PARTE PRIMA - BREVE STORIA DELLA DANZA DALL'ANTICHITÀ ALL'INIZIO DEL XIX SECOLO CAPITOLO 6 LA DANZA NELLE CORTI D’EUROPA 6.1 Gli intermezzi Nei banchetti delle corti rinascimentali era consuetudine intervallare l’arrivo delle numerose portate con brevi allegorie danzate, cantate o recitate, dette in Spagna e entremets in Francia. Nei ricevimenti più sfarzosi ciascuna portata era preceduta da un’azione scenica, quasi sempre a tema mitologico, con allusione alle pietanze che stavano per essere servite. Per esempio, il pesce poteva essere introdotto da danzatori che rappresentavano dei Tritoni. Ma spesso gli invitati erano intrattenuti da vere e proprie rappresentazioni teatrali accompagnate da canti e danze di carattere mitologico e bucolico. Secondo alcuni da queste rappresentazioni sarebbe nato il dramma pastorale: l’ di Poliziano, per esempio, sarebbe stato messo in scena per la prima volta durante il banchetto offerto a Mantova dal cardinale Gonzaga ai suoi fratelli il martedì grasso del 1480. Oltre che in occasione di banchetti, si iniziarono a mettere in scena musica e danze tra gli atti di una commedia o di una tragedia, nelle pause di un torneo e durante l’ingresso trionfale di un sovrano in una città. Questi diversivi furono chiamati o oppure e consistevano nell’ingresso di un gruppo di danzatori, cantanti o musici, che si presentavano nei modi più disparati e spettacolari per eseguire il loro numero: potevano presentarsi con una semplice entrata a piedi o stupire con l’ingresso sopra un carro allegorico riccamente decorato. entremés Orfeo intermedi intromesse intermezzi 6.2 Musica e danza alla corte dei Tudor Una delle corti europee nella quale la danza godeva di grande considerazione durante il XVI secolo fu quella inglese all’epoca dei Tudor, in particolare sotto il regno di Enrico VIII e di quello della grande Elisabetta I, di cui era nota la passione per la musica e la danza. A proposito della regina Elisabetta un diplomatico francese scrisse nel 1598 che “senz’ombra di dubbio la regina domina quest’arte, avendo imparato la maniera italiana di danzare”. Nel periodo elisabettiano la musica e la danza facevano parte della vita quotidiana non solo dei nobili e dei cortigiani, ma anche di contadini, artigiani e gente del popolo che la praticavano con entusiasmo, pur senza le dovute conoscenze teoriche. Accanto ai musicisti di corte e ad altri gruppi ufficiali, vi erano anche esecutori più modesti che venivano chiamati ad intrattenere gli invitati ai matrimoni, oppure suonavano musica strumentale e cantavano ballate o catches nelle taverne. La danza aveva un ruolo importante a corte, dove veniva elaborata e resa più complessa, fino a trionfare nella pantomima simbolica del . La varietà delle danze riscontrabili nel periodo elisabettiano manifesta l’enorme popolarità di un’arte apprezzata e praticata da tutte le classi. Se la pavana era caratterizzata da un movimento solenne che annunciava l’entrata trionfale di dei e imperatori nella finzione del masque, il rapido ritmo della gagliarda dava ai gentiluomini più giovani la possibilità di esibire agilità e grazia. masque 6.2.1 La danza nelle opere di Shakespeare L’età elisabettiana, conosciuta come “The Golden Age”, è nota per l’importanza conferita alla musica, tanto che per accontentare le richieste del pubblico, i drammaturghi inserivano nelle loro opere, anche a sproposito, ballate, gighe e cori. Un grande autore di teatro come Shakespeare trasformò l’intervento musicale in un potente strumento retorico e condizionante, che piegava il volere degli interpreti, imponendo la propria armonia: nelle opere shakespeariane la musica serve a caratterizzare i personaggi, a descrivere momenti di baldoria e contribuisce a creare l’ atmosfera malinconica che distingue le diverse scene, evitando così pesanti spiegazioni verbali; accompagna l’entrata o l’uscita dei personaggi e mette in forte risalto gli aspetti essenziali del dramma. In alcuni casi il drammaturgo inglese ricorreva a richiami musicali talmente noti da risvegliare tra gli spettatori una serie di associazioni che possono invece sfuggire al lettore moderno, mentre allusioni e metafore associate a strumenti o addirittura a concetti filosofici legati alla musica e alla danza erano facilmente comprensibili in un periodo in cui questa arte veniva praticata da esponenti di tutte le classi. La musica in Shakespeare non è mai intrattenimento o diversivo ma un effetto calcolato a fini poetici e drammatici. Nei testi delle sue opere teatrali sono indicate almeno un centinaio di canzoni. Shakespeare fa parlare di musica anche alcuni personaggi. Celebre è il verso di Lorenzo nel “L’uomo che non ha alcuna musica dentro di sé... è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine”. Verso rivelatore dell’opinione del tempo della relazione tra sensibilità musicale e condotta morale, Amleto insegna a Guilderstein ad utilizzare il flauto con un linguaggio preciso e Ortensio tiene a Bianca, ne , una vera e propria lezione di musica, sia pure a scopo seduttivo. L’uso più ovvio della musica in Shakespeare è quello di “musica di scena”: nei banchetti, nelle processioni, nelle serenate, come richiamo nei duelli e nelle battaglie, la musica doveva immancabilmente essere presente, come avveniva nella vita reale, ma c’è anche un uso della musica finalizzato a creare suggestioni in momenti particolari dell’azione come l’innamoramento. C’è infine un uso “artistico” della musica, fatto per sottolineare e amplificare il carattere dei personaggi o l’atmosfera delle scene. Tra i tanti esempi, le canzoni che Desdemona e Ofelia cantano in momenti cruciali dei rispettivi drammi, in cui la musica assume una funzione di potenziamento drammatico. Nel la musica che è prescritta durante il ritorno alla vita della statua di Ermione, e che segna anche la riconciliazione tra il re e la regina, crea un’atmosfera emotiva che la sola parola, per Shakespeare, non bastava evidentemente ad esprimere. Così come il vero e proprio masque del IV atto de è totalmente inerente al dramma. Le “risorse musicali” di Shakespeare erano prima di tutto le voci degli attori, alcuni dei quali cantavano; tra queste assai importanti le voci bianche dei ragazzi rimasti anonimi che interpretavano le parti femminili (Giulietta, Cleopatra, Ofelia, Desdemona, Caterina la bisbetica, Lady Macbeth). Vi era poi una orchestra di piccole dimensioni con trombe, oboi, corni, campane, liuti e archi che interveniva a seconda della situazione. In questo caso il gruppo strumentale utilizzato doveva essere posto ad una certa distanza dagli attori. Mercante di Venezia: La bisbetica domata Racconto d’inverno La Tempesta In Beatrice parlando a Ero dell’amore usa come metafora il ballo: Molto rumore per nulla Se poi nessuno ti corteggerà a tempo giusto, è colpa della musica. E se il principe stringe troppo il tempo digli che c’è misura in ogni cosa, e la risposta gliela dài danzando. Perché ascoltami, Ero: far l’amore, sposarsi e poi pentirsi si succedono come si ballasse prima una giga, poi una pavana, poi un trescone; il primo movimento è una giga vivace e fantasiosa; il secondo, le nozze, una pavana, andante moderato, pieno di sussiegosa compunzione; poi viene (terzo tempo) il pentimento, e allora ci si butta a saltellare con le gambe malcerte il gran trescone a un ritmo vivace indiavolato, finché non si stramazza nella tomba. Alla corte dei Tudor si sviluppò una forma di rappresentazione caratteristica del teatro inglese: il , un insieme di musica, danza e poesia, che si configurava essenzialmente come una cornice drammatica per una serata di danze in società. Questo genere di intrattenimento, che affondava le radici nella tradizione medievale delle farse morali e dei balli in maschera, si arricchì alla corte dei Tudor di alcuni elementi provenienti dai balli di corte francesi e dalle rievocazioni storiche di gusto italiano, oltre che della finalità di glorificare la monarchia. 6.2.2 I masque masque Messe in scena da danzatori professionisti e da cortigiani guidati da maestri di danza, le rappresentazioni del masque si svolgevano nei giorni festivi (in particolare nella notte dell’Epifania). Enrico VIII amava esibirsi in questo genere di intrattenimento, tanto che fu proprio durante un masque che incontrò per la prima volta Anna Bolena, della quale si innamorò. Nella rappresentazione teatrale, la futura regina, al suo debutto alla corte inglese, interpretava la Perseveranza, vestita di raso bianco e oro, destando ammirazione per la sua abilità nella danza. Nei masque, infatti, a differenza di altre forme teatrali, le parti dei protagonisti venivano interpretate da aristocratici, tra cui i membri della famiglia reale. Ogni masque durava anche fino a cinque ore e iniziava con un prologo cantato o parlato che introduceva il tema principale: solitamente un racconto morale di stampo mitologico o allegorico. Seguiva una anti-masque, una esibizione comico-grottesca in cui attori professionisti rappresentavano una scena immorale in contrasto con il tema principale. A questo punto la scena si trasformava completamente e apparivano i danzatori di corte. Dopo una serie di danze, recite e interludi musicali, spesso alla presenza dei sovrani, iniziava il gran finale con la Dance of the Revels, in cui i cortigiani mascherati invitavano il pubblico a danzare. Era questo il momento finale che precedeva il banchetto in cui si brindava tutti insieme. Ben Jonson (1572–1637), poeta di corte considerato con Shakespeare il massimo rappresentante del teatro elisabettiano, fu l’autore che conferì al masque un valore artistico e ne canonizzò la forma. Jonson scrisse oltre 25 opere, tra cui che fu rappresentato a corte la notte dell’Epifania del 1605. The Masque of Blackness Grazie agli studi compiuti in Italia sull’allestimento meccanico di ambientazioni scenografiche elaborate, Jonson seppe dare alle sue realizzazioni una straordinaria originalità inventiva. Durante il regno di Elisabetta e poi di Giacomo I Stuart i masque avevano anche lo scopo di suscitare la meraviglia dei visitatori stranieri per la ricchezza e la vivacità della corte inglese, e venivano allestiti con grande sfarzo, con sontuosi costumi ed effetti scenici spettacolari. 6.3 I balletti di corte I balletti di corte erano spettacoli che fondevano musica, recitazione, canto, danza e pantomima e nei quali era particolarmente curato l’aspetto scenografico che comprendeva spesso fuochi d’artificio, giochi d’acqua, sfilate di carri allegorici, simulazioni di battaglie. L’organizzazione di tali eventi richiedeva il contributo di un gran numero di persone, compresi ingegneri in grado di costruire sfarzosi scenari, apparati effimeri e macchine teatrali. Anche nell’organizzazione di queste sontuose feste erano le corti italiane il modello da imitare. Leonardo da Vinci, nel periodo in cui fu attivo a Milano, presso la corte di Ludovico il Moro, si occupò delle scenografie dei balletti di corte, a partire dalla Festa del Paradiso del 1490, in occasione delle nozze tra Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona. Per rappresentare la volta celeste Leonardo progettò una macchina teatrale che simulava la rotazione attorno a Giove dei pianeti-attori. La portentosa messa in scena prevedeva fanciulli travestiti da angeli e da pianeti mitologici, mentre la fiamma di numerose candele, che rappresentavano le stelle, veniva riflessa da una superficie dorata creando un bagliore accecante. 6.3.1 Il Ballet Comique de la Reine. La moda italiana delle feste da ballo non tardò a propagarsi oltralpe: nel 1499, Luigi XII portò in Francia il manuale di Guglielmo Ebreo. Nel 1515, dopo una visita in Italia, Francesco I si appassionò alla danza e invitò alla sua corte musicisti e maestri di danza italiani. Ma fu la nuora, Caterina de’ Medici, quando andò in sposa al futuro re Enrico II, a condurre in Francia coreografi e danzatori per realizzare spettacoli simili a quelli che si tenevano presso le corti della penisola. Tra gli italiani chiamati a corte c’era Baldassarre Baltazarini da Belgioioso, musicista ed esperto di danza, autore e coreografo di quello che gli storici della danza considerano il primo vero balletto, il . Il sontuoso spettacolo, della durata di oltre cinque ore, fu rappresentato la prima volta il 15 ottobre 1581 per festeggiare il matrimonio del Duca di Joyeuse con Margherita di Lorena. Il balletto, ispirato al mito della maga Circe, includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e aveva come interpreti i nobili della corte. Ballet Comique de la Reine In quel periodo infatti, quando erano organizzati all’interno dei palazzi signorili, i balletti erano interpretati da dilettanti e non si svolgevano su un palcoscenico, ma all’interno di ampi saloni. Poiché gli esecutori, non essendo professionisti, non potevano far sfoggio di abilità tecnica, Baltazarini cercò di ottenere l’effetto spettacolare con la magnificenza dei costumi e delle scenografie e, per far sì che il pubblico seguisse la storia, fece distribuire copie dei versi usati nel balletto. La messa in scena fu un successo enorme, presto imitato in altre corti d’Europa.