Prefazione

Una cosa che ho imparato è che non si finisce mai di imparare.

Non avevo scelto di essere una madre ad alto contatto. Non sapevo nemmeno cosa significasse, prima che nascesse mio figlio. Poi, a causa di un allattamento iniziato male e che rischiava di essere interrotto a breve, ho scoperto un mondo che subito ho sentito mi apparteneva.


Si diventa genitori “sul campo”, tra una poppata e un’altra, centinaia di pannolini da cambiare, migliaia di notti in bianco, termometri e medicine, pasti da preparare, bisogni da interpretare e da soddisfare…

Si diventa genitori giorno dopo giorno, ma genitori ad alto contatto lo si è da subito e lo si scopre presto.


Ammettere di essere un genitore ad alto contatto, nella nostra società, equivale a fare coming out. Molti quasi vorrebbero vederci riuniti in gruppi di ascolto, seguiti da psicoterapeuti che tentano di risolvere i nostri problemi di disadattamento e frustrazione.


Perché permettere a un bambino di allattare a richiesta e a termine, lasciando scegliere a lui modi e tempi, sarebbe da folli. Portarlo in fascia e non lasciarlo sul passeggino sarebbe soffocante, per lui e per noi. Concedergli di dormire nel lettone o nella nostra stessa camera sarebbe una chiara dimostrazione di quanto abbiamo messo da parte il rapporto con il nostro partner, per concentrarci morbosamente su quello con nostro figlio.


Ascoltare le richieste dei nostri bambini e rispondere in maniera dolce, senza urla, imposizioni, autoritarismo, sberle e sculacciate, è ritenuto sintomo di debolezza e minerebbe la loro buona educazione e la formazione di una personalità non guidata dalle preferenze e dalla volontà altrui, come generalmente accade.


Ma, forse, la realtà è una sola, e cioè che per essere genitori ad alto contatto ci vuole molto, davvero molto coraggio. E non tutti ce l’hanno, per svariati motivi, ma soprattutto per un retaggio educazionale assimilato, difficilmente identificabile e imputabile. Quel coraggio, infatti, sta anche nel riconoscere di essere noi stessi figli del distacco, imposto da una società che ci vuole subito adulti per permettere ad altri adulti di svolgere il proprio lavoro con profitto, o dedicarsi a hobby e vivere movide: i bambini sarebbero solo di ostacolo al sempre sovrano profitto, in nome del quale si è piccini solo quando si devono vendere beni e servizi.


Nessun genitore dovrebbe mai scegliere tra il lavoro e l’accudimento di un figlio. Nessuno dovrebbe rinunciare agli hobby e al divertimento. Ma nemmeno un bambino dovrebbe essere privato del contatto che necessita. Si tratta solo di trovare soluzioni che soddisfino i bisogni di tutti.


L’alto contatto è, prima di tutto, un’esigenza del bambino. Compresa, accettata e assecondata o meno dal genitore. È una danza dove c’è qualcuno che invita e l’altro che accetta di ballare. Ed è una danza continua, dolcissima ma a tratti sfiancante. Perché rimanere vicino ai propri figli per tutto il tempo del riposo (notte e riposini vari), senza potersi staccare, talvolta nemmeno per andare al bagno e tornare, non è proprio simpatico.


Dormire (o provare a farlo…) d’inverno, e con i seni scoperti per dare la possibilità ai figli di potere allattare ogni volta che lo richiedano (e spesso, queste sono così numerose da perdere il conto!), è da premio nobel alla Pazienza! Trascorrere ore e ore in ufficio e poi dedicarsi quasi totalmente a soddisfare i bisogni dei propri piccoli (che spesso consistono nel desiderare il gioco condiviso con i propri genitori e la loro quasi costante presenza e guida) anche quando ci si vorrebbe sdraiare a letto, spegnere la luce e mandare tutto e tutti al diavolo, senza per questo sfogare attraverso urla e divieti, castighi o punizioni, è un’attività impegnativa principalmente a livello psicologico, che mette alla prova la nostra pazienza, la nostra resistenza, e che ci insegna ad ascoltare e ad ascoltarci.


Seguire i bisogni di contatto dei nostri figli, rispondere alle loro esigenze sapendole interpretare, mettendo loro sempre in primo piano e modificando la lista delle nostre priorità, è un duro lavoro che richiede spesso una fatica non indifferente.

Ma quando si accetta di ballare, e lo si fa con passione, si accoglie anche la fatica. E si supera.