Il parere degli esperti L’Associazione australiana per la salute mentale del bambino Australian Association for Infant Mental Health controlled crying L’ (AAIMH, Associazione australiana per la salute mentale del bambino) nel 2002 si espresse in merito al “ ”(pianto controllato) con un documento di cui presentiamo di seguito una sintesi. L’AAIMH prende posizione sul cosiddetto pianto controllato, ovvero quell’insieme di tecniche ormai largamente usate per correggere i bambini che non vogliono dormire soli o che si svegliano di notte. Esso consiste nel lasciarli piangere per periodi via via più lunghi prima di dare loro conforto, affinché si addormentino da soli e smettano di piangere e di chiamare. Premesso che non esistono ricerche specifiche sull’impatto che può avere il pianto controllato sul bambino, l’AAIMH fornisce comunque un’ampia bibliografia relativa agli studi sul sonno e sulle situazioni che provocano stress nei bambini. Il pianto è di sicuro un segnale di malessere o di sofferenza; molto spesso i bambini prima dei tre anni si svegliano piangendo e cercando conforto; il fatto che tale comportamento venga bloccato può insegnare al bambino a non cercare, né aspettarsi consolazione o aiuto. Appena nato deve adattarsi a un ambiente di vita totalmente diverso, e cambiamenti anche minimi possono provocargli condizioni di forte disagio. Dopo i sei mesi manifesta gradi diversi di ansietà quando è separato da chi lo cura abitualmente, reazione che continua finché non è in grado di capire con certezza assoluta che il genitore torna. Questo però non avviene prima dei tre anni. 1 Seconda considerazione: quanto più i genitori rispondono prontamente al loro pianto, tanto più i bambini sviluppano un sicuro attaccamento, condizione basilare per una buona salute mentale nella vita adulta; diventano più sicuri in quanto sentono riconosciuti i loro bisogni emotivi. Lo stile di vita occidentale e il parere di taluni “esperti” [ ] hanno diffuso l’aspettativa che i bambini debbano dormire l’intera notte fin dai primi mesi o settimane. Il fatto è che i più piccoli si svegliano più spesso dei grandi, perché i loro cicli di sonno sono più brevi. Questo permette loro di avere una maggiore quantità di sonno REM, fondamentale per lo sviluppo cerebrale. le virgolette sono nel testo originale tutti Note Sul periodo precedente il documento non si pronuncia, ma secondo le molteplici 1 osservazioni raccolte nel CNM, e anche a Lóczy, quanto più è piccolo il bambino, tanto più è esposto a rischi gravi, in caso di separazione dalla madre o di altri improvvisi cambiamenti di vita. Sono molti i genitori che si sentono irritati e stanchi per il fatto che i loro piccoli piangono di notte, in parte per l’effettiva fatica di tranquillizzarli ogni volta, in parte perché si sentono inadeguati a causa di questa aspettativa non realistica. Molti bambini e genitori dormono meglio se dormono insieme ( co-sleeping ). Non c’è motivo per non farlo. Molti ritengono che sia il modo ideale per tranquillizzare i figli. Un rischio (SIDS o morte in culla) può esserci solo con genitori tossicodipendenti o alcolizzati o nel caso di letti troppo soffici. Per altri genitori ancora è una situazione scomoda che non funziona. In ogni caso il fatto che il bambino piccolo si svegli di notte non va considerato anormale, a meno che non ci siano altri segnali specifici. Per un bambino più grande ciò può essere dovuto ad ansia da separazione: il fatto di dormire insieme può rasserenarlo e risolvere facilmente il problema. Nessun metodo che intenda aiutare i genitori dovrebbe compromettere lo sviluppo emotivo del bambino, tanto più se usato quando non è ancora in grado di capire pienamente il significato delle parole e avere la certezza – non prima dei tre anni – che il genitore torni da lui. Inoltre, l’età non dice tutto: la cosa migliore è osservare come il bambino si manifesta. Occorre grande prudenza, sostenere i genitori e in ogni caso evitare il pianto controllato nel caso in cui il piccolo abbia già subìto esperienze di separazione che possano averlo reso molto vulnerabile. L’AAMIH aggiunge al suo testo una ricca bibliografia consultabile sul sito: http://www.aaimhi.org/documents/position%20papers/controlled_crying.pdf Tra i molti autori citati ricordiamo Penelope Leach 1994, James McKenna 2000, Michel Odent 2000, William Sears, Pinky McKay con ed Elisabeth Pantley 2002, qui di seguito esaminata diffusamente. Parenting by Heart Ricerche sul sonno condiviso nel lettone In due articoli italiani apparsi su “Quaderni ACP 2005 12(4) e 12(6)” dal titolo “ – il primo a firma di Francesco Ciotti, il secondo curato da Maria Luisa Tortorella e Anna Maria Moschetti – sono sintetizzate le ricerche più recenti rispetto al quesito: “Dormire nel lettone con i genitori ha conseguenze sul sonno dei bambini?”. Meglio dormire soli che “bene” accompagnati?” Le elenchiamo qui di seguito: Con uno studio del 2004 Cortesi e collaboratori hanno condotto una ricerca (pubblicata in “Developmental and Behaviour Pediatrics” 2004 , 25:28-33) su 901 bambini romani in età scolare usando un questionario rivolto ai genitori. È risultato che il 5% dei bambini dormiva con i genitori ( cosleepers ) almeno quattro notti la settimana senza riscontrare “differenze significative” nei problemi comportamentali rispetto ai non cosleepers. Una precedente indagine pubblicata da Okami e coll. negli USA, basata sulla memoria dei genitori e pubblicata sulla rivista sopraindicata nel 2002 (23:244), aveva dato analoghi risultati. Gli autori italiani della precedente ricerca concludevano che dormire insieme può “rappresentare una risposta dei genitori ai problemi di sonno precoci dei figli, ma che è possibile ipotizzare anche l’inverso e cioè che l’abitudine precoce sin dai primi mesi di vita a dormire nel lettone e non nel proprio lettino possa interferire sull’acquisizione dei ritmi fisiologici del sonno e determinare più spesso disturbi e risvegli”. Hunsley e Thoman nel 2001 (“Developmental Psychobiology”, 2002; 40:14) hanno registrato il sonno di cosleepers e non cosleepers a 5 settimane e a 6 mesi di vita concludendo che “ il sonno profondo nei bambini che dormono da soli è del tutto simile al sonno profondo che segue periodi di stress e quindi il cosleeping sarebbe un evento stressante capace di interferire con l’acquisizione fisiologica dei ritmi del sonno”. Latz e coll. hanno effettuato uno studio nel 1999 (“Arch. Paediatr. Adolesc. Med” , 153:339) su bambini cosleepers americani di famiglie bianche “ dove la pratica del cosleeping non è norma culturale” e bambini cosleepers giapponesi dove invece questa pratica è norma culturale, scoprendo che i disturbi del sonno sono presenti solo nel primo gruppo. Secondo gli autori l’ipotesi è che “i disturbi del sonno insorgano nelle famiglie occidentali che usano il cosleeping in maniera non costante e incoerente, giusto per rispondere ai risvegli notturni e diurni del lattante”. - 349 bambini (22%) dormono con i genitori - 350 bambini (22%) hanno risvegli notturni frequenti - 100 bambini (6,2%) hanno difficoltà ad addormentarsi. A seguito di questi dati nell’ASL di Cesena è stata condotta, “al bilancio di salute del decimo mese”, un’ampia indagine su 1594 bambini circa le abitudini di sonno dalla quale risulta che: Facendo le dovute correlazioni risulterebbe che “ la famiglia media occidentale è orientata a far dormire il figlio da solo, ma lo prende a dormire nel lettone appena si risveglia o piange, entrando in un circolo vizioso per cui un disturbo casuale o transitorio porta il bambino da un giorno all’altro ad alternarsi fra lettino e lettone, interferendo con i normali ritmi di sonno e rendendo persistente il disturbo iniziale”. Per cui, conclude Ciotti citando Lozoff (“Developmental and Behaviour Pediatrics” 1996; 17:9-12) e di Estivill, è giusto che il pediatra si interessi alle pratiche educative precoci sul sonno dei bambini per abituarli , Fate la nanna “ad addormentarsi da soli possibilmente prima dell’8 °-9° mese di vita, ossia prima della fase dell’ansia da separazione”. Le dottoresse Moschetti e Tortorella danno a questa serie di dati un’altra lettura. Intanto, in riferimento alla SIDS (“morte in culla”) e all’“indicazione perentoria di Estivill di far dormire in stanza separata a partire dai tre mesi di vita”, diversi studi e revisioni dimostrano “ ” 2 l’effetto protettivo nei confronti della SIDS della condivisione della stanza con i genitori durante il sonno, consigliabile almeno fino al 6° mese . C’è poi un importante studio realizzato da G. Rapisardi e dall’ACP toscana nel 1995 secondo cui i disturbi del sonno aumentano nel periodo in cui si esprime al massimo , che si evidenza quando il bambino viene separato dai genitori o da chi si occupa stabilmente di lui. Tale separazione si manifesta con reazioni di attaccamento quali l’ansia da separazione 3 “il pianto, il richiamo, l’avvicinamento attivo”. esse dicono – Quindi il bambino – viene portato nel lettone: la situazione migliora via via che la fase psicologica si esaurisce, per cui è l’ansia a determinare il risveglio e il passaggio nel lettone e non viceversa! Anche Cortesi e coll. (citati al punto 1) confermano con la loro indagine che cosleepers, super-cosleepers sono i disturbi di sonno a indurre l’abitudine al lettone e non il contrario. Se poi si pongono a confronto i che passano nel lettone solo una parte della notte e nemmeno tutti i giorni, con i , che condividono il letto per l’intera notte, si nota che questi hanno assai meno risvegli o altri disturbi rispetto a i primi, os servazione confermata dall’indagine di Latz circa le famiglie giapponesi. Rapisardi ha anche messo in evidenza passano a dormire nel lettone per parte o tutta la notte. che bambini “bene educati” a dormire soli nel primo anno di vita successivamente Un’ultima ricerca da ricordare è quella di Sroufe e Waters, 1977, che ha documentato, tramite l’aumento della frequenza cardiaca e del livello del cortisolo, che se il comportamento di attaccamento viene inibito . Ciotti conclude con una sua risposta: il pediatra consultato da genitori preoccupati per problemi di sonno dovrebbe limitarsi a fare ovvero a “capire il punto di vista materno”, aiutando la donna a passare da una risposta incoerente a un’altra coerente. “l’ansia permane, anche se inespressa (…). Di conseguenza è preferibile che il pediatra incoraggi i genitori alle modalità di addormentamento che sono loro proprie culturalmente, non colpevolizzandoli ma tranquillizzandoli sulla natura assolutamente transitoria del disturbo” counselling Quanto alla proposta Estivill, Ciotti sostiene che non è “ A suo avviso Estivill negazione del bisogno né inibizione del sistema di attaccamento”. “consiglia di rispondere al pianto del bambino che dorme da solo, in maniera programmata (…) con l’obiettivo finale che il sonno del bambino sia autoindotto e non indotto dell’adulto”. Se questa non è una richiesta da poco! Note Community Paediatrics Committee, Canadian Paediatric Society (CPS), “Paediatrics& 2 Child Health” 2004; 9(9), 659-663. Comportamento innato, proprio del periodo 9 mesi/3 anni, studiato da John Bowlby, 3 1969, 1980; vedere una breve sintesi di Moschetti-Tortorella a pp. 112,113.