capitolo VII

Dobbiamo aver paura
degli stranieri?

Mi sento spesso dire dai genitori: “Sono confuso. Non so se vaccinare il bimbo. Ho delle perplessità, ma sa, con tutti questi extracomunitari che arrivano...” Queste preoccupazioni sono frutto delle informazioni distorte che confondono realtà con fantasie, del vento un po’ razzista che soffia da qualche tempo sul nostro Paese.

Nella memoria collettiva della nostra società sono riposti luoghi comuni e dicerie, leggende metropolitane, pregiudizi e paure che improvvisamente si risvegliano, spesso per effetto dei mezzi di comunicazione di massa, e pretendono di diventare verità sociali oggettive... Lo straniero come diverso, vagabondo incontrollabile, orco, ladro di bambini, stupratore di donne, e, naturalmente, untore di malattie spaventose. La storia si ripete. Durante l’epidemia di peste che falcidiò l’Europa intorno alla metà del quattordicesimo secolo si assistette alla persecuzione ed al primo sterminio di massa degli Ebrei, ritenuti colpevoli di diffondere il morbo. Le paure più profonde e irrazionali vedono sempre il diverso, lo straniero, il povero.
Dall’inizio dell’età moderna, nella mentalità collettiva è costantemente presente l’immagine del vagabondo, del forestiero che nessuno conosce e che arriva all’interno della comunità per portare le malattie o avvelenare le acque. Non a caso i primi provvedimenti adottati in occasione delle epidemie riguardano sempre le misure restrittive nei confronti dei vagabondi. Oggi gli extracomunitari sono visti come portatori di malattie da noi scomparse. Se in passato questo tipo di paura collettiva ha alimentato le forme estreme di razzismo, oggi rinasce come preoccupazione di senso comune nella richiesta di controlli medici degli stranieri e si esprime in una ‘patologizzazione’ degli stranieri in quanto tali.1