L’età della muta
I giorni scivolano via velocemente, come perle di una collana a cui si è spezzato il filo, e la percezione dello scorrere del tempo risulta amplificata se si condivide la quotidianità con i figli. È ancora vivo il ricordo delle notti insonni trascorse fra una poppata e una ninna nanna, delle ore passate a tenere in equilibrio una bicicletta senza rotelle, delle parole spese per consolare dalle prime delusioni, dei pomeriggi dedicati allo studio della tabellina del sette o del modo congiuntivo e ci si ritrova smarriti davanti a un corpo in trasformazione che sorprende, non solo i nostri figli, ma anche noi. Appare incredibile come quel ragazzo, che ormai ci sovrasta di un palmo, sia stato per nove mesi accoccolato nel nostro grembo, come sembra impossibile che la piccola di casa abbia già fatto esperienza della sua natura ciclica.
Questa età della muta viene, sovente, vissuta dai diretti interessati con ansia e apprensione in quanto vorrebbero comprendere subito cosa ne sarà del loro corpo: asseconderà le aspettative o le deluderà aprendo la strada a complesse problematiche? I ragazzi vivono la trasformazione con un senso di estraniamento dalla propria corporeità che, modificandosi repentinamente, offre un’immagine che loro stessi faticano ad accettare o rifiutano drasticamente.
Si tratta di una delicata fase di transizione, un passaggio previsto dal ciclo biologico da vivere all’insegna della gradualità, che richiede un immenso sforzo, anche da parte dei genitori che devono apprendere come gestire conflittualità e comportamenti ambivalenti del figlio.
Le trasformazioni sono continue nel corso della vita; quelle puberali e adolescenziali tuttavia sono le prime che vengono affrontate con consapevolezza e disagio dai soggetti interessati, che si trovano a dover elaborare, impreparati, una strategia di crescita.