Vorrei ora spiegare la teoria della liberazione emotiva che è stata parte di quanto discusso fin qui. Per più di
sessant’anni, questa teoria è stata sviluppata da molti attraverso il processo dell’“ascolto empatico”, costruendo fiducia e intimità, dando vita a un
sentimento comunitario. Ci siamo tenuti al corrente di quegli sviluppi e di quelle esperienze attraverso i cerchi comunitari, le newsletter, i seminari,
i convegni, le riviste, i libri e le registrazioni audio e video.
Questo processo di sviluppo è stato al centro della mia personale esperienza di genitore e maestro, perciò tenterò una brevissima descrizione di quelle
che considero le idee principali in grado di farvi comprendere perché funzionino tanto bene nella pratica e vi facciano da guida nell’approccio
relazionale con i bambini e le altre persone.
Nel primo capitolo ho descritto ciò che vedo in ogni neonato e che indica le qualità fondamentali intrinseche nella natura umana. Rappresentano una base
di conoscenza per scoprire chi siamo. Siamo creature innocenti, curiose, giocose, amanti del divertimento, creative e premurose, che amano stare vicine
e toccarsi, raccontare storie, ascoltare, ridere, fare, creare, danzare, cantare e, in un modo o nell’altro, essere d’aiuto, rendere la vita migliore a
se stessi e agli altri.
Ci piace cooperare e fare le cose insieme. Ci piace fare esercizio, con il corpo e la mente, sperimentare l’amore, la bellezza e la gioia. Siamo
interessati agli animali, ci piace stringere amicizia con loro, ci piacciono le piante, i fiori, gli alberi, i frutti e il cibo. Tutte cose positive.
Non ci piace essere feriti e, quando ne comprendiamo il nesso, non ci piace ferire gli altri. Sentiamo una compassione naturale per coloro che amiamo e
persino per gli estranei, che aumenta man mano che cresciamo e conosciamo il mondo.
Tutto ciò che ho imparato nella mia lunga vita osservando i bambini a casa, nei nidi, negli asili e nei parchi giochi, oltreché ascoltando le storie
delle persone in sedute private, in gruppi, nelle carceri, grazie ai colleghi di counseling, attraverso le riviste e la letteratura, incluse
ricerche psicologiche e sociali, mi è servito per confermare le mie osservazioni.
Perciò, se questo modello positivo della nostra natura primigenia è valido, com’è possibile che abbiamo tanti problemi con noi stessi e con gli altri?
Come è facile intuire, la risposta è complessa, difficile e senza dubbio incompleta, ma la spiegazione che abbiamo elaborato finora funziona molto bene
nella pratica e, visto che secondo me l’efficacia è la misura migliore della verità, la considero abbastanza buona.
Sembra che la costituzione umana sia alquanto adattabile e possieda sistemi automatici di guarigione. Quando la pelle si lacera o le ossa si rompono, si
salderanno e ricostituiranno di nuovo, e certo il tenerle unite aiuterà il processo. Quando sviluppiamo delle infezioni il nostro corpo lavora per
espellerle, attraverso la tosse, gli starnuti, il pus o il muco, il sudore, il vomito, le secrezioni e così via. In modo analogo, quando le nostre
emozioni sono prese d’assalto e traumatizzate, esiste un processo naturale di sfogo che ne facilita la guarigione. I neonati ne fanno mostra ben presto.
Quando piangono non è solo e sempre perché hanno fame o percepiscono un disagio fisico. Non possiamo sempre sapere, né è possibile chiedere quale sia la
causa, ma se li teniamo in braccio mentre piangono, se parliamo loro con dolcezza e li trattiamo con premura e affetto, piangeranno le loro lacrime e
poi si rilasseranno, di solito addormentandosi, e saranno vigili e felici al risveglio.
Le ferite emotive hanno una componente sociale perché implicano la presenza di altre persone. Gli altri giocano un ruolo preciso in questo processo,
analogo alla fasciatura nel caso delle ferite del corpo. La paura, la tristezza, la rabbia e altri sconvolgimenti di solito hanno una causa che
coinvolge una o più persone che hanno o non hanno fatto qualcosa. Possiamo anche essere spaventati da minacce naturali come un tuono, resi tristi dalla
perdita di oggetti cari, o frustrati da un macchinario, ma persino in questi frangenti è il conforto e la comprensione umana che meglio ci aiutano a
riprenderci.
Perciò, quando un neonato o un bambino è ferito e piange, forse urla o sussulta, avere una persona premurosa e di cui si fida che lo abbracci, gli dia
attenzione e lo rassicuri della propria disponibilità e presenza, farà sì che i sentimenti vengano sfogati fino a scemare. Se nessuno gli è accanto per
offrire conforto e rassicurazione, o se il pianto viene ignorato o biasimato, il processo di liberazione potrebbe fermarsi prima del tempo e la ferita
essere registrata nella memoria. Nel caso di bambini abbandonati o maltrattati le memorie delle ferite emotive possono accumularsi fino a rendere
necessario un ciclo di terapia, oppure, se trascurate, provocare sociopatie o psicopatie.
Molti, pur non avendo sperimentato maltrattamenti estremi, portano con sé un certo carico di angoscia non risolta, ma riescono a tirare avanti, a
organizzare e mantenere la propria vita a un livello tollerabile. Abbiamo cose di cui lamentarci, non è l’ideale, ma possiamo sopportare. Per chi può
permettersi di affrontare una psicoterapia potrebbero esserci opportunità di miglioramento. Tuttavia, per il tipo di aiuto necessario, non è
indispensabile trovare un esperto che esiga alte parcelle a risarcimento dei suoi anni di studio e del suo stile di vita dispendioso. Tutto quello che
serve davvero è qualcuno con cui sentirsi al sicuro, di cui fidarsi, che scambierà la sua attenzione e la sua naturale propensione all’aiuto
compassionevole con un aiuto analogo da parte vostra.
La medicina è l’amore, questo è certo. La premura, la compassione, l’augurio di ogni bene, comunque vogliate chiamarlo, è naturale in tutti noi.
Desideriamo davvero aiutare le altre persone, per quanto i nostri condizionamenti rendano arduo, quasi impossibile chiedere aiuto agli altri. Ma se ci
accordiamo nel volere e nel sentire la necessità di un aiuto reciproco, non serve altro che imparare ad ascoltare in un modo che permetta e incoraggi le
persone a sfogare le antiche emozioni che continuano a premere per risalire in superficie e angosciano, confondono, ostacolando la chiarezza di pensiero
e l’agire deciso.
Dobbiamo imparare l’arte dell’ascolto. Un ascolto siffatto permette all’altro di localizzare le antiche angoscie registrate dal corpo e liberarsene. In
quest’arte sono due le modalità generali dell’ascolto. Potremmo chiamarle attiva e passiva, o permissiva e non-permissiva.
Il modo passivo, o permissivo, può essere molto efficace. Nel momento in cui si apprende quest’arte è possibile restare solo attenti ed empatici, senza
preoccuparsi di dire o fare la cosa giusta. I risultati della vostra attenzione saranno degni di nota. Se state ascoltando qualcuno che a sua volta è
nuovo a questo processo, potete star certi che, come tutti, non avrà avuto spesso l’occasione di una tale attenzione ininterrotta. Molti sono troppo
preoccupati o troppo presi dalle proprie sofferenze e storie per voler ascoltare a lungo senza interrompere. Per questo, quando trovano qualcuno che
vuole davvero ascoltare le loro storie e simpatizzare con i loro sentimenti, tutto trabocca, e questo sfogo straordinario spesso porta con sé delle
trasformazioni considerevoli.
L’ascolto attivo, o non-permissivo, può essere molto utile quando la persona che viene ascoltata non riesce a ricordare o perde il filo della memoria.
Tabula rasa. Nessun pensiero o sentimento; la persona è confusa, perduta o offuscata. Il parlare diventa allora superficiale, senza saper cosa dire.
Che l’ascolto sia attivo o passivo, è sempre meglio pensare con molta attenzione a quello che l’altro sta dicendo, cercando di entrare in sintonia con i
suoi sentimenti. Anche se si resta passivi, è comunque sempre bene reagire a ciò che ci viene detto mediante un cenno della testa, una stretta di mano,
un sospiro o una breve risata di simpatia. Se l’altro è confuso a proposito dei suoi sentimenti, o non ne è consapevole, potete passare a un ruolo
attivo per aiutarlo a riconoscerli e a esprimerli. Lo sfogo e la liberazione è ciò a cui entrambi state mirando. È l’agente dell’intuizione e del nuovo
modo di pensare che produrrà una ri-valutazione, una maggiore consapevolezza e un cambiamento.
L’aiuto potrebbe arrivare sotto forma di domande volte a suscitare ricordi e sentimenti sepolti dalla coscienza, o affermazioni sulla vita e il
carattere dell’altro che aiutino a contraddire quelle angosce e sofferenze tanto radicate in lui da bloccare la piena espressione dell’intelligenza,
della creatività, della vitalità e dinamicità, la sua propensione amorevole, la sua gioia e passione di vivere.
Con la riflessione, la pratica e l’ulteriore comprensione della persona, saprete sempre meglio ciò che l’aiuta a sfogarsi. La liberazione attraverso lo
sfogo può avere molte manifestazioni.
Prima fra tutte, quella del semplice parlare della propria vita. Non abbiamo molte occasioni di farlo con ascoltatori empatici, e la sola narrazione
delle nostre esperienze alleggerisce molto il peso che abbiamo sul cuore. Le lacrime sono uno sfogo che può venire dalla tristezza, talvolta dalla
felicità o dal sollievo, altre volte da una dimostrazione di amore, compassione, affetto o generosità che contraddica l’apatia inumana che ci circonda.
Ridere è uno sfogo anch’esso, e può seguire alla destabilizzazione comica dell’arroganza, della pomposità, della stupidità aggressiva, ma spesso origina
anche dalla paura. Piccoli timori o imbarazzi a cui si dà espressione. Paure maggiori di solito provocano sudore freddo, tremiti, a volte pelle d’oca,
ma anche risa, tanto che ho conosciuto persone che evitano i funerali perché provocano in loro scoppi di risa incontrollate.
Anche sbadigliare è un modo per lasciar andare, di solito la tensione fisica. Da giovane, a una lezione su come tenere discorsi in pubblico, imparai a
sbadigliare per provocare un rilassamento della laringe e ottenere un tono di voce profondo e risonante. Quando mi esibivo a teatro c’erano sempre, nel
momento di massimo nervosismo proprio prima che si alzasse il sipario su un vasto pubblico, un’intera fila di attori e cantanti che si esercitavano
sbadigliando dietro le quinte per rilassarsi. Le persone esperte in questi sfoghi liberatori sbadiglieranno spesso per allentare la tensione e forse
anche per aprire sentieri a sentimenti e ricordi che potrebbero provocare uno sfogo maggiore.
Quindi, se qualcuno che state ascoltando sbadiglia, o ridacchia, o se notate che gli occhi si inumidiscono o la mano che tenete inizia a sudare, potete
esser certi che qualcosa si sta muovendo dentro di lui.
Potete applicare questa conoscenza per comprendere gli sfoghi spontanei e inaspettati che a volte riguardano noi o gli altri, neonati o bambini, gli
improvvisi scoppi di pianto, risate, rabbia, tremiti, sbadigli o pelle d’oca. Se non esiste una ragionevole causa apparente, si può pensare che il
motivo sia il risveglio di memorie sottaciute alla coscienza. Dai neonati agli anziani, quando qualcuno si sta liberando è meglio non interferire, non
distrarre o intavolare un dialogo, ma solo esserci con partecipazione e compassione permettendo allo sfogo di seguire il suo corso naturale. In quel
momento è in atto una guarigione. Ridete, piangete o scuotete la testa in segno di simpatia mentre ascoltate, ma non tanto da attirare l’attenzione su
di voi.
Dopo, è utile ascoltare i pensieri della persona a proposito dei sentimenti e dei ricordi suscitati, nonché i nuovi pensieri o decisioni che potrebbero
scaturire da essi.
È importante avere un occhio di riguardo verso i bambini, sapere che non sono equipaggiati per affrontare i nostri sentimenti negativi, né dovrebbero
esservi obbligati. Possiamo utilizzare il processo liberatorio per chiarire i nostri sentimenti e impedire che questi gravino sui nostri figli. Di
conseguenza, non utilizzate i figli come confidenti o terapeuti.
I sentimenti negativi che vi angosciano nel presente sono attivati da schemi derivati da vecchie esperienze che risalgono all’infanzia, e possono essere
fronteggiati al meglio dando loro il giusto sfogo con un ascoltatore adulto. Per questo è meglio avere un amico che vi ascolti con regolarità, che
conosca la vostra storia e possa capirvi e sostenervi al meglio. Con l’incoraggiamento del vostro ascoltatore potete consegnare quei sentimenti al
passato e fare scelte limpide e tranquille insieme ai figli nel presente.
Se, per esempio, un bambino ha fatto qualcosa o si comporta in un modo che vi disturba, chiedete ascolto al vostro amico per sfogarvi prima di cercare
un contatto con il bambino. E se non c’è tempo, potreste provare con una breve sessione telefonica: “Puoi ascoltarmi cinque minuti? Sto per perdere
davvero la pazienza!”
Se nessuno è disponibile, uscite a fare due passi o gridate dentro un cuscino, o fate dei respiri profondi che vi calmeranno: cinque secondi inspirate,
cinque secondi espirate. Ricordate a voi stessi che il miglior modo di gestire qualunque situazione con i bambini è cercare di sentirvi in sintonia con
loro, ritrovare la calma, l’amore incondizionato e il desiderio di cura – ascoltarli e abbracciarli.
Nelle emergenze è anche possibile talvolta chiedere a un estraneo di fare da ascoltatore empatico. Ero da solo in una piccola cittadina della
Pennsylvania dopo aver fatto visita a un cerchio di nativi in una prigione della zona. L’unico motivo di interesse in città era un cinema teatro dove
proiettavano Platoon, di cui avevo sentito dire che era un bel film, perciò decisi di andare. Non solo era bello, ma realistico, e si dimostrò
un’esperienza emotiva straziante che mi lasciò distrutto. Barcollai fuori dal teatro, tremante e scioccato, mi avviai verso il parco cittadino dove una
donna sedeva da sola su una panchina.
“Potrei parlarle per qualche minuto?” le chiesi, “ho appena visto un film che mi ha sconvolto e ho bisogno di parlare con qualcuno dei sentimenti che mi
ha provocato”. Annuì un po’ esitante, mi sedetti e iniziai a parlarle del film. Poco dopo ero in lacrime e singhiozzavo, lei mi prese la mano e la tenne
confortandomi finché non mi fui sfogato e potei riflettere e discutere sui miei sentimenti e pensieri a proposito della guerra in generale e di quella
del Vietnam in particolare. La ringraziai dell’ascolto e lei mi ringraziò per aver condiviso i miei pensieri e sentimenti. A mia volta, la ascoltai
mentre mi metteva a parte di sentimenti che disse di non aver confidato a nessuno prima di allora.
Tornai all’albergo sentendomi arricchito da una semplice mezz’ora di autentica intimità con un’altra anima umana che non avrei più rivisto ma che non
avrei mai più dimenticato.
Se vi accorgete che amici o estranei sono in difficoltà, potete diventare un ascoltatore empatico e offrir loro un aiuto meraviglioso. Un giorno,
passeggiando nel parco di una piccola città, Emmy e io osservammo una donna che, tutta di fretta, gridava furibonda al figlioletto, ancora molto
piccolo, strattonandolo per un braccio e marcando il passo con sculacciate energiche sul pannolino, sollevando ogni volta un po’ da terra il bambino.
Per tutto il parco la gente si fermò a guardare, forse chiedendosi cosa dovessero fare, se intervenire o meno. Come immaginavo Emmy entrò subito in
azione e si diresse verso la donna per poterla incrociare più avanti.
La madre placò un istante la rabbia per gettare uno sguardo alla gente che la osservava, sfidando chiunque avesse osato interferire. Vedendo Emmy che le
si avvicinava decisa, e me che la seguivo, si mise subito sulla difensiva, preparandosi a una secca reazione del tipo: “Questo è mio figlio, non vi
permettete di…”
Sarebbe stato un incontro educativo, lo sapevo bene, e mi tenni distante ma abbastanza vicino per poter carpire la risposta. Prima che la donna potesse
dire alcunché, Emmy le sorrise:
“È proprio difficile essere madri alle volte, vero?” “Non me lo dica!” rispose la madre con fare stanco, ovviamente sollevata dalla prospettiva di un
contatto umano non giudicante.
“Perché non ci sediamo su questa panchina e ne parliamo?” ribatté Emmy.
E così fecero. Emmy accolse con simpatia il fiume dei lamenti, sul figlio, il marito, la società – la lotta per riuscire a fare tutto per tutti senza
aiuto, senza sostegno, senza apprezzamento alcuno.
Dopo aver dato sfogo a tutte le pressioni represse, il suo atteggiamento era del tutto cambiato. Parlava con Emmy come fosse una vecchia amica, e rise
persino mentre Emmy le dava qualche suggerimento per gestire lo stress e il figlio, avvalorando il suo amore e le sue speranze di madre, e l’importanza
e il valore del suo ruolo per il bambino e la famiglia.
Con i bambini più piccoli, è sufficiente mostrare che si sta bene con loro, abbracciarli e giocare, infondere un senso di sicurezza che tutto sta
andando bene, perché vivano pensando solo al momento presente con fiducia e gioia.
Se un bambino ha dei sentimenti ma non riesce a sfogarli, può essere aiutato chiedendogli di raccontare l’accaduto a un pubblico di simpatizzanti,
persino estranei. Ero in un parco, un giorno, per una conferenza, e al termine mi si avvicinò una donna con una bambina piccola per mano. Mi disse che
la figlia era stata punta da un’ape, non che fosse allergica, ma sembrava troppo calma, non era se stessa. Mi accorsi che la bambina era molto chiusa,
non pareva una normale bambina di quattro anni libera da oppressioni. Non c’era luce in lei, era come se si fosse smarrita e si nascondesse.
Immaginai che non avesse dato sufficiente sfogo alla paura e al dolore e pensai anche che la madre, che sembrava molto preoccupata, avesse cercato di
confortarla ma che la bambina si fosse chiusa per non angosciarla. Accade spesso che pur non cercando di distrarre o sviare la sofferenza di un bambino,
questi percepisca la preoccupazione della madre e faccia finta che tutto va bene per non angustiarla.
Mi chinai al suo livello e dissi con calma, usando un tono pacato e molto interessato: “Ah, sei stata punta da un’ape!”.
La bambina scoppiò subito a piangere e mi fece vedere il segno della puntura sul braccio, ma presto riprese il controllo di sé, si chiuse e tornò al
volto passivo e inespressivo di prima. Dissi alla madre di portarla da ognuno dei gruppetti sparsi sul prato per il picnic e chiederle di raccontare la
storia dell’ape.
Dopo circa un’ora la madre tornò, sola, a dirmi cos’era successo. All’inizio la figlia aveva ripetuto la storia fra molte lacrime, mostrando il
rigonfiamento della puntura; dopo diverse volte la storia divenne via via più breve, un veloce e stringato resoconto in tono annoiato e monotono, e poi
finalmente la piccola era corsa a giocare con altri bambini avendo ritrovato la sua consueta gioia e vivacità.
Questa storia ci ricorda anche che persino quando pensiamo di aver dato sufficiente sfogo a un sentimento o a un incidente, con ogni probabilità
potrebbe esserci ancora dell’altro se continuiamo a rivangarlo fino a sentire che davvero è acqua passata e non ci appartiene più.
Una recente ricerca ha indicato che persino bambini piccolissimi nella fase pre-verbale percepiscono le nostre ansie dal tono di voce, e che questo
comporta cambiamenti misurabili nel loro cervello. Non è sano neppure esprimere i nostri sentimenti negativi accanto a un bambino che dorme; quegli
stessi cambiamenti sono infatti stati misurati quando suoni angoscianti di rabbia o dolore venivano trasmessi ai bambini tramite auricolari.
Tuttavia nessuno è perfetto, possiamo solo continuare a imparare e cercare di migliorare le cose. I bambini comprendono la nostra imperfezione e se
restiamo in contatto con loro, li ascoltiamo e ce ne prendiamo cura, ci perdoneranno ogni cosa. Avete sempre fatto del vostro meglio, e le cose
continueranno a migliorare, lo so, perché siete qui ora!