prima parte - I

La rivoluzione copernicana

Anche noi, quando parliamo di educazione, predichiamo una rivoluzione, in quanto grazie a essa ogni cosa che noi oggi conosciamo verrà trasformata. Io considero questa l’ultima rivoluzione: una rivoluzione non violenta, e tanto meno cruenta, che esclude anzi ogni benché minima violenza, perché quando vi fosse ombra di violenza la costruzione psichica del bambino sarebbe ferita a morte.

Maria Montessori1

Oggi nell’ambito dell’educazione è necessario operare, per usare una metafora d’uso comune, una rivoluzione copernicana. Quello che si propone, anche perché da anni si è al limite dell’emergenza, è un ribaltamento di quanto viene generalmente pensato e praticato nel campo dell’educazione, intesa come mezzo per la formazione personale e sociale dell’essere umano.


A suo tempo Niccolò Copernico propose una svolta nella concezione dell’universo a favore della teoria eliocentrica contrapposta a quella geocentrica, ponendo il Sole e non la Terra, come faceva Tolomeo, al centro del sistema di orbite dei pianeti del sistema solare. Allo stesso modo oggi è necessario ridefinire la questione dell’educazione e porre al centro il mondo interiore, nel nostro caso l’interiorità del bambino e la sua essenza; questo per permettergli di essere se stesso e di realizzare il suo progetto di vita, che rappresenta il motivo per il quale è venuto al mondo. Le esigenze esteriori, costituite da aspetti oggettivi e materiali, anche se legittime, non vanno negate, ma solo assecondate, in quanto riguardano il mezzo e non il fine della vita. Anzi, per quanto possibile, esse vanno controllate e incanalate, essendo sospinte dall’istinto di sopravvivenza e sostenute dall’urgenza e dall’emergenza. Questo istinto per sua natura alimenta l’atteggiamento egoistico, sostiene il pensiero critico e ciò che divide, e orienta verso una visione interessata e ristretta della vita. Inoltre privilegia l’interesse particolare su quello globale e tende a impoverire l’insieme della persona, oltre che a ridurre le possibilità di divenire e di sperare in un futuro migliore. In termini pratici si tratta di mettere al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano, le quali, al contrario di quelle esteriori, orientano verso una visione inclusiva e d’insieme, favoriscono le relazioni con sé e gli altri, promuovono ciò che crea intesa, unione e collaborazione, e rendono possibile una sana azione educativa. Le esigenze del mondo esteriore e dell’intelletto, tipiche dell’istruzione, alimentano invece l’attenzione verso gli interessi personali, attraverso una esasperata ricerca di potere, l’uso strumentale della conoscenza, l’insana competizione, la continua ricerca del successo e la conquista del prestigio e del riconoscimento sociale. Tutto questo opprime l’amore, mortifica l’empatia e la comprensione, necessarie per accettare se stessi, l’altro e il diverso, ed essere solidali con chi si trova in una situazione di difficoltà e di emarginazione, ma anche per andare oltre se stessi e scoprire il valore e il vero significato della vita. Nella nostra società l’amore è stato degradato, ha perso il suo appeal, il suo potere e la sua forza e non è più come diceva Dante: l’“amor che move il sole e l’altre stelle”2.


Esso è diventato qualcosa di generico e banale, riferito all’umana ingenuità, e usato in modo contraddittorio: spesso confuso con il diritto di avere, con lo scambio di merci e doni o con la semplice attività sessuale. In sostanza l’amore non viene riconosciuto per quello che è: un modo di essere, uno stato interiore della coscienza, un mezzo di trasmissione della vita, aperto all’accoglienza, dove il bene dell’altro diventa il proprio bene. Nella stessa famiglia, fondata sull’amore tra un uomo e una donna, sembra essere avvenuta una mutazione genetica: come riferisce Gustavo Pietropolli Charmet, la famiglia da etica è diventata affettiva, in quanto soddisfa affetti e bisogni, ma non trasmette più i valori3. E questo è particolarmente grave perché, come dice Viktor Frankl, l’uomo a differenza dell’animale non ha impulsi o istinti che lo inducano in modo automatico a fare ciò che deve fare4; attualmente egli non ha neppure il punto di riferimento costituito dalle tradizioni che gli indichino almeno ciò che dovrebbe fare. Si ha l’impressione, per usare una metafora, che la famiglia attuale abbia fatto propria la filosofia degli imprenditori e, più che un focolare domestico da due cuori e una capanna, sia diventata un piccolo polo industriale, fatto di tante piccole aziende quanti sono i suoi membri, dove ognuno (protetto e sostenuto dagli altri) cerca in libertà e autonomia di perseguire la via della felicità personale attraverso quello che il mondo moderno mette a sua disposizione. Vengono così messi da parte e quasi dimenticati i bisogni più profondi, come quello di scoprire e conoscere se stessi, di sciogliere i propri nodi esistenziali, di scoprire il significato e il valore della vita e delle relazioni umane, ma anche di entrare in armonia con se stessi e con gli altri o di impegnarsi seriamente nel fare della propria vita un’opera d’arte. Non ci si accorge che la via delle facili illusioni e della felicità a buon mercato non conduce da nessuna parte; quello che si nota è che la vita, specialmente delle nuove generazioni, sta diventando sempre più arida, insoddisfacente, angosciosa e alienante. La pratica dello sballo nel fine settimana, gli effetti psichedelici delle emozioni forti prodotte da droghe o alcool, il sistematico uso di psicofarmaci per stare in piedi, il tirare avanti e continuare a vivere in una sorta di equilibrio precario non risolvono, ma al contrario rendono ancora più complicata, la vita.