capitolo ii

L'allattamento

Partire con il piede giusto: l’allattamento al seno

Ancora oggi molte persone sono convinte che allattare al seno sia una pratica poco diffusa, alternativa e di pari dignità, sul piano nutrizionale, rispetto all’alimentazione con il biberon e il latte di formula. Questo dimostra quanto sia stata potente e penetrante l’azione di propaganda che le società multinazionali produttrici di alimenti per l’infanzia sono riuscite a svolgere, per orientare milioni di donne in tutto il mondo verso il latte artificiale, derivato dal latte di mucca, per alimentare i piccoli della specie umana.


Testimonial inconsci, ma molte volte anche consci, di questa grande campagna pubblicitaria, iniziata alla fine degli anni ’50 nei paesi industrializzati, sono stati purtroppo molti operatori sanitari medici, e tra questi specialmente pediatri e ginecologi.


Allattare al seno non è una competenza innata; per migliaia di anni le donne si sono tramandate di generazione in generazione le conoscenze giuste e le tecniche migliori per favorire la produzione del latte sin dai primi minuti di vita del bambino e assicurare ai bimbi un’alimentazione a base di esclusivo latte materno per almeno sei mesi e dopo, insieme ai primi cibi solidi, fino all’anno e oltre fino a quando il bambino si staccava spontaneamente o la madre per varie ragioni decideva di interrompere.


Il miglioramento delle tecniche di assistenza al parto e al puerperio hanno avuto il merito di abbattere la mortalità materno-infantile, tuttavia tutta una serie di procedure – totalmente giustificabili nei confronti di condizioni patologiche – sono state a poco a poco applicate anche al parto fisiologico e alla gestione del neonato sano. Questo ha portato come conseguenze nefaste un aumento del tutto ingiustificato dei parti cesarei e una riduzione progressiva della pratica dell’allattamento al seno1. Si prescrivono con leggerezza farmaci spesso inutili e dagli effetti collaterali poco conosciuti, o ancora vengono finanziati dal Sistema Sanitario Nazionale programmi di discutibile efficacia sulla salute della collettività, mentre sostenere e promuovere l’allattamento al seno sembra essere considerato – da molti operatori sanitari, e spesso anche da chi programma gli interventi sanitari a livello politico – un intervento di scarso interesse e su cui vale poco investire in termini d’impegno personale e di risorse economiche.


Si legga con attenzione la tabella 1, con i vantaggi in termini di promozione della salute per i bambini e per le donne che allattano, nonché il profitto in termini di risparmio economico per la collettività. È difficile evitare il forte sospetto che siano gli interessi commerciali, che antepongono l’utile economico alla salute collettiva, a orientare gli investimenti di enormi capitali per contrastare la pratica dell’allattamento a favore del latte in polvere.


Per contrastare questa tendenza l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNICEF hanno lanciato il progetto Ospedale amico del Bambino e Comunità amica del Bambino2 con l’obiettivo di assegnare un riconoscimento di qualità a quegli ospedali che applicano le buone pratiche, riassunte nei “10 Passi” per promuovere e sostenere l’allattamento al seno.


Oggi (Aprile 2016) in Italia ci sono 25 Ospedali Amici dei Bambini (BFHI) e 6 Comunità Amiche (BFCI); alcuni sono in fase di rivalutazione e molti in fase di prima valutazione. Sul sito dell’UNICEF sono indicati tutti gli Ospedali e le Comunità con indirizzi e numero di telefono. L’elenco viene aggiornato in tempo reale. Tutte le mamme, salvo rarissime eccezioni quantificabili in meno dello 0,1%, possono allattare, se vengono create le giuste condizioni ambientali, se vengono offerte informazioni corrette e se sostenute in maniera adeguata3. Ogni allattamento non riuscito è responsabilità della inadeguatezza dei servizi sanitari e/o dei singoli operatori a sostenere questa pratica, e non delle donne a meno che la mamma stessa non abbia espresso un decisa volontà di non allattare.