabricati per sale signorile, e da esser sol dansati per degnissime Madonne, et non plebeie».