PAROLE A COLORI Intervista a Cetty Previtera Puoi illustrare la tua tecnica di stesura del colore? Come si relaziona con la tua percezione col paesaggio? Il paesaggio è generoso, si offre da prospettive infinite. Io cerco la mia, frontale, con tagli intrecciati e strutture aperte. Quando mi approccio a una nuova immagine, le prime cose che appunto sulla tela sono le linee strutturali. I pieni, i vuoti, i segni che dividono e i segni che aprono; quelli che contengono e quelli che restano autonomi. Segno la tela in un tempo veloce, con pennellate scure e lunghe. Generalmente anche avendo davanti un quadro potenzialmente finito, attendo che asciughi qualche giorno, e ci torno sopra più volte; di giorno in giorno, con pennellate sempre più brevi, colori più leggeri e contrastanti. Infine credo che sulla tela resti uno spunto aleatorio. Dopo un lavorio selvatico di cancellazioni cromatiche e aggiustamenti di peso senza un tempo definito, resta altro, qualcosa che ancora potrebbe mutare. Il paesaggio è colto stravolto e contiene sempre qualche spunto per dubbi di sospensione. Dipingere il paesaggio in studio è un processo di astrazione e di reimmaginazione tua e poi del pubblico. Come si connette questa tua urgenza alla scelta dei colori? Il processo di astrazione ha bisogno dei suoi riferimenti reali e io li appunto con lo sguardo, fissandoli nella memoria e in fotografia. Ciò che immagino inizia lì ma non vi si conclude. In studio lo spazio è diverso; la luce è raccolta e definisce il processo; non muta come all’aria aperta. La scelta dei colori preferisco che non abbia mai una fase progettuale. Accade in studio stesura dopo stesura, a contrasto o tono su tono. Gli accostamenti avvengono per esaltazione. Ciò che il pubblico reimmagina è ogni volta sorprendente, quasi sempre in contrasto con le origini dei dipinti, come fuori da un’ombra. Questo è bello, perché mi restituisce fortemente l’idea di aver superato qualcosa, di aver compiuto un percorso e raggiunto una meta.