C’era qualcosa in lui, qualcosa di selvaggio, di sregolato, di barbarico, che bisognava prima spezzare; una fiamma pericolosa, che bisognava prima calpestare e spegnere. L’uomo, come la natura lo crea, è qualcosa di imprevedibile, di impenetrabile, di pericoloso. È un fiume che erompe da monti sconosciuti; è una selva primordiale che non ha né vie né ordine. E come una foresta deve essere sfoltita e ripulita e chiusa di forza entro confini precisi, così la scuola deve spezzare, vincere, chiudere di forza entro limiti precisi l’uomo naturale; il suo compito è di trasformarlo in un utile membro del consorzio umano secondo principi approvati dall’autorità; di destare in lui le qualità il cui compiuto sviluppo verrà poi coronato dall’accurata disciplina della caserma.
Hermann Hesse, Sotto la ruota
CAPITOLO 2
I DANNI DELLA PEDAGOGIA NERA
I nostri figli sono stati esposti per due anni a un lavaggio del cervello senza precedenti, a violente limitazioni della loro libertà e a un pensiero totalitario e antiumano che li ha profondamente segnati. Come dicevamo, la scuola, lungi dall’essere per loro un luogo protettivo, un’oasi di pace e di tolleranza, nel quale poter sanare le ferite inferte dalla lunga interruzione delle lezioni e dal clima di psicosi collettiva, è stata bersagliata da norme criminali e avvilenti, applicate quasi ovunque con spietato zelo da passivi esecutori senz’anima e senza cuore. Come potevano difendersi, se tutti – genitori, insegnanti, forze dell’ordine, autorità politiche e sanitarie che li martellavano quotidianamente grazie ai media asserviti – facevano pressione perché rinunciassero al diritto di respirare, alla libertà di uscire, di viaggiare, di fare sport, di frequentare gli amici, i nonni, insomma di vivere? Possiamo scrivere bellissime pagine sulla capacità di resilienza di bambini e ragazzi, ma una pressione psicologica così estrema non può non lasciare il segno. E deve lasciare il segno, perché ciò che abbiamo visto non deve più succedere.