INTERVISTE AGLI ESPERTI

Intervista a Caterina Renna

Psichiatra Responsabile del Centro per la Cura e la Ricerca sui DCA, DSM Asl - Lecce

Molti adolescenti manipolano in modo violento il loro corpo: quale disagio può celarsi dietro questa forma di autolesionismo che lascia sgomenti genitori e insegnanti?


La manipolazione violenta del proprio corpo, che si traduce molto spesso in atti di autolesionismo, è un problema complesso. Può assumere diversi significati e diversi livelli di gravità che bisogna saper interpretare. A volte è semplicemente un modo, seppur violento, per dire “io ci sono”, per mandare dei segnali della propria presenza in un mondo che spesso trascura gli aspetti più intimi di una persona a favore di quelli pubblici. È, cioè, dare prova di forza, allenamento utile a sopportare il dolore e la sconfitta. Altre volte, è un modo per soffocare le emozioni negative o per punirsi in quanto ci si ritiene non all’altezza delle aspettative proprie e altrui. Altre volte ancora può essere un modo per esorcizzare la paura. In tutti i casi si ravvisa un distacco e allo stesso tempo una sorta di focalizzazione eccessiva rispetto alla propria corporeità. Come se solo attraverso di essa, che si impone alla vista, si possa ambire al riscatto o all’espiazione, si possa esaudire il desiderio e la necessità di essere “senso”. Nell’esporsi pubblicamente ci si può modulare, si può scegliere un tipo di abbigliamento, un modo di parlare e di relazionarsi con l’altro per fare una buona impressione oppure no. Tutto quello che invece non è apparenza, e mi riferisco al mondo interiore di ciascuno, è qualcosa di molto delicato, che non viene mostrato se non all’interno di una relazione di fiducia. La scoperta del sé e la sua comprensione, per quanto personale, si svela nel confronto con l’altro, diretto o indiretto che sia. E il confronto con l’altro espone al rifiuto e alla delusione d’amore.