CAPITOLO IV

Educare i genitori prima che i bambini: l’importanza dell’educazione prenatale e non solo…

“Allora, ditemi voi, chi va educato prima di tutto? Io sostengo che non siano tanto i bambini quanto i genitori. …Prima di impegnarsi nell’educazione degli altri, ognuno deve essere il pedagogo delle sue cellule”

M.O. Aïvanhov

Lo diceva anche Leboyer: “In tema di educazione, il primo dei doveri è un dovere verso se stessi”49 . Questa profonda verità io l’ho imparata soprattutto come mamma che, a un certo punto del suo cammino, per uscire dal tunnel della sofferenza, ha dovuto andare a riguardare il suo passato per elaborarlo e lasciarlo finalmente andare. Ogni volta che scavavo nei recessi della mia anima e riuscivo a mettere a posto un tassello della mia travagliata storia perinatale, vedevo di riflesso un miglioramento nella relazione con i miei figli: oggi il mio rapporto con loro è profondamente cambiato ed è sicuramente il migliore e più soddisfacente frutto di tutto il mio lavoro interiore, nonché la gioia più grande della mia vita.


Ecco perché nel corso degli anni ho spostato sempre di più la mia attenzione verso i genitori: sono convinta che solo rendendoli consapevoli del grande compito che hanno scelto, di custodi dei loro figli, si possa aiutare i bambini a crescere felici.


Dopo tanto studio e grazie ad esperienze personali di lavoro interiore, mi sono resa conto di quanto profonde, sottili e invisibili siano le dinamiche che sottostanno a tutte le relazioni, di qualunque tipo esse siano. E soprattutto di quanto condizionino la nostra vita, e quella dei nostri figli, finché rimangono sotterranee e inconsapevoli. Se noi non ci sforziamo di riconoscerle, rischiamo che i nostri bambini vivano vite non loro ma che appartengono a qualcun altro, esattamente come in molti casi abbiamo fatto noi…


Lo spiega molto bene Jung, per cui vi riporto le sue parole:

“I figli tendono sempre a vivere la vita inconscia che non è stata vissuta dai loro genitori, le cose che i loro genitori hanno ignorato, non hanno osato o hanno negato, a volte ingannando se stessi. I genitori non hanno niente di cui meravigliarsi se non della sprovvedutezza e ignoranza che essi stessi hanno della propria psicologia, che a sua volta è il frutto del seme gettato dai loro stessi genitori: sprovvedutezza e ignoranza che perpetuano all’infinito il corso dell’inconsapevolezza di sé. La mia soluzione a questo problema è: educare gli educatori, fare scuole per adulti”.

Ecco la conclusione a cui è giunto Jung, con la quale concordo pienamente.


I traumi familiari si trasmettono di generazione in generazione fino a quando arriva qualcuno disposto a spezzare le catene e a diventare il guaritore del suo albero genealogico.


In tutto ciò i bambini hanno la funzione di specchio per i genitori, per cui molto spesso riflettono le loro sofferenze e le loro problematiche per aiutarli a prenderne coscienza. Sono portatori delle memorie familiari: le hanno assorbite durante la vita prenatale, come abbiamo visto, quando erano immersi nel liquido amniotico, in un bagno di memoria, in un brodo di informazioni transgenerazionali, e durante tutta la loro infanzia.


Come emerge dalle costellazioni familiari, a volte i figli portano su di sé carichi invisibili ma molto pesanti, che condizionano quello che siamo soliti chiamare “destino”.


Il mal d’amore – dice Leboyer – è come le malattie infettive: “i genitori fanno pagare ai figli per tutto l’amore che essi stessi non hanno ricevuto. E che quindi non sanno dare”50 . Naturalmente non lo fanno con intenzione, ma questo è ciò che inconsciamente arriva.


Ecco perché quando ci troviamo in relazione con un altro da noi, soprattutto un bambino, dovremmo sempre chiederci “A che gioco stiamo giocando?”, e andare a scoprire cosa si nasconde dietro le quinte del palcoscenico.


I bambini hanno bisogno innanzitutto di avere al loro fianco adulti realizzati e appagati, altrimenti si sentiranno obbligati a dare a mamma e papà ciò che a loro manca, pena però il sacrificio di una parte di sé.


Ecco alcune dinamiche (chiamate di irretimento) che si riscontrano frequentemente nei sistemi familiari:

  • “Ti seguo nel tuo destino”: per non lasciarti solo nel dolore ripercorro i tuoi passi e mi attiro le stesse esperienze di sofferenza.
  • “Prendo il tuo posto”: ovverossia “faccio io per te quello che tu non sei riuscito a fare” (per esempio il medico, l’avvocato o l’artista).
  • Voglio espiare la colpa” (e quindi mi saboto e mi ammalo).

Se, per esempio, un bambino ha un genitore che non ha elaborato un lutto, può pensare inconsciamente: “Chiunque tu abbia visto morire e ti manchi io ne prenderò il posto: sarò il tuo sposo/a, il figlio che non è vissuto, il fratello che ti lasciò troppo presto, il tuo primo amore…”


Oppure se la mamma o il papà sono depressi, ecco che il pensiero diventa:

“Se ti vedo sempre triste e ti sento tanto sola/o, rinuncio alla mia vita per farti compagnia, accudirti, farti ridere…”

“Se gli altri ti hanno deluso io diventerò tutto quello che vuoi tu”.

Nel caso invece di una perdita finanziaria o un fallimento: “Qualunque cosa tu abbia perso io te la riporterò o non l’avrò neanch’io”.


È come se il bambino ci chiedesse “Posso essere felice anche se tu non lo sei?” Molte volte la risposta è no, non ci si dà il permesso…


Ecco perché è importantissimo che noi adulti lavoriamo per spezzare queste invisibili catene che imprigionano anche i nostri figli, proprio come, prima di noi, hanno incatenato i nostri genitori. Fino a quando arriverà un momento in cui potremo gridare con gioia, come nel gioco del nascondino, “Tana, libera tutti!”. Più noi adulti coltiviamo la nostra felicità e la nostra autorealizzazione, lavorando sui nostri problemi irrisolti e questioni in sospeso, più aiutiamo i nostri bambini a essere a loro volta felici. Quindi la risposta (scusate l’anticipazione) alla domanda del prossimo capitolo “Come aiutare i bambini a crescere felici?” è “diventando noi stessi felici”.


Oggi la nuova biologia ci dice che non sono i geni, il DNA, a determinare la nostra salute e la nostra vita ma le informazioni ricevute dall’ambiente (che sono in grado perfino di rimodellare i geni). Ecco perché il compito dei genitori è così importante! Come abbiamo visto, secondo B. Lipton essi sono dei veri e propri “ingegneri genetici”, che possono influenzare enormemente, fin dai mesi precedenti il concepimento, lo sviluppo e quindi la felicità dei loro bambini.


Nei primi sette anni di vita si scrivono i copioni della nostra storia: tutti i messaggi che il bambino riceve dai genitori (“Non capisci niente! Sei proprio un buono a nulla…” “Da solo non ce la puoi fare”, “La felicità si paga”, “La vita è dura, i soldi non crescono sugli alberi” ecc.) si imprimono nella sua mente subconscia, proprio come su un nastro magnetico, e queste tracce invisibili, che per il 70% contengono programmi autosabotanti, saranno poi quelle che condizioneranno il 95% delle sue giornate di adulto.


Ecco perché è fondamentale educare i genitori prima ancora che diventino tali.