Per anni ogni sera, tra le sette e le otto, io mi sentivo male: all’improvviso si scatenava l’ansia, come se una
parte di me andasse in cortocircuito, la terra mi mancasse tutto d’un colpo sotto i piedi e io temessi di morire da un momento all’altro.
Come se una sirena tutto d’un tratto si mettesse a suonare “Pericolo, pericolo!”…
Lo stesso succedeva nei viaggi di ritorno in treno che passavo per lo più chiusa nel gabinetto a piangere o attaccata al telefono per cercare conforto
nella voce e nelle parole di qualche amica.
Sono sempre riuscita a mantenere lo sguardo lucido del testimone anche nelle situazioni più difficili e quindi ho registrato tutto e diligentemente
annotato nei miei diari ogni minimo moto dell’animo e del corpo. Ma ho impiegato dieci anni di assidua ricerca e lavoro senza tregua su di me per
riuscire a capire il perché di questi strani sintomi e comportamenti apparentemente inspiegabili, che nessun terapeuta riusciva a decifrare.
Ho potuto scoprire che si trattava di un trauma avvenuto in viaggio, nel viaggio più avventuroso di tutti: quello uterino! Che aveva lasciato in me echi
indelebili…
La realtà è che noi siamo malati di ricordi.
“Ricordi dimenticati, che non ci dimenticano” come ha scritto qualcuno. Che ci perseguitano, a volte ci ossessionano, non ci lasciano in pace. I dolori
da arto fantasma negli amputati ne sono una chiara testimonianza.