capitolo iii

Esprimersi

Le crisi emotive dei nostri figli

La capacità di piangere, ridere, di esprimere sentimenti e pensieri a parole è unica e tipica dell’uomo. Esprimendo quello che ci passa per la mente, conserviamo il nostro benessere e siamo liberi di andare avanti. Per quanto alcuni siano capaci di far tacere la propria mente e procedere, la gran parte di noi vive in un tutt’uno con essa e perciò ha bisogno di strumenti per gestirne le reazioni e le ferite. Esprimerci è anche il nostro modo di creare legami con le persone che amiamo. I bambini si esprimono non solo per conservare il benessere emotivo, ma anche per il loro sviluppo intellettivo e sociale.


Impedire a un bambino di esprimere interamente i propri sentimenti non li cancella, ne blocca solo la manifestazione. Se un bambino è incapace di esprimersi appieno o non si sente al sicuro nel farlo, i sentimenti si accumulano finché non si arriva all’angoscia. Questo porta sempre ad alterazioni fisiche, comportamentali ed evolutive, incluse aggressione, depressione, tic, atteggiamenti compulsivi, difficoltà di apprendimento, disturbi del sonno e altri.


Molti di noi apprezzano e incoraggiano le risate, la creatività e altri piacevoli modi di esprimersi. Invece, quando un bambino dà libero sfogo al dolore, alla rabbia, alla gelosia, alla solitudine, al disappunto o al dispiacere, siamo pronti a fermare il sano flusso dei sentimenti, impedendo lo sviluppo della persona e interferendo con il suo benessere emotivo. La tendenza a cercare modi che rimettano a posto le cose può distrarci dal notare il bisogno del bambino di sfogare i propri sentimenti. Molti piccoli incidenti, come un ginocchio sbucciato, un incontro annullato, un insulto o una delusione non chiedono soluzioni, anche se il bambino reagisce con pianti e rabbia. Pur evitando di drammatizzare e di amplificare la risposta del bambino, possiamo ascoltare con calma, dare conferma e lasciarlo tranquillo. In questo modo saprà che è capace di gestire le proprie emozioni.


Quando un bambino è stato ascoltato fino in fondo, la sua capacità di riprendersi dai colpi emotivi ordinari è molto rapida. L’espressione di cui ha bisogno può risolversi in un breve sfogo o in una vera e propria crisi. Quale che sia, se ha la libertà di palesare i propri sentimenti di fronte a genitori o adulti attenti e amorevoli, può passare dalle lacrime e dalla rabbia al gioco, come se niente fosse successo. La mente dei bambini non ha ancora quella presa tenace che ha invece sulla maggior parte degli adulti; il bambino passa avanti con facilità, a patto di non bloccare le sue emozioni impedendogli di esprimerle, o gravandole delle nostre reazioni.


Nel raro caso in cui, nonostante l’ascolto e il sostegno, un bambino persista nell’esprimere il proprio turbamento, si può pensare che l’evento presente abbia evocato vecchi ricordi dolorosi, di cui all’epoca non ci si è curati abbastanza. La vostra presenza lo rassicura e approfitta dell’attenzione che riceve per far piazza pulita delle antiche sofferenze. Per questo piangerà o si infurierà più a lungo, ma grazie al vostro ascolto attento potrà guarire il suo dolore. Più avanti, in questo stesso capitolo, troverete esempi del modo in cui un bambino utilizza un evento presente per sfogare il dolore di antiche ferite.

Evitate di instillare sentimenti nella mente del bambino. Aspettate che sia lui a esprimere le sue considerazioni su ciò che è successo. Esclamazioni del tipo: “Oh, fa male vero?”, prima che il bambino abbia dato la sua versione, o: “Devi essere triste!”, prima che abbia dato voce alle sue emozioni, non sono di aiuto. Potrebbe aggrapparsi a ciò che gli offrite, a volte impostando un atteggiamento che gli apparterrà per il resto della vita. Abbiate fiducia in lui.


Se ha bisogno di esprimere dei sentimenti lo farà, altrimenti no. Non sta a voi decidere, né essere la causa delle sue manifestazioni o della mancanza di esse. Qualsiasi cosa faccia sarà la sua espressione autentica. Non insegnategli a restare sconvolto se è in grado di scrollarsi le cose di dosso, e, se si confida o piange, avvalorate i suoi sentimenti senza drammatizzare. Perlopiù i bambini si esprimono in fretta e poi tutto è passato; è solo il nostro tentativo di interromperli o di drammatizzare che allunga il processo.


In veste di counselor ho spesso udito storie di bambini che si riprendono in fretta. In uno degli esempi del primo capitolo, Orna si calmava presto dopo esser dovuta uscire dalla piscina. Era di nuovo pronta ad abbracciare il presente dopo che la madre aveva legittimato la sua esperienza. Quando i genitori proiettano le loro preoccupazioni, il bambino fa loro da specchio restando aggrappato al dramma. Una volta che i genitori abbiano imparato a lasciar passare le crisi o la tristezza, osserveranno stupiti come il bambino passi oltre.


Tamara mi chiama per sapere come rispondere alla rabbia ricorrente della figlia Sarah. “La torre cade, lei piange; la banana si rompe, lei grida. Ogni cosa la sconvolge.”


Chiedo a Tamara come reagisce a questi eventi.

“Cerco di mettere le cose a posto il prima possibile, le dò un’altra banana, ricostruisco la torre, o trovo una compensazione”, mi dice.


“È davvero tutto così sconvolgente per tua figlia?”, le chiedo.

“Così sembra”, risponde Tamara.


“Sì, la vedi incapace di affrontare queste situazioni perché credi che non riesca a tollerarle. Ma sei certa che non le sappia gestire e voglia che tu sistemi le cose?”

“No.”


“Quando corri in suo aiuto pensando che non ce la faccia da sola, TU cosa senti?”


“Oh, capisco,” ribatte, scoppiando a ridere, “Sono io che non riesco a sopportare la sua frustrazione. Sono io che mi lascio sconvolgere da tutto. Tutto quello che le capita mi sconvolge troppo, vado nel panico, sistemo tutto per il mio bene!”


Una volta compreso che la sua reazione ha a che fare con un bisogno suo e non della figlia, Tamara riesce a vedere che non è la bambina a dover essere aiutata. Capisce che Sarah ha bisogno di sperimentare la caduta della torre, se deve trovare la forza di farle fronte; che può piangere per un appuntamento mancato o una banana irrimediabilmente spezzata; e se la mamma non dà per scontato che per lei sia troppo, Sarah riuscirà a superare la cosa e saprà che è in grado di sentire, esprimersi e passare oltre.


Impedirle lo scoppio di una crisi è la vera ragione per cui Sarah potrebbe sentirsi indifesa e smarrita, esplodendo per qualsiasi disavventura; userà qualsiasi pretesto, per quanto minimo, pur di sperimentare appieno i suoi sentimenti. Quando viene salvata si sente piccola e impotente; il suo piano è sventato. Poter mettere alla prova le sue capacità di superamento delle sfide la farà sentire forte e capace.


La settimana seguente Tamara fa passi da gigante, mi racconta che Sarah stava dipingendo quando il vaso dell’acqua si è rovesciato e ha distrutto il disegno. Sarah ha gridato, Tamara ha raccolto il vaso e stava per offrire una compensazione al danno e arginare la crisi. Poi si è ricordata di prestare attenzione, e anziché salvare la figlia dalle difficoltà, la ascolta e avvalora i suoi sentimenti.


“Era il mio disegno migliore!”, grida Sarah gettandosi sul divano piangendo e scalciando.


“Vuoi che il disegno sia asciutto”, dice Tamara sedendole accanto.


“Sì, lo rivoglio com’era, era quasi finito!”


“Ti preoccupi di non riuscire a farne un altro altrettanto bello?”


“Non posso farne un altro uguale!” Sarah trasforma le grida in singhiozzi e Tamara l’abbraccia, lei rifiuta ma continua a piangere e piano piano si avvicina alla mamma.


Piange ancora per un paio di minuti e poi si tranquillizza, Tamara non dice niente ma resta attenta.


“Vedevo che Sarah stava pensando e appariva calma”, mi dice. Dopo un minuto di contemplazione Sarah si alza e va a giocare con la bambola. Più tardi, quel giorno, torna persino a dipingere ed è entusiasta della sua creazione.


Tamara ha fatto un enorme cambiamento, è passata dal tentativo di trasformare la realtà per Sarah al sostenere la sua capacità di farle fronte. È entrata nella realtà delle cose insieme alla figlia, sostenendola anziché tentare di sottrarla agli eventi. Invece di negare i sentimenti della figlia con un “Oh, pazienza, farai un altro disegno!”, ha ascoltato e avvalorato le possibili preoccupazioni di Sarah. Sentimenti veri non significano fatti reali. Sarah è messa in condizione di poter fare altri disegni, senza aggirare i sentimenti, bensì facendo pace con la sua perdita. Garantita la libertà di esprimersi, può passare oltre con facilità. La felicità è ciò che sperimentiamo quando apprezziamo la realtà, non quando ci opponiamo ad essa nell’attesa di essere salvati. I bambini imparano a sentirsi soddisfatti quando sperimentano il potere di scegliere ciò che è.


Quando sentono la nostra presenza tranquilla sono portati a concludere che provare emozioni intense faccia parte del nostro essere umani. Sentirsi a proprio agio con le emozioni li aiuta a sviluppare un senso di pace interiore, sapendo che le sfide e i sentimenti che le accompagnano non sono da temere. Imparano a lasciarsi pervadere dalle esperienze e a risolvere le situazioni con capacità responsabile. Solo dopo che la tempesta è passata è possibile agire con chiarezza ed efficacia.


Guardandosi indietro, i bambini possono anche scoprire che il proprio sé è ben più forte e capace rispetto alle “storie” negative che la loro mente racconta, proprio come nel caso del dodicenne Luke.


Luke è a casa nostra per un soggiorno di consulenza familiare. La sera precedente abbiamo fatto una chiacchierata sulla mente e su come i pensieri ci inducano a fare cose che non vogliamo.


Luke e suo fratello minore Timmy siedono a tavola in cucina; tutto a un tratto si precipitano al pianoforte e iniziano a gridare e spingersi per accaparrarsi lo sgabello.


“L’ho detto prima io che avrei suonato e appena l’ho detto tu sei corso al piano e sei arrivato prima, ma è il mio turno!” dice Timmy.


“Io avevo intenzione di suonare prima che lo dicessi tu!”, gli risponde Luke.

“No, sei corso dopo che l’ho detto io, tu stavi ancora mangiando!”


“L’idea l’ho avuta prima io e quindi sono arrivato prima, mentre tu parlavi!”

D’improvviso Luke si alza e lascia il pianoforte. Mentre si dirige verso l’altra stanza mi vede, sorride e dice: “Me ne sono accorto, è quella vecchia storia del voler scocciare Timmy. Non avevo davvero voglia di suonare il piano.”


È raro che un ragazzo tanto giovane sia in grado di distinguere i suoi legittimi pensieri dal suo sé autentico. Si può dare una mano a questo tipo di consapevolezza con il buon esempio e assecondando le scelte espressive dei figli anziché contrastarle.