CAPITOLO II

L’identificazione nel gruppo

L’orientamento verso i coetanei

Negli adolescenti si assiste a una forte spinta verso il gruppo dei pari, percepito come una nuova famiglia alla quale si desidera appartenere ricercandone il consenso: l’etica del gruppo può quindi influenzare i princìpi e il senso del limite del singolo individuo in formazione. Questo impulso nella direzione del branco, e il conseguente assoggettamento alla sua dittatura, è sentito in misura maggiore da quei giovani che hanno fatto esperienza, fin dalla prima infanzia, di vuoti di orientamento generati da una mancata relazione di attaccamento con i genitori.


La genitorialità non si estrinseca in una serie di competenze, svolte in modo più o meno brillante dall’adulto, ma si esprime nella relazione che il genitore crea per istinto con il figlio al fine di curarlo, accudirlo e gradualmente, attraverso questa dipendenza, permettergli di acquisire la vera autonomia, frutto di una maturazione psicologica che lo porterà a scoprire la propria individualità. Tale maturazione è fondamentale per porre in essere una socializzazione autentica che gli consenta di andare incontro alla compagnia dei pari conservando la propria identità, senza cercarvi una comunità di simili dove il conflitto e il confronto, che derivano dall’alterità, risultino assenti.


Nel gruppo sociale, invece, l’adolescente tende a rispecchiarsi narcisisticamente alla ricerca di conferme in merito al suo valore e alla sua unicità, sebbene in realtà quest’ultima risulti omologata. Pertanto non si favorisce l’indipendenza di un figlio spingendolo verso gli amici, predisponendolo fin da piccolo alla socializzazione, o ancora agevolando la sua conformità ai coetanei nel timore che si possa sentire escluso. In questo modo la sua autostima poggerà sull’approvazione dei pari, dipenderà dal loro giudizio evanescente ed egli non imparerà a credere in se stesso; soprattutto, quando gli altri dubiteranno di lui.


Un adolescente orientato verso il gruppo sperimenterà un aumento della sua fragilità in quanto dovrà fare affidamento sui coetanei per sostenere la sua autostima e, al contempo, svilupperà un indurimento della sua sfera emotiva per non mostrarsi vulnerabile: quasi sempre, infatti, i giovani non si confidano i sentimenti più profondi nel timore di non essere compresi e di venire derisi. Per scongiurare il rischio che la compagnia diventi un rifugio per i figli bisogna trasmetter loro il senso di appartenenza alla famiglia, l’unica in grado di instillare verticalmente la cultura e le tradizioni, radicate nel contesto famigliare, sulle quali si fondano valori e princìpi.


La fame di amici, che spinge soprattutto i maschi a ricercare il gruppo nel quale esprimere l’amicizia attraverso l’azione volta alla scoperta del mondo, rispetto alle femmine, che tendono a privilegiare il rapporto a due fondato sul linguaggio per esplorare il loro universo interiore, non è tuttavia da ostacolare. Al contrario è un appetito da stimolare quando i giovani vanno incontro ai coetanei con la curiosità di scoprire le differenze, i diversi modi di vivere per arricchire il loro mondo o quando, rispecchiandosi rassicurati nell’uniformità di gusti e di gesti, stanno in realtà formando la propria individualità. In questi casi il gruppo amicale può agevolare il loro graduale distacco dalla famiglia perché asseconda il desiderio di allentare il cordone ombelicale senza, tuttavia, reciderlo completamente; in coerenza con quell’atteggiamento ambivalente che li rende smaniosi di libertà salvo, poi, desiderare il ritorno al porto sicuro rappresentato dal nucleo famigliare.


I genitori poi dovrebbero essere propositivi nel promuovere per i figli spazi di socializzazione attraverso i quali alimentare il desiderio di condivisione o di aiuto, e contrastare così l’attuale tendenza all’individualismo incentivando i valori fondati, ad esempio, sullo spirito sportivo o solidale1.