CAPITOLO VII

La malattia come messaggio inascoltato

“La malattia è il luogo in cui si impara.”

Pascal

Quello che ho imparato di più importante sul significato della sofferenza e della malattia non l’ho appreso nelle aule universitarie ma dalla mia ricerca, dalle mie letture e soprattutto dalla rivisitazione della mia storia personale e dei miei traumi perinatali.


E così, dopo aver riflettuto a lungo, sono giunta alla comprensione che ciò che più ci spaventa e che cerchiamo di allontanare in tutti i modi dalle nostre vite è proprio ciò che più ci fa crescere e maturare. Sono le difficoltà che incontriamo lungo il nostro percorso a farci tirare fuori le nostre risorse, quelle che non pensavamo nemmeno di possedere… Sono gli ostacoli che incontriamo nel nostro cammino a renderci forti e resilienti, umili, empatici e sensibili alle sofferenze altrui, se solo riusciamo a cogliere in tutti gli eventi che ci capitano, anche quelli più spiacevoli, delle opportunità, delle occasioni per compiere veri e propri balzi evolutivi.


Perché, sì, è tutta una questione di percezione: non è la situazione che ci troviamo a vivere in se stessa ad essere il problema, è come noi la vediamo, come noi reagiamo ad essa. E il modo in cui lo facciamo è schiettamente personale: dipende dagli occhiali che indossiamo, ovvero dalle memorie che ci abitano. Per alcuni, per esempio, la solitudine è sinonimo di libertà, per altri di abbandono e isolamento; certe persone godono nel viaggiare in aeroplano, altre hanno il terrore di mettervi piede. Ci sono bambini autonomi e indipendenti fin da piccolissimi e altri che fanno fatica a staccarsi dalla mamma anche quando sono già grandicelli.


Noi tutti siamo malati di ricordi. E di ricordi che affondano le loro radici in tempi antichi, immemorabili: si tratta di memorie che appartengono non solo al periodo perinatale ma anche alla storia familiare transgenerazionale, come ci mostra la psicogenealogia. Dentro di noi vivono ancora i traumi non risolti dei nostri genitori, dei nostri nonni o bisnonni.


Portiamo in noi, iscritta nelle nostre cellule, la storia dei nostri antenati e siamo chiamati, chi più chi meno, a cercare di guarire il nostro albero genealogico. E possiamo farlo a partire dal corpo che, secondo la visione taoista, è per eccellenza il luogo dove avviene la nostra trasformazione terrena.


Come diceva Krishnamurti, il nostro corpo è un vero e proprio “pacchetto di memorie”: in questo involucro, tempio e custode della nostra anima, troviamo le tracce dei traumi e delle ferite che tormentano da secoli la nostra storia.


“Il corpo ricorda, le ossa e le giunture ricordano, persino il mignolo ricorda. La memoria alberga con immagini e sensazioni nelle cellule medesime. Come una spugna inzuppata d’acqua, ovunque la carne sia spremuta o appena sfiorata, un ricordo può sgorgare e scorrere”65 scrive con parole poetiche la psicanalista junghiana Clarissa Pinkola Estès. Ed è proprio così, lo posso testimoniare.


Il corpo “immagazzina tutto” e “non dimentica nessun dettaglio della sua esperienza, “anche se lo spirito cosciente è incapace di ricordare gli avvenimenti”66 che l’hanno generata, come ha dimostrato Janov, attraverso i suoi lavori di terapia primale.


Il corpo parla e non mente mai. Il suo è il linguaggio dei sintomi, che sono simboli di sofferenze molto più nascoste e ben celate: così per esempio una tendenza ai lividi e alle contusioni può essere il ricordo di manovre dolorose al momento della nascita (per esempio un neonato tenuto stretto per i piedi e sculacciato come si faceva una volta) o di violenze fisiche più lontane nel tempo, ma possono parlarci anche di sensi di colpa.


Un laringospasmo può essere dovuto a una memoria di paura, in cui lo spavento ci ha tolto il respiro; oppure un’emorragia ci può indicare una perdita di gioia in qualche ambito della nostra vita (a seconda di dove si verifica la fuoriuscita di sangue); un’asma ci vuole suggerire che ci sentiamo soffocati e costretti nella nostra esistenza e che abbiamo bisogno di più spazio per respirare.

Una congiuntivite è un modo alternativo di versare lacrime mai uscite…


Un processo purulento, a qualsiasi livello sia, è indice di rabbia trattenuta (in generale lo sono tutte le infiammazioni – cioè tutte le malattie che finiscono per ite, come la bronchite, la tonsillite, l’appendicite).


Un’otite parla di qualcosa che ci ha dato fastidio sentire o di un non detto.

Una tosse è sintomo di malcontento, di noia o frustrazione: ecco perché è così comune a settembre nei bambini che ricominciano la scuola!


Un’emicrania nell’adulto può essere, in certi casi, una reazione legata al ricordo di un’anossia67 al momento della nascita.


A volte le malattie avvengono in date particolari, anniversari di eventi personali o familiari, proprio a ricordare che quella situazione non è stata risolta: una polmonite il giorno del proprio compleanno, per esempio, può venire a rammentarci il pericolo di vita in cui siamo incorsi al momento della nostra venuta al mondo.


I disturbi mestruali come la dismenorrea (cioè le mestruazioni dolorose) hanno sempre a che vedere con i vissuti delle donne della nostra famiglia relativi alla sfera della sessualità e della procreazione. Le fratture invece indicano in genere un conflitto d’autorità (nel tema natale indicato da un aspetto difficile tra Marte e Saturno, cioè tra desiderio e dovere).


Anche ogni parte del nostro corpo ha un significato simbolico: i nostri organi vitali, per esempio, sono associati, come ci ricorda la medicina tradizionale cinese, alle quattro emozioni fondamentali. Così i polmoni sono collegati alla tristezza, il cuore alla gioia, il fegato alla collera, i reni alla paura.


Ma perfino ognuno dei nostri denti ha il suo significato metaforico: così ad esempio gli incisivi centrali sono legati all’immagine di sé, il canino superiore è il dente del guerriero, della forza di volontà, e il secondo molare inferiore è il dente dell’unione.


Insomma, il nostro corpo è un vero e proprio libro, scritto in una lingua antica, tutta da decifrare!


Ciò che dovremmo sempre ricordare è che ogni malattia o malessere è portatore di un messaggio che siamo invitati ad ascoltare. È come un ospite che bussa alla nostra porta per inoltrarci una missiva: se noi ci ostiniamo a non aprirgli, sarà costretto a bussare sempre più forte fino poi a sfondare la porta… È come una sveglia che, inascoltata, ci fa perdere il treno.


Ecco perché, di fronte a qualunque tipo di sofferenza – che sia fisica o mentale ed emotiva – siamo chiamati a interrogarci: che cosa mi sta dicendo questa malattia?68 . Anziché dunque ricorrere con prontezza al farmaco per sopprimere il sintomo e bloccare il dolore, sarebbe meglio prendersi il tempo di esplorare il significato di ciò che sta avvenendo. Perché, ve l’assicuro, c’è sempre un senso, anche se a volte sfugge di primo acchito; anche se a volte, per arrivarvi, occorre un’indagine lunga e laboriosa. Ma sempre, in ogni caso, vale la pena mettersi a cercarlo.


Per quanto riguarda i bambini, come ci ricorda A. Schutzenberger, la loro sofferenza è sempre in risonanza con quella dei genitori ed è come se il loro corpo traducesse la storia di questi, ne diventasse il porta-parola: “il corpo del bambino, qualunque sia la sua età, diventa il linguaggio dell’antenato ferito”69 .


Il corpo somatizza i non detti, e così i problemi non risolti, i traumi e i segreti familiari fanno soffrire la progenie e hanno vita lunga e tanto più lunga quanto non sono stati elaborati: “se non hanno potuto essere “parlati”, digeriti, metabolizzati a tempo debito, permangono, come compiti irrisolti, interrotti”70 , che prima o poi qualcuno dovrà prendere in mano.


Non per nulla, secondo il Talmud, la vera terapia consiste nello scioglimento dei nodi, intesi come menzogne e proibizioni (i famosi condizionamenti e le credenze che ci vengono trasmesse), che vanno smascherate nel primo caso e autorizzate nel secondo. Perché la malattia nasce, secondo i cabalisti, proprio dalle parole incatenate, che non hanno più spazio per esprimersi: solo liberandole ecco che la guarigione può finalmente avere luogo.