2.1 Tra sacro e profano
All’epoca del primo cristianesimo la Chiesa ebbe un atteggiamento ambivalente verso la danza, come del resto anche per la musica. Rifacendosi alla tradizione ebraica, che vedeva nella danza e nella musica un’espressione di esultanza religiosa, la considerava un mezzo di elevazione spirituale, quasi una forma di preghiera. Esisteva, tuttavia, la danza misterica e bacchica e quella degli istrioni e dei giullari, dalle quali la Chiesa doveva prendere le distanze.
Nell’Alto Medioevo alcune forme di danza furono rappresentate nella pittura, nella scultura, sulle vetrate delle chiese, come una pratica di partecipazione alla vita dello spirito e alla celebrazione della morte. Ma presto l’elemento pagano che aveva caratterizzato le manifestazioni coreutiche più antiche riemerse. I riti di origine pagana che prevedevano esecuzioni coreutiche continuarono a sopravvivere soprattutto nel mondo celtico. In Francia si chiamava Dimanche de brandons la prima domenica di quaresima, giorno in cui i contadini, tenendo in mano una fiaccola (brandon) percorrevano i campi ballando a scopo propiziatorio. In occasione della festa di San Giovanni danzatori nudi si esibivano per le strade fino a cadere esausti. Contro gli eccessi delle danze processionali si pronunciò il Concilio di Nicea del 680, che le proibì. Il divieto, tuttavia, non ottenne l’effetto desiderato, né lo ottennero altre ordinanze emanate nei secoli successivi.
A partire dal IV secolo d. C. le autorità ecclesiastiche, nel tentativo di arginare la pluralità di culti che si erano sviluppati nell’ambito delle varie comunità cristiane, cominciò a considerare la presenza della danza nei luoghi sacri un segno del demonio, in quanto espressione del corpo che doveva essere mortificato per esaltare l’anima. Anche la musica fu gradatamente espulsa dalla liturgia ufficiale la quale, oltre alla voce umana e alla campanella, consentiva solo il suono dell’organo.
Pur essendo stata vietata nei luoghi sacri, la danza, tuttavia, continuò a sopravvivere all’esterno, entrando a far parte del “dramma sacro”, un genere teatrale che rappresentava episodi della vita di Cristo e che si recitava sul sagrato delle chiese.