capitolo IV

La necessità del contatto

Perché la relazione è importante

Nessun investimento è sicuro. Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura con passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno (al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto) esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile.

C.S. Lewis1

Penelope è una bambina di tre anni che ho incontrato un giorno al parco mentre giocava con le mie figlie. Dopo aver giocato insieme con le biglie, era chiaro che ci avrebbe seguite ovunque. Quando le chiesi con chi stava, mi indicò dall’altra parte del parco una donna impegnata in una conversazione con un altro adulto. Poco più tardi, dissi a Penelope che doveva tornare dalla persona che l’accompagnava; mi guardò con aria ribelle, ma dopo qualche insistenza da parte mia riuscii a farla dirigere verso quella persona. Tornai a concentrarmi sulle mie figlie, quando all’improvviso sentii una manina che afferrava la mia. Sorpresa, guardai in basso e mi accorsi che la piccola era tornata. Mi disse che voleva venire con me e io le ripetei che doveva trovare l’adulto che era con lei, agitai la mano per attirarne l’attenzione. Dieci minuti dopo, Penelope mi aveva ritrovata ma stavolta era in lacrime: “Altalena, altalena, altalena!”. Presi Penelope e mi avvicinai alla donna, interruppi la conversazione e le dissi che la sua Penelope piangeva perché voleva andare sull’altalena. Lei mi guardò con fare indifferente e disse che, sì, Penelope piangeva perché voleva che io la spingessi sull’altalena. Sbalordita, arrabbiata e confusa, non riuscivo a credere che mi avesse risposto in questo modo. Ero un’estranea per la bambina, e non c’era nulla di sano nel suo venirmi a cercare. Dissi a Penelope che la donna l’avrebbe spinta sull’altalena e che io dovevo tornare a guardare le mie figlie. Mi allontanai sconvolta mentre Penelope piangeva, furiosa perché l’adulto che era con lei non aveva alcun desiderio di assumersene la responsabilità.

Il comportamento di Penelope era alimentato da un acuto desiderio di contatto e vicinanza; moriva dal bisogno di stabilire una relazione e dalla voglia di aggrapparsi a qualsiasi estraneo che le avesse offerto l’occasione di un briciolo di calore e contatto. Sebbene una parte di me desiderasse moltissimo prendersi cura di lei, sapevo di non poter assecondare la sua ricerca nei confronti di un estraneo; non le sarebbe comunque servito. Penelope non sbagliava, cercava solo di essere fedele ai propri istinti e trovare qualcuno con cui sentirsi “a casa”. L’ironia era che a Penelope non mancava il conforto di una casa; era ben vestita, aveva un grazioso carrettino, un bel parco e un quartiere tranquillo in cui giocare. La maggior parte delle persone l’avrebbe guardata credendo che stesse bene e avesse tutto il necessario per crescere. La realtà era che Penelope non stava bene e aveva una fame disperata.

Questa storia dimostra quali siano le sfide dell’attaccamento: la sua natura altrimenti invisibile si rivela solo quando si hanno occhi per guardarla o gli istinti di cura ci muovono a risponderle. La storia di Penelope evidenzia anche in che modo i bambini si industrino per soddisfare i propri bisogni di attaccamento quando l’adulto di riferimento non se ne assume la responsabilità. Ma non dovrebbero essere i bambini a lavorare per l’affetto. A loro spetterebbe riposare tranquilli e sicuri nelle cure di un adulto, così da potersi dedicare al gioco e alla crescita, ecco perché la relazione è importante.