Capitolo vi

Conclusioni

Fazioni di latte, di letto e di abbracci

Io non amo le diatribe tra genitori con diversi stili genitoriali. In realtà, non amo proprio le fazioni, le coalizioni tra individui che sostengono una pratica o una teoria contro quelli che ne supportano altre, spesso sfocianti in dibattiti dai toni poco sereni, accusatori e talvolta violenti. Ho sempre pensato che il dialogo e lo scambio di esperienze e opinioni sia il modo migliore per allargare le proprie vedute e avere la grandissima possibilità di cambiare anche i propri punti di vista e opinioni. Sono una forte sostenitrice dell’alto contatto, dell’allattamento al seno a richiesta e a termine, e della disciplina dolce. Tuttavia non mi sento di giudicare e di attaccare chi ha fatto scelte diverse. Ogni scelta, consapevole e informata, avrà avuto le sue ragioni d’essere.


Per consapevoli e informati intendo quei genitori che si sono documentati su danni e benefici delle varie forme di maternage, dei diversi modi di alimentazione e nutrizione, delle numerose possibilità educative. Si sono documentati e poi hanno scelto per i loro figli e per se stessi, perché anche dalla nostra serenità dipende quella dei nostri bambini. Ho conosciuto madri – stremate dall’allattamento al seno, che rischiavano di rovinare il rapporto con il figlio a causa dello stress a cui erano sottoposte, – ritrovare il proprio equilibrio smettendo di allattare. Laddove non vi è stato sostegno psicologico di alcun tipo, la rinuncia è stata l’unica soluzione prima di varcare la soglia dell’esaurimento nervoso.


Possiamo accusare chi vogliamo, giudicare, additare, ma la realtà è una: c’era una madre, sola, senza sostegno e senza aiuto, che viveva male l’allattamento al seno e iniziava a rifiutare il figlio. Ha scelto la strada più semplice forse (per molti), ma non per questo meno dolorosa. E l’ha scelta per amore di suo figlio. Ne ho conosciute altre che avevano già deciso di dare il biberon ai loro piccoli e al momento della nascita si sono lasciate guidare sulla strada dell’allattamento al seno, scoprendo poi che era l’unica che avrebbero voluto e potuto percorrere. Ogni storia ha la sua storia, e prima di giudicare bisogna conoscerla davvero bene. Questo vale per l’allattamento così come per ogni altra cosa.


Io ho le mie opinioni in materia di maternage e le porto avanti con convinzione. Senza però offendere e giudicare chi non ha fatto le mie stesse scelte e comprendendo che dietro di esse ci sono numerose motivazioni. Alcune di queste derivano semplicemente dalla scarsa informazione e da consigli errati di amici, parenti e spesso anche operatori sanitari.

Quando comprendo che un genitore è soltanto confuso e poco informato, so che posso solo trasmettere le mie conoscenze, parlare con loro di allattamento al seno, di alto contatto, di attaccamento, di babywearing e così via, portando come esempio la mia esperienza e gli effetti di tutto ciò su mio figlio, ovvero un riscontro concreto alla teoria dell’attaccamento.

Ecco perché ho anche scelto di scrivere questo libro. Il mio compito si ferma qui, all’informazione. Il resto devono farlo loro. A meno che non vi siano casi di maltrattamento e incuria di bambini, non metto in croce chi dà biberon e ciucci ai piccoli, li lascia dormire nelle loro stanze e pratica un tipo di maternage a basso contatto.


Resto sempre convinta che il seno e il calore della mamma, la vicinanza al corpo dei genitori, l’ascolto e la risposta ai bisogni dei bambini siano ciò che di meglio possiamo loro offrire, ma non mi accanisco contro chi è di parere diverso. Sogno un mondo in cui tutti i bambini possano allattare al seno e possano godere del calore e delle carezze dei loro genitori. Ma so che il mio sogno non si avvererà passando il mio tempo criticando e additando. Probabilmente sto già facendo qualcosa mostrandomi e raccontandomi. Tra 10 mamme, una sarà attratta dal rapporto tra me e mio figlio e lo desidererà per lei e il suo bambino. E io credo sempre di più che l’esempio sia la migliore e forse l’unica strada possibile.


D’altra parte, però, mi trovo spesso ad ascoltare discussioni o leggere commenti, nei vari gruppi o forum on line, in cui i genitori creano delle fazioni e si accaniscono tra di loro, spesso insultandosi e mandandosi al diavolo.

Ho spesso colto sguardi di disapprovazione verso le mie scelte: allattare mio figlio a termine, lasciarlo dormire nel lettone fino a quando non chiederà di farlo in camera sua, cercare di impostare una relazione empatica volta al riconoscimento dei suoi bisogni e del loro soddisfacimento, supportare un’educazione in cui noi genitori “educatori” rappresentiamo un mezzo per aiutare nostro figlio a esternare le sue caratteristiche con serenità, ovviamene intervenendo in ogni comportamento che possa nuocergli o nuocere agli altri.

Ho ascoltato i consigli di molti e poi ho sempre fatto a modo mio. Ma non ho mai acceso discussioni contro le scelte di altri genitori. Né mi sono mai ritenuta possessore di superpoteri perché ho allattato al seno, per anni, il mio bambino o perché me lo sono praticamente cucita addosso per 16 mesi, ovvero fino a quando lui non ha cominciato a camminare bene e si è lanciato alla scoperta del mondo.


Mi sono irritata quando ho dovuto ripetere numerose volte, per mesi e mesi, ciò che ritenevo giusto per mio figlio e volevo che chi mi stava più vicino, seguisse. Sono passata per quella permalosa, per la “fanatica dell’alto contatto” che non accetta consigli altrui. Ma in questo caso c’era in ballo il lavoro fatto fino a quel momento e la difesa mia e di mio figlio. Nessuna madre deve avere bisogno di difendersi, ecco perché non attacco e non voglio essere attaccata.


Perché io ho scelto l’alto contatto. Anzi, lui ha scelto me, poiché prima di diventare madre non sapevo nemmeno cosa fosse: ho semplicemente seguito la mia natura e i bisogni di mio figlio. Purtroppo, non sapevo che a volte mi sarei potuta sentire “estranea”, incompresa, additata, giudicata.


L’alto contatto, diciamocelo pure, è una scelta molto forte. Lo è perché a volte è stremante, perché spesso, fino a una certa età dei nostri figli, rinunciamo un po’ a noi stesse. Che non vuol dire essere depresse, labili, psicologicamente deboli, represse, presuntuosamente superiori, come spesso ci definiscono. Significa donarci. Donare gran parte del nostro tempo alla cura dei nostri figli, fino a quando essi avranno questo bisogno di contatto.


E allora, che ci siano pure genitori ad alto contatto e non, ma che gli uni e gli altri siano consapevoli di ciò che sono e di ciò che fanno. Per il resto spero che vi sia, per tutti indistintamente, il rispetto reciproco e lo scambio sereno di esperienze affinché la genitorialità non sia una gara a chi sa fare meglio ma un progetto di vita e di amore per se stessi e per i propri figli. Che i genitori con stili e metodi diversi si frequentino, si conoscano, ma per scambiare le proprie esperienze e confrontarsi.

Basta con le guerre. Basta con le fazioni di latte, di letto e di abbracci!